Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 maggio 2016, n. 9309

Rapporto di lavoro - Demansionamento - Assegnazione di mansioni dequalificanti - Risarcimento danni

Svolgimento del processo

1. Con ricorso al Tribunale di Roma L.F. dipendente del Consorzio Nazionale Concessionari (ora Equitalia Servizi s.p.a.), esponeva che era stato sollevato dall'incarico di Capo Servizio Lavori Conto Terzi a seguito di alcune critiche da lui mosse ad un prodotto informatico che era stato proposto al Consorzio e che da tale momento aveva subito un continuo demansionamento con assegnazione di mansioni dequalificanti, marginali ed episodiche e che da tale situazione gli erano derivati problemi di salute. Ciò premesso agiva per ottenere il risarcimento dei danni professionale, biologico e all'immagine, lamentando altresì la mancata erogazione del premio di rendimento dell'anno 2000.

2. Il Giudice adito, all'esito dell'istruttoria ed espletata c.t.u. medico-legale, riteneva che nel periodo 1991/1995 il ricorrente fosse effettivamente rimasto privo di mansioni specifiche e adibito ad attività non corrispondenti alla sua qualifica di Capo servizio, riconoscendo per tale periodo la sussistenza di un danno biologico pari ai 3% per un importo complessivo di Euro 1.406,00, oltre accessori. Quanto al risarcimento del danno professionale per il periodo 1991/1995, riteneva applicabile la prescrizione quinquennale.

3. La Corte di appello di Roma, sulle opposte impugnazioni, accolta quella principale del lavoratore e dichiarata assorbita l’incidentale, emetteva sentenza non definitiva (depositata l’8.2.2010) con cui, in riforma della sentenza impugnata, dichiarata applicabile la prescrizione ordinaria decennale, rigettava la relativa eccezione sollevata dalla società; ritenuta provata l'antigiuridicità del comportamento del datore di lavoro, riconosceva il danno da dequalificazione professionale per il periodo 1991/1995, liquidandolo in via equitativa in misura pari al 40% delle retribuzioni percepite dal L. nello stesso periodo, oltre accessori.

4. Con sentenza definitiva depositata il 30 agosto 2011, la Corte di appello, pronunciando sulle restanti domande del L., ritenuto sussistente il demansionamento anche per il periodo dal 1996 al novembre 2001, liquidava a titolo risarcitorio per il danno alla professionalità relativo a tale periodo, una somma pari al 15% delle retribuzioni, oltre accessori; rigettava nel resto l'appello principale del L. avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno biologico e quella concernente il premio di rendimento per l'anno 2000.

5. Avverso le sentenze non definitiva e definitiva la soc. Equitalia Servizi ha proposto distinti ricorsi per cassazione, il primo affidato a tre motivi e il secondo a quattro motivi. Il L. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale nel giudizio avente ad oggetto la sentenza non definitiva, al quale ha replicato Equitalia Servizi con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. nel giudizio avente ad oggetto la sentenza non definitiva. La sola Equitalia Servizi ha depositato memoria anche nel giudizio relativo alla sentenza definitiva.

7. In udienza è stata disposta la riunione dei procedimenti n. 4415/2011 e n.19308/2012, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Procedimento n. R.G. n. 4415/2011 avente ad oggetto la sentenza non definitiva.

1. Con il primo motivo dei ricorso principale, Equitalia Servizi s.p.a., denuncia violazione e/o falsa applicazione degli art. 2697 c.c. e 2103 c.c., anche in relazione agli artt. 414 e 115 c.p.c. per avere la Corte di appello riconosciuto l'esistenza di un danno non patrimoniale, nella sua componente esistenziale e professionale, in capo al L. in assenza della necessaria allegazione specifica, atteso che il danno non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo. In tal modo, la sentenza impugnata non aveva fatto corretta applicazione dei principi indicati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sent. n. 6572 del 2006), atteso che il momento della violazione degli obblighi di cui agli artt. 2087 e 2103 cc. va tenuto distinto da quello, solo eventuale, della produzione del pregiudizio e comunque il giudice non può sopperire all'onere di allegazione, dovendo il lavoratore, una volta dimostrata la premessa dell'inadempimento datoriale, allegare e provare quali aspettative, che sarebbero state conseguibili in caso di regolare svolgimento del rapporto, siano state frustrate dal demansionamento o dalla forzata inattività. Nel ricorso introduttivo il L. non aveva fornito il necessario ed indefettibile supporto in termini di allegazioni e di prove del danno professionale subito, limitandosi a porre in evidenza solo aspetti del preteso inadempimento datoriale.

2. Con il secondo motivo si denuncia l'improprio uso delle presunzioni da parte della Corte di appello, in violazione degli artt. 414, 115 e 116 c.p.c., dell'art. 2697 c.c., e degli artt. 2727 e 2729 c.c., atteso che la prova per presunzioni presuppone sempre la deduzione di un danno, non potendo essa sopperire all’onere di allegazione che concerne l'oggetto della domanda e costituendo solo un mezzo che consente al giudice di risalire alla dimostrazione di un fatto allegato, ma non anche alla allegazione di un fatto, ossia di una circostanza costitutiva del preteso diritto fatto valere in giudizio. In assenza di allegazione del danno e delle sue caratteristiche concrete difettano i requisiti per potere svolgere il ragionamento presuntivo, il quale implica un giudizio di relazione tra la condotta aziendale e le conseguenze prospettate. Né a tale carenza di allegazione è possibile sopperire con formule standardizzate e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta.

3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione per lacuna logica ed argomentativa in ordine alla medesima questione, essendo la sentenza del tutto priva del supporto motivazionale in ordine ai fatti costitutivi del diritto. Erano state confuse quelle che erano all'evidenza deduzioni circa la caratterizzazione concreta del demansionamento con le (diverse ed ulteriori) deduzioni sul danno-conseguenza, che invece la Corte avrebbe dovuto ricercare e in difetto delle quali non avrebbe potuto riconoscere il risarcimento, neppure ricorrendo alla liquidazione equitativa.

4. Con ricorso incidentale il L. lamenta, con il primo motivo, violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. per non avere la Corte di appello, in sede di sentenza non definitiva, pronunciato su tutte le domande proposte in primo grado e riproposte in appello; con il secondo motivo, si duole di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n 5 c.p.c.) consistente nel mancato esame della domanda riguardante il demansionamento nel periodo 1996/2001.

5. I motivi del ricorso principale proposto da Equitalia Servizi s.p.a. avverso la sentenza non definitiva sono tra loro connessi e possono quindi essere trattati congiuntamente. Essi sono infondati.

6. In via di premessa generale, vanno richiamati i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 6572 del 2006, secondo cui, in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo (conf. Cass. nn. 21282 del 2006, 19965 del 2006, 13877 del 2007, 29832 del 2008, 19785 del 2010, 4712 del 2012, 6797 del 2013).

7. In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore In violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (Cass. 14729 del 2006).

7.1. Assume peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno (cfr. Cass. 29832 del 2008). L’allegazione e la prova del tipo e dell’entità dei danni alla professionalità può essere fornita anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (cfr. Cass. n. 7471 del 2012; v. pure Cass. n. 21865 del 2013, 2886 del 2014, n. 1327 del 2015).

8. Ciò posto, deve premettersi che per effetto della inidoneità del ricorso a censurare la decisione può ritenersi formato giudicato interno in ordine all'accertata sussistenza del demansionamento subito dal L. nel periodo 1991/1995. La sentenza impugnata, per quanto ancora interessa nella presente sede, si fonda sui seguenti passaggi argomentativi:

- il Tribunale di Roma, all'esito di una accurata istruttoria, aveva ritenuto fondati gli assunti del ricorrente circa il demansionamento subito dal 1991 al 1995, in quanto il L. era rimasto effettivamente privo di mansioni specifiche e di fatto inoperoso ovvero adibito a mansioni non corrispondenti alla sua qualifica di Capo servizio; quanto al periodo 1996/2001, aveva ritenuto non provato che la sottoutilizzazione del ricorrente fosse "imputabile a responsabilità del datore di lavoro";

- l'appello incidentale di Equitalia Servizi s.p.a., avente ad oggetto "erronea e/o falsa valutazione delle risultanze istruttorie per il periodo 1991/1995", era infondato: i testi escussi avevano infatti concordemente riferito che il L. in tale periodo era rimasto sostanzialmente inoperoso (cfr. in particolare, deposizioni P. e C.) e "la disamina delle risultanze era pienamente condivisibile ed esente dalle censure, peraltro alquanto genericamente alla stessa mosse" dalla società;

- disattesa l'eccezione di prescrizione sollevata da Equitalia Servizi, doveva essere riconosciuta la fondatezza della domanda quanto al periodo 1991/1995.

8.1. La Corte di appello ha dunque respinto l'appello incidentale di Equitalia Servizi s.p.a. che aveva ad oggetto la valutazione delle prove raccolte in primo grado dal Tribunale ed ha altresì ritenuto fondata la domanda (pronunciandosi espressamente in ordine al solo periodo 1991/1995), quale effetto dell'accoglimento dell’appello principale svolto dal L. in ordine alla prescrizione. Sul punto non vi sono specifici motivi di gravame, essendo il ricorso incentrato sul difetto originario di allegazioni specificamente riferibili al danno alla professionalità.

9. Al riguardo, i tratti salienti della motivazione sono sintetizzabili nei seguenti passaggi argomentativi:

- sussiste in capo al lavoratore un diritto allo svolgimento effettivo delle mansioni ai sensi del combinato disposto degli artt. 2103 e 2087 c.c.: la prima norma tutela, infatti, la professionalità, la seconda la salute e la personalità morale del lavoratore, beni sicuramente suscettibili di lesione in caso di sottrazione delle mansioni;

- è provata l'antigiuridicità del comportamento del datore di lavoro, che, "contravvenendo ai propri obblighi", ebbe "immotivatamente" a sottrarre il dipendente "da ogni mansione lavorativa" o comunque gli affidò "incarichi privi di reale contenuto e comunque deteriori rispetto a quelli in precedenza svolti";

- "nell’ampio ed articolato ricorso ex art. 414 c.p.c." il L. aveva "allegato tutte le circostanze idonee a configurare i pregiudizi subiti", facendo riferimento "a tutte le categorie di danno richieste, danno alla professionalità, danno esistenziale, danno biologico....la negazione o l'impedimento allo svolgimento della prestazione lavorativa comportano una lesione del /diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità..".

10. La Corte distrettuale ha dunque ritenuto, in base all'interpretazione dell'atto dalla stessa condotto, che nel ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c. fossero presenti le allegazioni atte a configurare, ove provate, i pregiudizi subiti dal lavoratore. L'odierna ricorrente, nelle diverse articolazioni dell'impugnazione, sostanzialmente oppone l'assenza di allegazioni nel ricorso introduttivo. Tale assunto è corredato dalla trascrizione della sola narrativa in fatto, recante la descrizione degli episodi che il L. ebbe a prospettare a dimostrazione del subito demansionamento. Deve dunque rilevarsi preliminarmente che il ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c. non è riportato in tutte le sue parti.

11. Innanzitutto, secondo l'orientamento costante di questa Corte, l'interpretazione dell'atto introduttivo della lite è riservata - salva la censurabilità in sede di legittimità per vizi della motivazione - al giudice del merito e tale interpretazione comporta l'esame del ricorso introduttivo nella sua interezza.

11.1. In particolare, l'Interpretazione della domanda, in base alla quale il giudice del merito ritenga in essa compresi o meno alcuni aspetti della controversia, spetta allo stesso giudice, ed attiene al momento logico relativo all'accertamento in concreto della volontà della parte. Ne consegue che un eventuale errore al riguardo può concretizzare solo una carenza nella interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente "sub specie" di vizio di motivazione ex art. 360, n.5, cod.proc.civ. (Cass. n. 24495 del 2006).

11.2. Il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale (Cass. n. 26159 del 2014, 23794 del 2011, 3012 del 2010).

11.3. A ciò aggiungasi che, in sede di appello, il giudice può trarre elementi di conforto del proprio convincimento positivo circa la sufficienza degli elementi contenuti nel ricorso dal rilievo che essi consentirono al giudice di primo grado di impostare e svolgere l’Istruttoria ritenuta necessaria per la decisione della controversia (cfr. Cass. n. 7097 del 2012, 7843 del 2003).

12. Come risulta dal tenore della sentenza impugnata, la Corte di appello ha ritenuto che il ricorso introduttivo contenesse le allegazioni degli elementi costitutivi (anche) del danno alla professionalità. Il ricorso per cassazione, recando una frammentaria trascrizione della domanda giudiziale, limitata alla narrativa in fatto, non consente a questa Corte di verificare la fondatezza dell'assunto secondo cui la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere esistenti tali allegazioni. In tal modo la ricorrente incorre nella preclusione di inammissibilità (art. 366 n. 6 c.p.c.), atteso che, dovendosi presumere che la Corte di merito abbia interpretato la domanda giudiziale attraverso tutte le sue proposizioni, ricercandone l'effettivo contenuto sostanziale, solo la trascrizione completa dell'atto potrebbe supportare la censura di vizio motivazionale.

14. Quanto all'accertamento del danno professionale, trattasi di verifica che non è stata omessa, ma desunta da una serie di indici significativi e concorrenti, quali la totale privazione di mansioni o la palese e macroscopica divergenza tra il contenuto professionale dei compiti affidati e la qualifica rivestita dal L., unitamente al protrarsi nel tempo - e dunque al carattere permanente e non occasionale o sporadico - dell'inadempimento datoriale.

15. Il danno professionale è stato così desunto, alla stregua degli elementi acquisiti in istruttoria e secondo l'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, adeguatamente e logicamente motivato, nel protratto svuotamento del contenuto professionale mediante l’attribuzione di incarichi non confacenti alla posizione organizzativa ricoperta e alla qualifica rivestita, e addirittura nella totale sottrazione delle mansioni, circostanze che unitamente alla durata pluriennale dell'inadempimento datoriale, sono stati valutati come idonei a integrare la perdita di professionalità e la lesione della personalità morale del lavoratore.

16. Tale soluzione è in linea anche con il costante orientamento interpretativo di questa Corte, secondo cui costituiscono idonei elementi presuntivi dell'esistenza di un danno patrimoniale risarcibile, tra gli altri, la durata del demansionamento, l'entità dello stesso in relazione alle mansioni in precedenza svolte, la preclusione della crescita professionale (cfr. da ultimo, Cass. 22930 del 2015).

16.1. Come già affermato da Cass. n. 19778 del 2014, in tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, di natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sui lavoratore, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.

17. Nella fattispecie esaminata, la Corte territoriale ha indicato gli elementi di ordine presuntivo desunti dai riscontri istruttori e, senza incorrere in vizi logici nell’apprezzamento dei fatti, ha tratto da tali elementi la prova della perdita di professionalità subita dal L. per il protratto, radicale impedimento allo svolgimento delle proprie mansioni cagionato in  via diretta ed esclusiva dall'inadempimento datoriale. L'accertamento risulta dunque immune dalle censure che sono state mosse dalla ricorrente principale.

18. Il ricorso incidentale del L. avverso la sentenza non definitiva resta assorbito, poiché esso lamenta il mancato esame di domande laddove la Corte di appello aveva rinviato, per ogni domanda non espressamente esaminata, al prosieguo del giudizio. Invero, il vizio di omessa pronuncia o di omesso esame di un fatto controverso e decisivo può configurarsi, rispetto ad una sentenza non definitiva, solo in relazione a questioni o eccezioni o accertamenti che costituiscono il presupposto logico o giuridico della statuizione emessa, mentre per ogni questione relativa a domande sottoposte al vaglio del giudice di merito, ma sulle quali non sia ancora intervenuta una pronuncia, tale vizio non è neppure ipotizzabile.

Procedimento n. R.G. n. 19308/2012. avente ad oggetto la sentenza definitiva.

1. Con il primo motivo Equitalia Servizi s.p.a. denuncia nullità della sentenza per carenza totale di motivazione e violazione e falsa applicazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) in ordine al riconoscimento del danno da dequalificazione professionale per il periodo 1996/2001. La pronuncia era motivata "per relationem" con rinvio alla sentenza non definitiva, che però non forniva alcun elemento per ritenere dimostrata l'esistenza di danni risarcibili.

2. Con il secondo motivo si denuncia omessa o insufficiente motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) per avere la Corte di appello del tutto omesso di esplicitare le ragioni sottese all'accertamento della sussistenza del danno e motivato in modo insufficiente in ordine alla sussistenza della dequalificazione, alla stregua del solo assunto secondo cui la ricorrente non avrebbe "cercato di porre rimedio" alla situazione del L. e si sarebbe limitata a prospettare un comportamento "poco collaborativo" del dipendente, peraltro in contrasto con le risultanze della prova testimoniale.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2103 c.c. anche in relazione agli artt. 414 e 115 c.p.c. per non avere la sentenza, in merito al periodo 1996/2001, fatto corretta applicazione dei principi che richiedono l'allegazione e la prova del danno "evento". Il L. nulla aveva allegato circa l'esercizio di un'attività soggetta ad una continua evoluzione o comunque caratterizzata da vantaggi connessi all'esperienza professionale destinati a venir meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 414, 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., oltre agli artt. 2727 e 2729 c.c., riproponendo le questioni di cui al secondo motivo del ricorso avverso la sentenza non definitiva.

5. Anche questo ricorso è infondato.

6. Occorre premettere che, con la sentenza definitiva, la Corte di appello ha accolto il motivo svolto dal L., appellante principale, avente ad oggetto la dedotta dequalificazione per il periodo successivo al 1995, ritenendo che non potesse condividersi quanto affermato dal giudice di primo grado che, pur avendo ritenuto provata la sottoutilizzazione, aveva concluso ''che non fosse dimostrata l'imputabilità della stessa a responsabilità del datore di lavoro in ragione dell’atteggiamento poco collaborativo del ricorrente. Ha osservato la Corte di appello che, a fronte di una situazione di obiettiva dequalificazione a cui il datore di lavoro non aveva cercato di porre rimedio, l'atteggiamento del lavoratore poteva rilevare solo ai fini della misura del risarcimento e, in ragione di ciò, ha ritenuto congruo liquidare il risarcimento per il periodo 1996/novembre 2001 nella misura del 15% delle retribuzioni come percepite dal L. nello stesso periodo, oltre accessori.

7. Non sussiste il preteso vizio di nullità della sentenza, avendo questa espresso con chiarezza, ancorché sinteticamente, i termini del decisum: non era corretto escludere l'imputabilità al datore di lavoro della sottoutilizzazione protrattasi nel tempo, non potendo valere a tale fine il solo rilievo dell'atteggiamento "poco collaborativo" del lavoratore, profilo questo che poteva incidere, in senso riduttivo, solo sulla misura del risarcimento; era invece rilevante osservare che il datore di lavoro non aveva tentato di "porre rimedio" alla situazione dallo stesso posta in essere.

8. Il ragionamento è logicamente coerente e immune da vizi giuridici: non vi era la prova di un mutamento della situazione di fatto riscontrata esistente nel periodo anteriore (1991/1995), da cui l'indiretta dimostrazione del permanere dell'inadempimento datoriale, in difetto di prova contraria. Difatti, l'esclusione della imputabilità degli effetti lesivi non poteva derivare dall’assenza di una prova positiva gravante sul lavoratore (come invece ritenuto dal Tribunale), ma dalla necessità che il datore fornisse la prova sia dell'adozione di comportamenti attivi tesi a modificare la situazione posta in essere con II proprio inadempimento pregresso, sia dell'efficacia causale esclusiva della condotta del lavoratore, tale per cui la sua "sottoutilizzazione" fosse (in thesi) interamente ascrivibile a fatto determinante del dipendente.

Al contrario, nella fattispecie, nulla era stato dedotto dalla società quanto ad eventuali interventi modificativi della situazione in essere e ciò portava a fare logicamente presumere il permanere invariato tanto dell'inadempimento quanto dei suoi effetti lesivi (come positivamente accertati nella sentenza non definitiva). Del tutto insufficiente a tal fine era l'allegazione di un atteggiamento poco collaborativo del L., non idoneo a incidere sull'esclusione della imputabilità dell'inadempimento, ma solo sul grado di colpa ascrivibile al datore di lavoro e difatti valutato ai fini della riduzione del risarcimento (ridotto dal 40% al 15% nel giudizio di bilanciamento equitativo).

9. Per il resto, la sentenza è integrata, mediante rinvio per relationem alla sentenza non definitiva, dagli argomenti di ordine presuntivo che avevano consentito alla Corte di appello di argomentare l'esistenza del danno alla professionalità e che ben potevano valere a sorreggere anche la sentenza definitiva, stante il protrarsi immutato dell'inadempimento. Quanto alla valutazione delle prove, parte ricorrente tende ad offrire una inammissibile rivisitazione del merito, mediante una diversa lettura delle risultanze istruttorie.

10. In conclusione, i ricorsi di Equitalia Servizi s.p.a. vanno respinti, assorbito II ricorso incidentale proposto dal L.. Le spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo, sono regolate secondo soccombenza, con distrazione in favore del procuratore antistatario avv. R.M.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi di Equitalia Servizi s.p.a., assorbito il ricorso incidentale di L.F.; condanna Equitalia Servizi s.p.a. al pagamento delle spese, che liquida in euro 7.000,00 per compensi professionali ed euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.