Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 maggio 2016, n. 10252

Rapporto di lavoro - Superamento del periodo di comporto - Errore sui giorni di assenza - Licenziamento - Illegittimità

 

Svolgimento del processo

 

(...) impugnava avanti il Tribunale del lavoro di Milano il recesso intimato da parte della datrice di lavoro (...) Spa per superamento del periodo di comporto; la convenuta contestava la fondatezza del ricorso. Il Tribunale dichiarava la illegittimità del recesso rilevando che allegato alla lettera con cui era stato intimato il licenziamento vi era un prospetto che, però, conteggiava i giorni dal 15.2.2010 al 18.10.2010, data in cui la lavoratrice aveva usufruito di aspettativa non retribuita; pertanto il calcolo era errato in quanto non erano stati superati i giorni necessari sulla base dei prospetto né potevano considerarsi anche assenze pregresse non indicate e che non era possibile, per il principio di immutabilità delle ragioni addotte per il recesso, considerare anche giorni di assenza precedenti alla data indicata nel prospetto; irrilevante, infine, era che la lavoratrice fosse stata a conoscenza del superamento del periodo di comporto come da missive mandate alla società.

La Corte di appello di Milano con la sentenza impugnata rigettava l'appello della società. La Corte osservava che non gravava sulla società l'obbligo di indicare le assenze In specifico nella lettera di recesso, ma che era stato lo stesso datore di lavoro che l'aveva fatto per cui alla luce de principio di immutabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, anche alla luce dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità, non potevano considerarsi anche le assenze non indicate nel prospetto, dedotte solo in giudizio e diverse da quelle che lo stesso datore di lavoro aveva ritenuto fondamento della risoluzione dei contratto.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società con un motivo corredato da memoria; resiste controparte con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2110 c.c. e dell'art. 2 L. n. 604/66, nonché dell'art. 3 Costituzione. Il datore di lavoro non doveva documentare le assenze nella lettera di contestazione. La lavoratrice era ben consapevole di avere superato il periodo di comporto come da missive da lei stessa inviate alla datrice di lavoro per cui non vi era stata alcuna lesione del principio di affidamento le criterio. Alla luce della soluzione adottata dai Giudici di merito sussisteva una ingiustificabile ed irrazionale disparità di trattamento con chi non comunica le assenze e chi le comunicava erroneamente.

Il motivo appare infondato avendo la sentenza gravata seguito l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che si condivide e cui si ritiene di dover dare continuità secondo il quale: "nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, il datore di lavoro, ove abbia contestato al lavoratore II superamento del periodo di comporto prolungato con ricaduta, non può poi modificare l'addebito, invocando il superamento di un diverso e minore periodo di comporto legato all’ipotesi di comporto breve. Anche in tale ipotesi, Infatti, trova applicazione la regola dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, la quale, operando come fondamentale garanzia giuridica per II lavoratore, il quale vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata e la validità dell'atto di recesso, ha carattere generale, e vale quindi per tutti i casi di assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del potere di recesso del datore di lavoro, quali sono sia le norme della legge n. 604 del 1966 sia quella di cui all'art. 2110, secondo comma, cod. civ." (Cass. n. 18283/2009; cfr. anche Cass. n. 6143/2005) perfettamente applicabile al caso in esame. In altri termini il datore di lavoro non ha l'onere di specificare dettagliatamente le giornate di assenza del dipendente ma se lo fa (come nel caso in esame visto che nella lettera di recesso era stato allegato un prospetto indicante le assenze effettuate) non può poi, solo in giudizio, riferirsi ad un periodo che lui stesso non ha preso In alcuna considerazione al momento in cui ha ritenuto di disporre il licenziamento. E ciò in base al fondamentale ed inderogabile principio dell’immutabilità delle ragioni comunicate come legittimanti il recesso da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità ed architrave del sistema garantistico statutario in materia di licenziamenti per giusta causa, cui il recesso per periodo di comporto va assimilato sotto il profilo qui in esame (come già ricordato dai Giudici di merito). Non rileva che la lavoratrice fosse a conoscenza di avere superato il periodo di comporto perché comunque sussiste la violazione del principio prima ricordato che costituisce un limite all’esercizio del potere del datore di lavoro. Ancora non sussiste alcuna violazione del principio di uguaglianza tra il datore di lavoro che comunica le date di assenza e il datore che non le comunica posto che indubitabilmente non versano nella medesima situazione; peraltro la comunicazione specifica delle giornate di recesso può assolvere al ruolo di scoraggiare verifiche giudiziarie, ma per questo deve essere correttamente esercitata sulla base di una verifica puntuale e preventiva delle assenze che si ritengono pertinenti.

SI deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese dei giudizio di legittimità- liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.

La Corte ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 4.100,00 di cui euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% e agli accessori come per legge.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.