Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 maggio 2016, n. 9041

Notai - Esercizio alla professione - Sanzione disciplinare

Svolgimento del processo

Con decisione n. 127 del 25.11.2013, depositata il 13.2.2014, la CO.RE.DI. - Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina - della Lombardia, pronunciando nel procedimento disciplinare aperto su richiesta del Consiglio Notarile di Brescia nei confronti dei notai F.S., F.P., G.A. e L.G.B., ritenuta la violazione non occasionale da parte del Notaio F.S. del disposto di cui all'art. 147, lett. b), della legge n. 89 del 1913, in relazione agli artt. 1, 4 e 15 dei "Principi di deontologia professionale dei notai", ritenuta, da parte dei notai F.P., G.A. e L.G.B., la violazione del disposto di cui all'art. 147, lett. a), della legge n. 89 del 1913, nonché la violazione non occasionale da parte degli stessi del disposto di cui all'art. 147, lett. b), della legge n. 89 del 1913, in relazione all'art. 36 dei "Principi di deontologia professionale dei notai"; infliggeva, per quanto qui rileva, al notaio F.S. la sanzione disciplinare della sospensione per mesi tre dall'esercizio della professione, al notaio F.P. la sanzione disciplinare della sospensione per mesi due dall'esercizio della professione, ed al notaio L.G.B. la sanzione disciplinare pecuniaria di € 15.000,00.

Dal provvedimento della CO.RE.DI. si apprende che "il fatto addebitato ai quattro notai incolpati è lo stesso e consiste nell'avere posto in essere un accordo economico in virtù del quale, durante la sospensione disciplinare del notaio S., nel periodo tra il 19 novembre 2012 ed il 19 maggio 2013, la struttura del notaio sospeso continuasse a lavorare, con l'apporto determinante dei notai A., G.B. e P., incaricati di stipulare i relativi atti notarili". Affermava la Commissione di Disciplina che "a seguito dell'irrogazione della sanzione della sospensione, il notaio S. si era informato, tramite il notaio A., presso il Presidente del Consiglio notarile sulle modalità di espiazione della sanzione della sospensione, preoccupandosi delle possibili ripercussioni economiche che tale sanzione avrebbe potuto avere sul personale di studio". Vi si aggiunge che «il Presidente del Consiglio notarile di Brescia fosse stato posto al corrente delle preoccupazioni circa la sorte dei dipendenti dello studio S., il cui posto di lavoro avrebbe potuto essere a rischio in  conseguenza della sospensione semestrale dalle funzioni del notaio, e, condividendo tali preoccupazioni, aveva avallato l'accordo a condizione che il notaio sospeso non avesse rapporti con la clientela, non presenziasse ad alcun atto, non ne avesse vantaggio economico e che la stipula degli atti non avvenisse presso lo studio S., studio di cui il Presidente non aveva ritenuto necessaria la chiusura». Ad avviso della CO.RE.DI., però, le modalità attuative di tale accordo, secondo quanto risultato dall'istruttoria svolta, avevano travalicato i limiti posti dal Presidente del Consiglio dell'ordine, essendo emerso che la «struttura S., pur priva del suo dominus sospeso, ha continuato ad operare, come struttura acefala, non solo per portare a compimento le pratiche che erano state già avviate prima della sospensione del notaio, ma ha acquisito nuova clientela, ponendosi quale centro di imputazione, utilizzando gli altri tre notai incolpati che si sono trovati a rivestire, nell'ambito di tale accordo, una funzione secondaria». Parimenti inosservato sarebbe stato il limite, posto dal Presidente del Consiglio Notarile, che il notaio S. non avesse alcun vantaggio economico dall'accordo previsto.

In particolare, la CO.RE.DI. affermava che: «II comportamento tenuto dal notaio S. ha sicuramente realizzato un 'ipotesi di violazione non occasionale dell'art. 1 del codice deontologico, avendo egli data luogo, quale promotore, ad un accordo a carattere economico che ha determinato sicura interferenza tra professione e affari. ... Attraverso tale accordo, il notaio incolpato, se non ha conseguito un utile, ha sicuramente evitato il danno derivante dal dover sostenere i costi della struttura da lui dipendente senza avere corrispondenti introiti ... Tale accordo, per le sue modalità di svolgimento, che hanno travalicato i limiti posti dal Presidente del Consiglio notarile di Brescia, ha generato conseguenze pregiudizievoli al decoro e al prestigio della categoria notarile e quindi realizzato anche violazione dell'art. 4 del codice deontologico».

Quanto ai notai G.B. e P. (nonché A.) la CO.RE.DI. affermava che l'esecuzione dell'accordo da loro raggiunto col notaio S. consistesse in comportamento integrante la violazione dell'art. 147, lett. a), della legge n. 89 del 1913, avendo compromesso gli stessi la reputazione ed il decoro della classe notarile, con l'esercitare la professione in maniera puramente utilitaristica, facendosi "strumentalizzare" dalla struttura del notaio S., rimanendo rispetto ad essa in posizione subalterna e concorrendo a consentire al collega sospeso la continuazione di fatto dell'attività notarile. Agli stesi notai G.B. e P. (e A.) si attribuiva dalla CO.RE.DI la violazione dell'art. 147, lett. b), della legge n. 89 del 1913 con riferimento all'art. 36 del codice deontologico, per avere essi eseguito la prestazione in maniera del tutto spersonalizzata, demandando la gestione della clientela e delle pratiche ad una struttura esterna di cui non avevano il controllo ed, anzi, dalla quale venivano gestiti.

La CO.RE.DI. ha ritenuto attribuibile al notaio S. altresì la violazione dell'art. 147, lettera b, della legge Notarile con riferimento all'art. 15 del codice deontologico, «per avere fatto pubblicare sui principali quotidiani locali (Giornale di Brescia, Brescia Oggi, Qui Brescia ed altri) un comunicato nel quale, nel ringraziare i suoi collaboratori, informava che aveva subito una sanzione per motivi unicamente disciplinari, precisando che si possono formare le persone, ma non le loro idee». Dagli atti si evince che la dichiarazione avesse il seguente contenuto: «Oggi, al termine di 180 giorni di una sanzione amministrativa inflitta per motivi unicamente disciplinari, sono ancora fermamente convinto delle mie idee su regole, concorrenza e mercato. Si possono fermare le persone ma non le loro idee. Un grande ringraziamento va ai miei stretti collaboratori (....), che hanno dimostrato, oltre ad una grande serietà e capacità professionale, un profondo senso di responsabilità ed onestà morale, evidentemente non comuni».

Secondo la CO.RE.DI., tale comunicato violava i limiti previsti dall'art. 15 del codice deontologico, in quanto: non era stato pubblicato nell'interesse collettivo, ma nell'interesse meramente individuale del notaio, non era "sobrio", dato che l'immagine del notaio "campeggiava" sul messaggio "a tutta pagina", non riguardava dati attinenti l'attività svolta, e consisteva, piuttosto, in uno "sfogo per una sanzione percepita dal notaio come ingiusta", lesivo della "dignità della funzione disciplinare e delle istituzioni".

Avverso la decisione della CO.RE.DI., il notaio F.S., e, con distinti ricorsi, i notai F.P. e L.G.B., proponevano reclamo, ai sensi dell'art. 158, legge notarile, e dell'art. 26 del d. lgs. n. 150 del 2011, chiedendo il primo in via pregiudiziale che venisse dichiarata la nullità della delibera del Consiglio Notarile di Brescia dell'agosto 2013, per contrasto con l'art. 2 della legge n. 287/1990, con conseguente invalidità dell'intero procedimento disciplinare e della decisione della CO.RE.DI.; nel merito, i reclamanti domandavano l'assoluzione da tutte le violazioni loro attribuite; in subordine, il riconoscimento delle attenuanti generiche e perciò la sostituzione della sanzione della sospensione con quella pecuniaria, ovvero la riqualificazione dell'illecito.

Con ordinanza n. 1420/2015 del 18 marzo 2015, la CORTE d'APPELLO di MILANO respingeva il reclamo. La Corte milanese riteneva infondata l'eccezione preliminare di nullità della delibera di avvio del procedimento disciplinare per contrasto con l'art. 2 della legge n. 287/1990 e con l'art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, argomentando che, nel momento in cui aveva adottato la delibera necessaria per consentire al Presidente il promovimento dell'azione disciplinare (come previsto dall'art. 153, comma 1, lett. b, della Legge Notarile), il Consiglio Notarile di Brescia svolgeva una funzione attinente alla vigilanza sull'attività dei notai del distretto, collegata alle funzioni pubbliche dell'organo, e non una funzione di regolamentazione dell'esercizio della professione, non potendo, perciò, essere considerato un'associazione di imprese. Né era dimostrato, secondo la Corte di Milano, in che modo la delibera potesse aver esercitato un'influenza diretta o indiretta, reale o potenziale, sugli scambi tra gli Stati membri, in modo tale da far temere che possa ostacolare la realizzazione di un "mercato unico".

Del pari infondata era, per la Corte d'appello, la censura sul contrasto della decisione della CO.RE.DI. con i principi in materia di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi sanciti dagli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Il reclamante notaio S. aveva dedotto che nel periodo dal 9 novembre 2012 al 19 maggio 2013, in cui era sospeso dalla professione per effetto di precedente violazione disciplinare, egli si era limitato a svolgere, per mezzo della sua struttura di studio, attività prodromiche alla stipula di atti, di per sé non sottratte ai principi del TFUE richiamati in materia di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi. La Corte d'appello sosteneva, invece, che la sanzione irrogata dalla CO.RE.DI. avesse perseguito comportamenti ben eccedenti mere attività prodromiche alla stipula, dal che pure l'insussistenza dei presupposti per l'invocato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea.

Quanto al merito degli addebiti disciplinari, la Corte di Milano ha ritenuto infondate le censure del notaio S., affermando che la struttura di studio avesse provveduto alle attività prodromiche alla stipula, predisposto i preventivi su carta intestata al medesimo Notaio, trasgredito al carattere di personalità di esecuzione della prestazione notarile, accompagnando i clienti di volta in volta presso il notaio individuato sulla base di turni prefissati. Circa gli effetti economici della pregressa sospensione di sei mesi dall'attività professionale ed ai termini dell'accordo intervenuto tra il Presidente del Consiglio Notarile di Brescia, notaio M., ed i notai A. e P., volto a scongiurare i danni che i collaboratori dello studio S. avrebbero subito in conseguenza della citata sospensione, la Corte di Milano osserva come i tre notai "coadiuvanti" avessero, di fatto, eseguito le loro prestazioni in maniera del tutto "spersonalizzata". Gli stessi, per di più, "dopo aver incassato l'importo indicato nelle parcelle pro forma predisposte dallo Studio S., provvedevano a riconoscere alla S.M. s.r.l. il 50% dell'onorario ivi indicato". Evidenzia la Corte d'appello come "la forfetizzazione dell'importo versato alla S.M. s.r.l. rende evidente che non si trattava del mero rimborso dei costi sostenuti e documentati e del pagamento del compenso per l'attività istruttoria relativi alle singole pratiche". L'ordinanza n. 1420/2015 del 18 marzo 2015 aggiunge come ulteriore circostanza pacifica "che il capitale sociale della S.M. s.r.l. fosse detenuto per il 99% dalla società fiduciaria U. S.r.l., di cui era fiduciante il notaio S.", sicchè la percentuale versata dai notai coadiuvanti per ciascuna pratica risultava in parte costituire "un compenso per il procacciamento di atti ai notai stipulanti e un vantaggio economico per il notaio S.". In ciò i giudici milanesi ravvisano la prova della lesione della dignità, del decoro e del prestigio della classe notarile, emergendo dai fatti ricostruiti "un'immagine mercantile ed utilitaristica della professione".

Quanto poi alla violazione dell'art 147, lettera b, della legge notarile con riferimento all'art. 15 del codice deontologico, relativa al comunicato fatto pubblicare sui principali quotidiani locali bresciani, la Corte d'appello reputava sempre infondate le censure avanziate dal reclamante notaio S., in quanto dal testo della dichiarazione risulterebbe che il fine principale della stessa fosse quello di promuovere l'immagine professionale del medesimo notaio, contrastando l'effetto negativo della notizia della grave sanzione disciplinare subita che gli era stata inflitta. L'affermazione, contenuta nel comunicato alla stampa, di essere convinto delle proprie "idee su regole, concorrenza e mercato", nascondeva la reale causa della sanzione della sospensione subita per comportamenti costituenti, piuttosto, violazioni di norme di legge e deontologiche (in pratica, per non avere indagato la volontà delle parti, non avere dato loro lettura integrale dell'atto, e per avere preteso e trattenuto la carta d'identità di un cliente che non aveva disponibilità immediata per il pagamento del compenso, in importo maggiore di quello preventivato). Essendo diretto il comunicato (pubblicato su quotidiani e periodici di Brescia a diffusione locale, unitamente alla fotografia del notaio) ad influenzare le scelte di potenziali clienti, con ripercussioni sui notai concorrenti, esso doveva essere considerato come un messaggio pubblicitario, ai sensi dell'art. 2, punto 1, della direttiva 84/450 e dell'art. 2, lettera a), della direttiva 2006/114, con conseguente sussistenza della contestata violazione dell'art. 147, lettera b, della legge notarile, stante, altresì, la sua "non occasionalità", vista la pubblicazione su cinque quotidiani e periodici reiterata per due giorni.

La Corte di Milano, infine, riteneva infondata anche la censura del reclamante notaio S. circa la mancata concessione delle attenuanti generiche, in difetto di circostanze socialmente rilevanti che ne convalidassero la meritevolezza, e vista soprattutto la non incensuratezza dello stesso notaio.

Avverso l'ordinanza n. 1420/2015 della Corte d'Appello di Milano hanno proposto distinti ricorsi per cassazione (riuniti ex art. 335 c.p.c.) F.S., con atto articolato in dieci motivi, L.G.B. e F.P., con atti strutturati in quattro motivi ciascuno.

Resiste con distinti controricorsi il Consiglio Notarile di Brescia, che chiede il rigetto dei ricorsi.

I ricorrenti S. e P. hanno presentato memoria.

 

Motivi della decisione

 

Ricorso del notaio F.S.

Col primo motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente S. denuncia l'inosservanza dell'art. 2, l. n. 241/1990, per violazione del principio di certezza dei rapporti giuridici, dell'art. 153 legge notarile, per violazione del principio dell'affidamento, e dell'art. 112 c.p.c. Si deduce l'intempestività della contestazione degli addebiti disciplinari (il primo dopo oltre sette mesi dalla conoscenza in capo al Presidente del Consiglio notarile delle modalità esecutive dell'accordo sullo svolgimento dell'attività nello studio durante la sospensione del notaio S. e dopo dieci mesi dall'informativa data allo stesso Presidente; il secondo dopo tre mesi dalla pubblicazione dei comunicati stampa). Il tempo impiegato per contestare la violazione contrasterebbe coi principi di ragionevolezza e di affidamento, desumibili dall'art. 14, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché dall'art. 153 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come sostituito dall'art. 39 del d.lgs. 1 agosto 2006, n. 249, il quale dispone che "il procedimento è promosso senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto disciplinarmente rilevante". Viene dal ricorrente contestato che la Corte d'Appello abbia poi omesso ogni pronuncia su tale censura di intempestività della contestazione degli addebiti.

Col secondo motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2, legge n. 287/1990, e dell'art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Premessa la natura di associazione di imprese del Consiglio Notarile, e la natura di impresa dell'attività economica svolta dai notai, la delibera di apertura del procedimento disciplinare avrebbe avuto per il ricorrente l'effetto di alterare le condotte commerciali dei notai e le regole della concorrenza.

Col terzo motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 6 CEDU, degli artt. 24, 101 e 111 Cost., e dell'art. 112 c.p.c., nonché l'omessa motivazione e l'omesso esame su fatto decisivo per il giudizio. Si censura con tale motivo la mancata pubblicità dell'udienza davanti alla Corte d'Appello, in contrasto con l'art. 6 della C.E.D.U., che sancisce il principio della pubblicità del giudizio che si svolge dinanzi ad organi giurisdizionali. Viene criticata la mancata audizione dei testimoni, indicati fra la clientela dello studio, come anche del Presidente del Consiglio notarile, i quali avrebbero potuto deporre sul contenuto dell'accordo intervenuto e sul conforme comportamento tenuto dalla struttura del notaio S., avendo la Corte di Milano deciso sulla base delle sole prove raccolte unilateralmente dal Consiglio Notarile e perciò non sottoposte al contraddittorio.

Il quarto motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., colpisce la violazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 111 Cost., sotto il profilo dell' indipendenza ed imparzialità del giudice: il procedimento disciplinare è stato aperto dal Presidente del Consiglio notarne, organo incaricato dell'indagine, in conflitto di interessi, in quanto testimone sull'accordo intervenuto, e in rapporti già di grave inimicizia con il notaio S., quindi deliberato dal Consiglio notarile distrettuale, da quello presieduto, e infine deciso dalla Commissione Regionale di Disciplina, la cui composizione, anche per la presenza di un notaio operante nella medesima area territoriale dell'incolpato, non rivela il necessario requisito di imparzialità.

Col quinto motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2, 4, e 41 Cost., degli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, nonché dell'art. 147, lettera b, legge notarile, con riferimento agli artt. 1 e 4 dei principi di deontologia professionale dei notai, ed infine omessa motivazione. Gli elementi istruttori raccolti, ad avviso del ricorrente, deporrebbero per l'insussistenza di qualsiasi interferenza tra professioni ed affari; l'accordo intervenuto con il Presidente M. avrebbe avuto soltanto una finalità economica (evitare ripercussioni negative sui dipendenti dello studio S.); le modalità di svolgimento del medesimo accordo non avrebbero affatto generato conseguenze pregiudizievoli per il decoro ed il prestigio della categoria notarile, come potevano dimostrare le prove, non ammesse dalla Corte d'Appello, circa i contenuti dell'accordo raggiunto col Presidente M. e le modalità di esecuzione dell'incarico da parte dei notai coinvolti. L'attività preparatoria, prodromica ed ausiliaria, di natura materiale rispetto all'atto da stipulare e la predisposizione dei preventivi (per le quali i notai stipulanti si avvalevano della struttura S.) costituiscono attività estranee a quelle proprie della funzione notarile.

Il sesto motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., censura la violazione dell'art. 47, legge notarile, dell'art. 101 Cost., degli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione, ed omessa motivazione. Viene evidenziato come la Corte d'Appello abbia valutato la responsabilità del notaio S. sulla base del precetto dell'art. 47, legge notarile, violazione non contestata al notaio in sede disciplinare, con correlata nullità. In ogni caso, lo stesso art. 47, legge notarile, non potrebbe essere interpretato come fatto dalla Corte di merito, nel senso, cioè, che anche le attività prodromiche alla stipula dei rogiti rientrino nella funzione notarile in senso stretto.

Il settimo motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, denuncia la violazione degli artt. 2, 4, e 41 Cost., degli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, nonché degli artt. 47 e 147, lettera b, legge notarile, con riferimento agli artt. 1 e 4 dei principi di deontologia professionale dei notai. Si ribadisce che la Corte territoriale avrebbe illegittimamente ricondotto le attività materiali ed esecutive nell'ambito delle tipiche ed esclusive funzioni notarili.

Con l'ottavo motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, si censura la violazione e falsa applicazione dell'art. 15 del Codice deontologico, nonché dell'art. 2, punto 1, Direttiva 84/450/CEE, dell'art. 2, lett. a, della Direttiva 2006/114/CE e del d.lgs. di recepimento 2 agosto 2007, n. 145. Si critica la natura di messaggio pubblicitario, alla stregua delle norme indicate, attribuita dalla corte di merito al comunicato pubblicato sulla stampa a richiesta del notaio S..

Il nono motivo censura, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'U.E. in relazione all'art. 15 del Codice deontologico, degli artt. 2 e 21 Cost., dell'art. 10 CEDU, dell'art. 11 della carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, dell'art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, e dell'art. 147, lettera b, della legge notarile. L'interpretazione data dalla Corte d'Appello sarebbe lesiva del diritto di critica e di libertà di pensiero del notaio S., affermando che il comunicato stampa oggetto di contestazione superasse i limiti dell'art. 15, Codice deontologico, in quanto volto a tutelare l'interesse individuale del notaio e privo di sobrietà. Difetterebbe, inoltre, secondo il ricorrente, il requisito della "non occasionalità" di cui all'art. 147, lettera b, della legge notarile.

Il decimo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell'art. 144 legge notarile e dell'art. 111 Cost., nonché l'omessa motivazione. Viene criticato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, tenuto conto della buona fede e delle finalità per cui il notaio S. aveva agito, ed avendo, invece, la Corte di merito stabilito un erroneo automatismo fra incensuratezza ed applicabilità delle attenuanti generiche.

Da ultimo, il ricorrente notaio S. domanda anche il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, prospettando l'incompatibilità con il diritto dell'Unione (direttiva 2005/29/CE, direttiva 2006/114/CE, direttiva 2006/123/CE, artt. 49 e 56 TFUE) delle conseguenze di fatto derivanti dall'interpretazione dell'art. 147, lettera b, della legge notarile e dell'art. 15 dei principi di deontologia professionale dei notai italiani prescelta dalla Corte d'appello di Milano in relazione alla dichiarazione stampa per cui è causa.

Ricorsi dei notai L.G.B. e F.P.

Il primo motivo dei ricorsi di L.G.B. e F.P., aventi identico contenuto, censura, con riguardo all'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 47, comma 2, 147, lett. a) e b), legge n. 89 del 1913, con riferimento agli artt. 1, 36 e 37 dei "Principi di deontologia professionale dei notai". Si contesta alla pronuncia della Corte d'Appello di Milano la carenza di prova che la collaborazione dei ricorrenti G.B. e P. avesse violato le indicazioni poste dal Presidente del Consiglio notarile di Brescia, nonché la fondatezza dell'asserto secondo cui la struttura dello Studio S. avesse relegato i due notai in una posizione ancillare o subalterna. Neppure avrebbe senso distinguere tra l'attività volta al solo espletamento delle pratiche non portate a stipulazione prima della sospensione del S. e l'acquisizione di nuova clientela; così come non potrebbe rilevare disciplinarmente l'indicazione data ai clienti della possibilità di stipulare con notai diversi in sostituzione del notaio sospeso.

Il secondo motivo dei ricorsi di L.G.B. e F.P. deduce, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 47, comma 2, 147, lett. a) e b), legge n. 89 del 1913, con riferimento agli artt. 1, 36 e 37 dei "Principi di deontologia professionale dei notai", nonché dell'art. 2697 e ss. c.c., quanto, in particolare, all'insussistenza di ogni vantaggio economico per il Notaio S.. Vengono a tal fine evidenziate le risultanze contabili del bilancio d'esercizio 2012 della S.M. s.r.l., chiuso con una perdita di E 47.522,00, andamento negativo confermato dal bilancio chiuso al 31.12.2013.

Il terzo motivo dei ricorsi di L.G.B. e F.P., ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., afferma la violazione e falsa applicazione degli artt. 47, comma 2, 147, lett. a) e b), legge n. 89 del 1913, con riferimento agli artt. 1, 27, 36 e 37 dei "Principi di deontologia professionale dei notai", circa la personalità delle prestazioni rese dai ricorrenti. Si assume dai ricorrenti che essi avrebbero demandato allo Studio S. soltanto le attività prodromiche ed esecutive rispetto alla stipula degli atti, agendo quali coadiuvanti del notaio sospeso, ma senza sottrarsi allo svolgimento dei compiti squisitamente personali della prestazione notarile.

Il quarto motivo dei ricorsi di L.G.B. e F.P. censura, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., l'omessa o contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 47, comma 2, 147, lett. a) e b), legge n. 89 del 1913, con riferimento agli artt. 1, 27, 36 e 37 dei "Principi di deontologia professionale dei notai", quanto allo specifico aspetto del decoro e del prestigio della classe notarile.

Il quarto motivo ripercorre sotto il profilo della carenze motivazionali le stesse doglianze già esposte nel terzo motivo. La contestata violazione deontologica sarebbe smentita dalla stessa CO.RE.DI, allorchè la Commissione affermava che i notai incolpati non avevano alterato la libera concorrenza, avevano indagato la volontà delle parti e accertato l'identità delle stesse.

Con memoria depositata il 24 marzo 2016, il Notaio F.P. ha poi dedotto di essere stato collocato a riposo con decreto Ministero Giustizia del 17 luglio 2015, e decorrenza dal 21 ottobre 2015, chiedendo, pertanto, dichiararsi la cessazione della materia del contendere in ordine al proprio ricorso.

I. E' pregiudiziale l'esame dell'istanza formulata dalla difesa del ricorrente P., nella memoria del 24 marzo 2016, di dichiarazione della cessazione della materia del contendere a seguito del compimento del settantacinquesimo anno di età da parte del medesimo notaio e della sua conseguente cessazione dall'attività notarile. La richiesta è fondata. Va data conferma all'orientamento di questa Corte secondo cui "il collocamento a riposo del notaio sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuto prima del passaggio in giudicato della pronuncia sulla sanzione disciplinare, comporta la cessazione della materia del contendere e, quindi, l'inammissibilità, per sopravvenuto difetto d'interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la sentenza emessa in sede di reclamo dalla corte di appello, con conseguente caducazione della sentenza stessa" (Cass. 11 maggio 2015, n. 9481; Cass. 13 marzo 2012, n. 4001). Il ricorrente notaio F.P. è cessato dal servizio in data 21 ottobre 2015 per raggiunto limite di età. Il collocamento a riposo dell'incolpato notaio implica, per quanto detto, la cessazione della materia del contendere, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

II. Il primo motivo di ricorso del notaio F.S. è inammissibile, per violazione del criterio dell'autosufficienza. Il ricorrente assume genericamente che la Corte d'appello abbia omesso di pronunciare sulla censura di intempestività della contestazione degli addebiti, ma non riporta in ricorso il relativo motivo di reclamo, il che non consente a questa Corte di verificare che la questione non sia nuova. In ogni caso, quanto alle ipotizzate inosservanze dell'art. 2, L. n. 241/1990 e dell'art. 153 legge notarile, questa Corte ha già affermato (né sono offerti elementi per mutare tale orientamento) che, pur essendo specificato nella seconda delle richiamate disposizioni che il soggetto dotato dell'iniziativa disciplinare deve procedere senza indugio, rispondendo certamente la celerità dell'accertamento disciplinare ad esigenze di buona amministrazione, tutti i termini della fase amministrativa del procedimento disciplinare nei confronti dei notai sono ordinatori, in mancanza di un'espressa qualificazione legislativa di perentorietà, sicché non è ravvisabile alcuna decadenza o estinzione per intempestività dell'azione disciplinare (Cass. 20 luglio 2011, n. 15963).

III. Il secondo motivo del ricorso del Notaio F.S. è infondato. Vi si assume che la delibera di promovimento dell'azione disciplinare da parte del Consiglio dell'ordine notarile di Brescia (da qualificarsi come "associazione di imprese") valga come "Intesa restrittiva della libertà di concorrenza", ai sensi dell'art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 e dell'art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. L'art. 1 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, elenca le attribuzioni dei notai, qualificandoli innanzitutto come ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti. A norma dell'art. 83 della stessa legge n. 89/1913, i notai aventi la propria sede in un determinato distretto formano un collegio che costituisce il Consiglio notarile. L'art. 93 della Legge notarile attribuisce al Consiglio notarile, fra l'altro, il compito di vigilare "alla conservazione del decoro nell'esercizio della professione, e nella condotta dei notari iscritti presso il medesimo, ed alla esatta osservanza dei loro doveri". Spetta al Presidente del Consiglio Notarile (insieme agli altri soggetti indicati dall'art. 153, legge notarile) l'iniziativa del procedimento disciplinare, che si svolge, poi, dinanzi alla Commissione amministrativa regionale di disciplina.

Ora, è noto come, secondo la giurisprudenza europea e nazionale, la nozione di impresa, nell'ambito del diritto comunitario della concorrenza, comprende qualsiasi entità che eserciti un'attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle modalità di finanziamento. Si tratta, quindi, come spiegato da Cass., sez. un., 30 dicembre 2011, n. 30175, di una nozione più economica che giuridica, nel senso che la sua essenziale connotazione risiede nell'esercizio organizzato e durevole di un'attività economica sul mercato, a prescindere dal modo in cui i singoli ordinamenti nazionali definiscono l'ente o la persona fisica alla quale la suddetta attività economica fa capo.

Non risulta perciò rilevante, ai fini della soggezione al diritto comunitario della concorrenza, la qualifica di pubblici ufficiali attribuita dall'ordinamento italiano agli esercenti la professione notarile, in quanto tale soggezione dipende, piuttosto, dal tipo di attività che essi svolgono e dal modo in cui siffatta attività si esplica sul mercato. In generale, deve convenirsi che i notai, in quanto prestano stabilmente, a titolo oneroso e in forma indipendente, i propri servizi professionali, svolgono attività economica di impresa, ai sensi dei principi antitrust (cfr. Corte di Giustizia, 19 febbraio 2001, causa C-309/99, Wouters e altri v. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten; Corte di Giustizia, causa C-1/12, 28 febbraio 2013, Ordem dos Tecnicos Oficiais de Contas). Anche in ciò, giurisprudenza europea (Corte di Giustizia UE, sez. Grande, sentenza 24/05/2011, n. C-47/08, la quale ha affermato che le attività notarili non partecipano all'esercizio dei pubblici poteri ai sensi dell'art. 45, primo comma, Trattato CE, ora art. 51 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) e statale (Cass. 14 febbraio 2013, n. 3715), concordano nell'evidenziare come i notai, nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali, esercitano la loro professione in condizioni di concorrenza, circostanza che non è caratteristica dell'esercizio dei pubblici poteri. Può quindi in astratto convenirsi che i Consigli notarili distrettuali, in quanto enti rappresentativi di imprese che offrono sul mercato in modo indipendente e stabile i propri servizi professionali, sono associazioni di imprese, che possono perciò rendersi promotrici di intese restrittive della libertà di concorrenza, ai sensi dell'art. 2, comma 1, della legge 10 ottobre 1990, n. 287. Deve tuttavia affermarsi che il Consiglio notarile, quando assuma l'iniziativa del procedimento disciplinare, eserciti, in adempimento dello specifico compito di vigilanza del decoro nella professione e nella condotta dei notai iscritti ad esso affidato dalla legge, la gestione di "servizi di interesse economico generale", e sia perciò esente dall'applicabilità delle norme in tema tutela della concorrenza e del mercato, ai sensi dell'art. 8, comma 2, legge n. 287/1990. La ragione di questa esenzione trova il proprio fondamento nel fatto che tali servizi, benché esercitati da imprese, sono funzionali ad obiettivi extraeconomici d'interesse generale, essendo volti a soddisfare esigenze di carattere sociale, ambientale, culturale e simili, facenti capo ad un'indeterminata platea di soggetti. Peraltro, la necessità di bilanciamento tra tale interesse economico generale e la ratio cui è ispirata la normativa sulla concorrenza impone che la deroga all'operatività delle disposizioni a tutela della concorrenza sia ravvisabile soltanto per quei comportamenti che appaiano strettamente connessi all'adempimento degli specifici compiti affidati all'impresa. L'esenzione del Consiglio notarile dalla normativa sulla concorrenza e sul mercato, allorquando esso eserciti funzione disciplinare, deriva, allora, dalla considerazione che in tale veste il Consiglio è portatore di un interesse all'esatta applicazione della sanzione, che gli deriva dalla spettanza in capo all'Ordine del compito di elaborare i principi di deontologia professionale (la cui enunciazione è rimessa istituzionalmente al Consiglio nazionale del Notariato dall'art. 2, lettera f, della legge 3 agosto 1949, n. 577), e di vigilare che tali regole siano osservate insieme a quelle poste dal legislatore, in quanto assumono rilevanza disciplinare (Cass., sez. un., 26 giugno 2002, n. 9328; Cass. 24 ottobre 2003, n. 16006).

Nella delibera di esercizio della vigilanza disciplinare, il Consiglio notarile adempie, in sostanza, una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà ed esercita prerogative tipiche dei pubblici poteri (cfr. Corte di Giustizia, 19 febbraio 2002, causa C-309/99 Wouters e altri v. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten), e non regola i comportamenti economici dei notai, ovvero l'attività economica dagli stessi svolta, consistente nell'offerta di servizi sul mercato.

IV. Quanto al terzo motivo del ricorso del Notaio F.S., avente struttura complessa, esso è infondato nella parte in cui si denuncia la violazione dell'art. 6 CEDU, degli artt. 24, 101 e 111 Cost., per la mancata pubblicità dell'udienza davanti alla Corte d'Appello, in contrasto, appunto, con la citata norma convenzionale, la quale sancisce il principio della pubblicità del giudizio che si svolge dinanzi ad organi giurisdizionali. Ai sensi dell'art. 26 del d. lgs. n. 150/2011, le controversie in materia di impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai e quelle in materia di impugnazione delle misure cautelari, rispettivamente previste dagli articoli 158 e 158-novies della legge 16 febbraio 1913, n. 89, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dallo stesso articolo.

L'art. 158 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come modificato dallo stesso d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, stabilisce, infatti, che le decisioni della Commissione amministrativa regionale di disciplina possono essere impugnate in sede giurisdizionale, anche dalle parti intervenute ai sensi dell'articolo 156-bis, comma 5, della legge n. 89 del 1913, e, in ogni caso, dal Procuratore della Repubblica competente per l'esercizio dell'azione disciplinare. Sul reclamo è chiamata a pronunciarsi la corte di appello del distretto nel quale ha sede la Commissione amministrativa regionale di disciplina che ha pronunciato il provvedimento impugnato. Il ricorso avverso il provvedimento disciplinare va proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione della decisione, a cura della parte interessata o, in difetto, nel termine di sei mesi dal suo deposito, e va notificato, con il decreto di fissazione dell'udienza, alle parti intervenute e al procuratore della Repubblica competente. Si tratta, quindi, di un giudizio di impugnazione regolato, però, dagli artt. 702 bis e segg. c.p.c., dettati di regola per il procedimento sommario di primo grado. L'art. 3 del d.lgs. n. 150/2011 afferma esplicitamente che, nelle controversie disciplinate dal Capo III di tale Decreto legislativo (tra le quali rientrano, appunto, pure quelle di impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai) non si applicano i commi secondo e terzo dell'articolo 702-ter del codice di procedura civile, pur restando il procedimento, al di là di tale deroga espressa, ove sia competente la corte di appello in primo grado, regolato dagli articoli 702-bis e 702ter del codice di procedura civile (Cass. 18 dicembre 2015, n. 25547). Nulla disponendo tali ultimi articoli quanto alla pubblicità delle udienze, il procedimento in esame rimane soggetto al generale regime di cui agli art. 128 c.p.c. e 84 disp. att. c.p.c. (che dispone la pubblicità della sola udienza di discussione della causa). Va al riguardo comunque considerato come le diverse espressioni "accusa penale" e "accusato di un reato", rinvenibili nei tre paragrafi dell'articolo 6 CEDU, non coinvolgano l'ambito dei procedimenti disciplinari in seno agli ordini professionali, in quanto questi procedimenti sono riconducibili al campo del diritto civile (Corte di Giustizia, 24 ottobre 1983, causa 7299/75 e 7496/76, Albert e Le Compte c. Belgio, secondo la quale, in tema di provvedimenti disciplinari, "il diritto di continuare ad esercitare la professione ... costituisce un diritto, sub specie diritto civile, ai sensi dell'art. 6 CEDU"; Corte di Giustizia 13 settembre 2007, causa n. 27521/04, Moullet c. Francia). Ora, innanzitutto, l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo non prevede che tutta l'attività processuale debba svolgersi pubblicamente, ma assicura (salve talune specificate eccezioni) al soggetto che debba far valere i suoi diritti o debba veder determinati i suoi doveri o debba rispondere di un'accusa il diritto ad una pubblica udienza, in tal senso esigendo che il processo debba prevedere un momento di trattazione in un'udienza pubblica, e non che vi si debba tenere tutto lo svolgimento processuale (Cass. 18 luglio 2008, n. 19947). E' poi orientamento consolidato di questa Corte (Cass. 18 giugno 2012, n. 9983; Cass., sez. un., 20 aprile 2004, n. 7585) che il principio di pubblicità del giudizio, posto dall'art. 6 della C.E.D.U., non è di applicazione assoluta, potendo essere limitato, fermo restando il rispetto dell'inderogabile principio del contraddittorio — oltre che nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico, della sicurezza nazionale, dei minori o della vita privata delle stesse parti del processo - anche nell'interesse della giustizia, laddove lo giustifichino esigenze particolari (quale è, per l'appunto, quella concernente la celerità delle controversie in materia di impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai, che, come si legge nella Relazione illustrativa all'art. 26 del d. lgs. n. 150/2011, sono state " ricondotte al rito sommario di cognizione in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa, evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina del procedimento in camera di consiglio, e del resto corrispondenti al suo circoscritto oggetto che, anche per la sua natura, ne impone altresì la snellezza").

Sarà oggetto di separato successivo esame l'ulteriore censura, contenuta in tale terzo motivo, relativa alla violazione dell'art. 112 c.p.c., nonché all'omessa motivazione e all'omesso esame su fatto decisivo per la mancata audizione dei testimoni, come indicati, si assume, nell'atto di reclamo del 7 aprile 2014, alla lettera E.

V. Il quarto motivo del ricorso del Notaio F.S. è inammissibile. Esso ipotizza una violazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 111 Cost., sotto il profilo dell'indipendenza ed imparzialità del giudice con riguardo agli organi della fase del procedimento disciplinare rimessa al Consiglio notarile distrettuale ed alla Commissione Regionale di Disciplina. Si tratta di questione che non risulta trattata in alcun modo nell'ordinanza impugnata della Corte d'appello di Milano, sicché il ricorrente, intendendo proporre la stessa in questa sede, aveva l'onere, proprio al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio di reclamo precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare la questione stessa.

Va peraltro considerato che il potere disciplinare del consiglio notarile non si esercita attraverso un'attività giurisdizionale, avendo tale funzione natura amministrativa, in quanto svolta, nei confronti di appartenenti ad un gruppo organizzato, da un organo che ne è diretta emanazione ed opera al suo interno, per violazione di interessi propri dello stesso, mentre l'intervento della giurisdizione avviene successivamente all'esercizio del potere disciplinare del gruppo, a garanzia esclusiva dei singoli, ed ha luogo mediante l'esame dell'atto che ha definito il procedimento disciplinare (Cass., sez. un., 26 giugno 2002, n. 9328). Ora, certamente anche un organo disciplinare o amministrativo può presentare le caratteristiche di un "tribunale", così come inteso nell'accezione autonoma di cui all'art. 6 CEDU, e pure se nell'ordinamento interno assuma una denominazione differente da quella di "tribunale" o "corte"; inoltre, ai fini della garanzia che il "tribunale" sia imparziale, ai sensi dell'art. 6 par. 1 CEDU, l'imparzialità, quale assenza di pregiudizi o preconcetti, implica altresì che non si dia luogo all'esercizio di differenti funzioni da parte della stessa persona nel medesimo giudizio. Tuttavia, mentre il ricorrente sostiene che il cumulo di funzioni in capo al Consiglio notarile ed al suo Presidente violi le esigenze di imparzialità ex art. 6 par. 1 CEDU, si può opporre che proprio la struttura processuale normativamente adottata in relazione alla professione notarile viene portata ad esempio di procedimento disciplinare ossequioso, già nella sua fase amministrativa, dei principi del giusto processo, in quanto poggiante su una rigida divisione tra fase pre-procedimentale e procedimento disciplinare vero e proprio. Le critiche di difetto di imparzialità dell'organo giudicante nei procedimenti disciplinari sono normalmente radicate su discipline che conferiscono all'Ordine professionale sia la fase di accertamento e di formulazione dei capi di incolpazione, sia la direzione dell'istruzione probatoria, sia la decisione in merito alla accusa disciplinare. Nel sistema del procedimento disciplinare notarile ridisegnato dal d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249, al Consiglio Notarile (oltre che al Procuratore della Repubblica ed al Capo dell'archivio notarile) è affidato il compito della richiesta di apertura del procedimento disciplinare rivolta alla Commissione regionale di disciplina, che si connota per la contestazione del rilievo disciplinare all'incolpato, l'illustrazione delle prove raccolte e la domanda di una sanzione. Questa fase non pone già l'esigenza di garanzie di difesa, non essendo ancora pendente un procedimento disciplinare. Spetta, invece, alla Commissione di procedere all'istruzione nel contraddittorio con l'incolpato (il quale può far esaminare tutti gli elementi acquisiti nella fase pre-procedimentale), e, all'esito, di decidere, come organismo terzo ed imparziale, sulla fondatezza dell'addebito. In tale fase opera con pienezza il principio del contraddittorio, con facoltà per le parti di farsi assistere da un difensore, di presentare memorie e indicare i mezzi istruttori di cui intendono avvalersi. Il collegio assume, anche d'ufficio, tutte le prove ritenute rilevanti ai fini della decisione. Le dichiarazioni delle persone informate dei fatti sono assunte con le modalità previste per i testimoni dal codice di procedura civile, in quanto compatibili (art. 156 bis, legge notarile).

VI. E' opportuna, stante la stretta connessione esistente tra essi, la trattazione congiunta del quinto, sesto e settimo motivo del ricorso del Notaio F.S. (nonché della residua parte finale del terzo motivo, che esprime analogo contenuto), come dei quattro motivi di ricorso del notaio L.G.B..

I citati motivi del ricorso S. attengono alla violazione degli artt. 2, 4, 24, 41, 101 e 111 Cost., degli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, degli artt. 47 e 147, lettera b, legge notarile, con riferimento agli artt. 1 e 4 dei principi di deontologia professionale dei notai, dell'art. 112 c.p.c., ed all'omessa motivazione.

I quattro motivi del ricorso G.B. attengono alla violazione e falsa applicazione degli artt. 47, comma 2, 147, lett. a) e b), legge n. 89 del 1913, con riferimento agli artt. 1, 27, 36 e 37 dei "Principi di deontologia professionale dei notai", nonché dell'art. 2697 e ss. c.c., ed al vizio della motivazione del provvedimento impugnato.

Si afferma dai ricorrenti che le prove raccolte non dimostrino la contestata interferenza tra professioni ed affari e quindi il pregiudizio per il decoro ed il prestigio della categoria notarile; che non sarebbe stato in concreto trasgredito l'accordo intervenuto con il Presidente M. finalizzato ad evitare ripercussioni negative sui dipendenti dello studio S.; che tutta l'attività materiale di carattere preparatorio, prodromico ed ausiliario, rispetto alla stipula degli atti, costituisca attività estranea a quelle istituzionali della funzione notarile; che diverse conclusioni su tali punti potevano essere raggiunte dalla Corte d'Appello se la stessa avesse assunto le prove dedotte dal reclamante S., difettando al riguardo ogni motivazione; che non era stata contestata in sede disciplinare al notaio S. la violazione dell'art. 47, legge notarile; che non vi sarebbe prova di una posizione ancillare o subalterna del notaio G.B., il quale avrebbe coadiuvato il notaio sospeso, senza però sottrarsi alla personalità nell'esecuzione delle prestazioni propriamente notarili.

Tali motivi sono infondati.

Deve dirsi che il ricorrente S., nei motivi III e V b), censura il diniego della prova testimoniale della clientela dello studio notarile "e degli altri soggetti coinvolti" in quanto richiesta espressamente (pagina 19 di ricorso) "nell'atto di appello del 7 aprile 2014 alla lettera E", nonché la mancata audizione del Presidente del locale Consiglio Notarile ed il mancato confronto tra testimoni (pagina 20), trattandosi di "fatti decisivi". Quanto alle circostanze oggetto delle prove che si lamentano non ammesse, il ricorrente S. precisa che esse riguardassero "il contenuto dell'accordo e la modalità di esecuzione dell'incarico" da parte dei notai incolpati. Vengono così trascritti a pagina 27 di ricorso gli articoli di prova specificati nell'atto di reclamo, riportati mediante fotocopia e relativi al solo Notaio Mario M., il quale doveva essere, appunto, interrogato su quanto convenuto tra questi ed i Notai A., P. e G.B. nell'incontro del novembre 2012. Si reputava quindi decisivo dimostrare come le concrete contestate modalità di svolgimento dell'attività professionale da parte degli incolpati non avessero travalicato i limiti dell'accordo raggiunto in quella sede. Tali doglianze sull'omessa ammissione delle dedotte prove da parte della Corte d'Appello sono veicolate in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell'art. 112 c.p.c. (principio della domanda), dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (omessa motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio), e della violazione e falsa applicazione dell'art. 4 dei Principi di deontologia professionale, nonché degli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU.

Ora, va detto che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, il mancato esame di un'istanza istruttoria, quale denunciato dal ricorrente S., non integra omessa pronuncia, cioè violazione dell'art. 112 c.p.c., in quanto tale norma non riguarda le istanze istruttorie, sibbene soltanto le domande attinenti al merito.

Nella specie, la Corte di Milano, peraltro, ha disatteso il reclamo sulla base del convincimento raggiunto alla stregua dell'istruttoria compiuta dalla CO.RE.DI, trascrivendo o richiamando le dichiarazioni ivi raccolte ed i documenti acquisiti. In tal senso, il collegio del reclamo, pur non avendo motivato espressamente il diniego delle deduzioni istruttorie del reclamante S., ha provveduto a tanto in maniera implicita, rispondendo alle censure di quest'ultimo attraverso la valorizzazione delle risultanze della fase amministrativa. Escluso, allora, che il mancato espresso rigetto dell'istanza di prove testimoniali integrasse un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112 c.p.c., va valutato se esso generasse eventualmente un vizio di motivazione sotto il profilo dell'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. Incide, al riguardo, la riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, la quale, come autorevolmente spiegato da Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, deve essere interpretata come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione. In questi termini, un vizio rilevante del provvedimento impugnato per cassazione, imputabile ad omesso esame di fatti decisivi per il giudizio conseguente alla mancata ammissione di prove dedotte dalla parte, suppone vieppiù che esse afferiscano a circostanze suscettibili di indurre ad una decisione diversa da quella adottata, nel senso che l'istanza istruttoria non esaminata concernesse vicende che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto indurre ad un diverso esito della lite.

Ciò premesso, le uniche circostanze specificamente articolate nel ricorso S. come oggetto della prova denegata (pagina 27) non rivelano alcuna attitudine dimostrativa di fatti rilevanti ai fini del decidere, in quanto attengono agli esatti contenuti dell'accordo raggiunto col Presidente M.. Tale accordo, di per sé, non può certamente costituire il parametro valutativo della sussistenza degli illeciti disciplinari in esame, in quanto le regole deontologiche elaborate dal Consiglio del notariato costituiscono norme giuridiche obbligatorie ed indisponibili, che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell'illecito disciplinare e non possono essere oggetto di alcun negoziato esonerativo, neppure se lo stesso coinvolga uno dei soggetti istituzionalmente titolari dell'iniziativa del procedimento disciplinare.

Rivelerebbero, piuttosto, decisività, per come ricostruito il tema di lite, gli elementi probatori aventi ad oggetto le condotte, personalmente attribuibili al Notaio F.S. nel periodo da 9 novembre 2012 al 19 maggio 2012, di utilizzazione di intermediazioni, relazioni, strutture e mezzi al fine di svolgere un'autentica "attività di affari", consistente nella prestazione di servizi non notarili in favore dei notai A., G.B. e P., contro corrispettivi in denaro. Quanto all'incolpato G.B., le condotte  meritevoli di approfondimento si riferiscono invece, all'individuazione dei servizi prestati dalla "struttura S.", ovvero dalla S.M. s.r.l., onde verificare se essi appartenessero all'ambito inalienabile della personalità della prestazione notarile, intendendosi correttamente la stessa come non limitata alla celebrazione dell'atto.

Nel ricorso S., le ulteriori prove testimoniali "della clientela", che potevano dimostrare decisività agli effetti dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non risultano specificate. Ma il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito, ha sempre l'onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione dev'essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass., sez. un., 22 dicembre 2011, n. 28336). È quindi privo di autosufficienza il ricorso fondato su motivo con il quale viene denunziato un vizio di motivazione in ordine alla mancata assunzione di una prova testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi, così precludendosi alla Corte di legittimità di valutare autonomamente la fondatezza delle ragioni per cui si chiede la cassazione della pronuncia di merito, senza necessità di accedere ad elementi o ad atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Non è possibile, pertanto, cogliere l'erroneità che si ravvisa nel dato che la Corte di Milano abbia fondato il proprio convincimento esclusivamente sull'acquisizione documentale delle prove raccolte nel procedimento svoltosi davanti alla CO.RE.DI, giacchè, a parte la non decisiva circostanza del contenuto dell'accordo raggiunto ex ante col Presidente M., non viene specificamente indicato in ricorso l'oggetto delle prove altrimenti non ammesse.

Venendo al merito delle contestazioni disciplinarsi, deve premettersi come l'art. 147, comma 1, lett. a), della legge 16 febbraio 1913, n. 89, configura in termini di illecito condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonché il decoro ed il prestigio della classe notarile, la cui individuazione in concreto è rimessa agli organi di disciplina (Cass. 28 agosto 2015, n. 17266); mentre l'art. 147, comma 1, lett. b), della legge n. 89 del 1913 (come sostituito dall'art. 30 del d.lgs. 1 agosto 2006, n. 249) prevede che sia punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il notaio che "viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato".

Quanto al connotato di personalità dell'esecuzione della prestazione del notaio (che si vuole trasgredita dal ricorrente G.B. nell'attività svolta presso la "struttura" del notaio S. durante la sospensione di quest'ultimo), è noto come l'art. 47, comma 2, legge 16 febbraio 1913, n. 89, prescriva che "il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell'atto"; mentre già l'art. 67 del R.D. 10 settembre 1914, n. 1326, affermava: "Spetta al notaro di dirigere la compilazione dell'atto dal principio alla fine, anche nel caso che lo faccia scrivere da persona di sua fiducia; a lui solo compete d'indagare la volontà delle parti e di chiedere, dopo di aver dato ad esse lettura dell'atto, se sia conforme alla loro volontà".

Il Codice deontologico approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato, infine, stabilisce che:

«L'esecuzione della prestazione del notaio è caratterizzata dal "rapporto personale" con le parti. La facoltà di valersi di collaboratori non può pregiudicare la complessiva connotazione personale che deve rivestire l'esecuzione dell'incarico professionale.

In ogni caso compete al notaio svolgere di persona, in modo effettivo e sostanziale, tutti i comportamenti necessari:

- per l'accertamento della identità personale delle parti, con utilizzazione di tutti gli elementi idonei e con prudente esame dei documenti di identificazione in relazione al tipo e alla loro possibilità di falsificazione;

- per l'indagine sulla volontà delle parti, da svolgere, in modo approfondito e completo, mediante proposizione di domande e scambio di informazioni intese a ricercare anche i motivi e le possibili modificazioni della determinazione volitiva come prospettatagli;

- per la direzione della compilazione dell'atto nel modo più congruente alla accertata volontà delle parti».

In tal senso, questa Corte ha più volte affermato come, ai fini disciplinari, il notaio deve svolgere personalmente tutte le funzioni attribuitegli dall'ordinamento nel ricevimento degli atti, con specifico riguardo all'individuazione della volontà delle parti, incluse le attività preparatorie e le successive, non potendo delegare per intero ai collaboratori tali attività sulla base del loro carattere "routinario" o "seriale" (Cass. 4 aprile 2014, n. 8036); specificando altresì che i doveri del notaio di audizione delle parti, di informazione delle stesse, di imparzialità ed equidistanza tra di esse, vanno adempiuti dal professionista sia prima che dopo la stesura dell'atto da leggere alle parti, con la conseguenza che deve escludersi che il notaio possa sistematicamente delegare le suddette attività preparatorie ai propri collaboratori (Cass. 18 marzo 2008, n. 7274). Sicché integra illecito disciplinare il caso in cui il notaio commetta ad altri l'indagine sulla volontà delle parti e la direzione della compilazione dell'atto (Cass. 30 novembre 2006, n. 25487); come il comportamento del professionista, che proceda al mero accertamento della volontà delle parti ed alla direzione nella compilazione dell'atto, ma ometta di interessarsi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell'atto e del risultato pratico perseguito - (Cass., sez. un., 31 luglio 2012, n. 13617).

Il paragrafo 1 degli stessi Principi di deontologia professionale dei notai (emanati dal Consiglio Nazionale Notariato con deliberazione n. 2/56 del 5 aprile 2008), a sua volta, dispone:

"Il notaio deve conformare la propria condotta professionale ai principi dell'indipendenza e dell'imparzialità evitando ogni influenza di carattere personale sul suo operare ed ogni interferenza tra professione ed affari. Ugualmente egli deve nella vita privata evitare situazioni che possano pregiudicare il rispetto dei suddetti principi".

Questo precetto stabilisce, pertanto, le condizioni di "indipendenza" e di "imparzialità" che devono essere rispettate dal notaio, garantendole, in particolare, dalla compromissione conseguente alle commistioni tra professione ed affari. Per comprendere la portata del principio deontologico, basta considerare come l'art. 2, comma 1, legge notarile, contempli l'incompatibilità dell'ufficio di notaio "con la professione ... di commerciante, di mediatore, agente di cambio o sensale ...". Il divieto "di ogni interferenza tra professione ed affari" implica, quindi, l'impedimento di qualsiasi commistione tra l'attività notarile e quella commerciale. Ben si spiega che, vietando le interferenze fra notariato ed affari, il paragrafo 1 del vigente Codice deontologico intende colpire i momenti mercantili che possono contaminare la professione notarile, pur senza dare luogo ad un vero e proprio esercizio del commercio, facendosi gli esempi del notaio che pattuisca una provvigione a titolo di compenso per il reperimento di potenziali compratori della vendita che deve stipulare, o di sottoscrittori interessati alle azioni inerenti - alla deliberazione societaria da lui redatta.

L'impugnata ordinanza della Corte d'appello di Milano ha ravvisato la violazione dei canoni deontologici di personalità dell'esecuzione della prestazione notarile da parte del notaio G.B., come anche l'interferenza tra professione ed affari in capo al notaio F.S., nelle circostanze, tutte desunte dall'istruttoria espletata presso la CO.RE.DI, che "la struttura del notaio S." provvedesse alla predisposizione dei preventivi, all'accompagnamento dei clienti presso il notaio disponibile individuato sulla base di turni prefissati, all'istruttoria delle pratiche ed all'assistenza alla stipula. Dalle dichiarazioni dei notai A., G.B. e P. si era desunto che i collaboratori dello studio S. dapprima istruivano l'affare e poi seguivano i clienti fino all'affidamento dell'atto al notaio incaricato per la stipulazione, sicché alcun incontro preliminare alla redazione dell'atto si verificava tra il notaio rogante e la parte. I preventivi venivano intestati al notaio S. e nessun riferimento predeterminato essi contenevano riguardo all'uno o all'altro dei notai A., G.B. e P. che avrebbe curato l'atto. Anche la parcella veniva resa su carta intestata al notaio S.. Dopo aver incassato l'importo indicato in tali parcelle, i tre notai coadiuvanti rimettevano alla S.M. s.r.l. il 50% dell'onorario riscosso, società il cui capitale è detenuto per il 99% dalla fiduciaria U. S.r.l., della quale è fiduciante il notaio S.. Si trattava, a dire della Corte di Milano, di importo forfetizzato elargito dai coadiuvanti in misura fissa in favore dello studio S., e dunque non di rimborso dei costi da questo sostenuti, né di pagamento dei servizi offerti, quanto di compenso per il procacciamento di incarichi professionali.

Questa base fattuale, in parte neppure contestata dai ricorrenti, in parte comunque non investita in sede di legittimità di una puntuale specificazione di prove ad essa contraria, dimostra la sussistenza di condotte attribuibili al Notaio F.S., per il tramite dello studio a lui riferibile, volte all'utilizzazione, nel periodo da 9 novembre 2012 al 19 maggio 2012, di intermediazioni, relazioni, strutture e mezzi al fine di svolgere un'autentica "attività di affari", consistente nella prestazione di servizi non notarili in favore dei notai A., G.B. e P., contro corrispettivi in denaro.

Quanto all'incolpato G.B., le condotte evidenziate in motivazione dalla Corte d'appello di Milano, come rese in sua vece dalla "struttura S.", ovvero dalla S.M. s.r.l., quali il compimento esclusivo dell'istruttoria delle pratiche e l'intero espletamento delle attività antecedenti alla stipula, si rivelano lesive della personalità della prestazione notarile, intendendosi correttamente la stessa come non limitata alla celebrazione dell'atto, quanto estesa a tutta l'attività preliminare di consulenza, istruttoria e predisposizione delle minute, ed a tutta l'attività successiva consistente negli adempimenti che competono al notaio, purché si tratti di attività comunque specificamente funzionali all'individuazione della volontà delle parti.

L'organizzazione allestita dallo studio S., per scongiurare le ripercussioni economiche conseguenti alla sospensione disciplinare semestrale scontata dal notaio titolare, prevaricava la natura strettamente fiduciaria ed infungibile del rapporto che deve instaurarsi tra cliente e notaio. La prestazione professionale del notaio va, invero, affidata e programmata "intuitu personae", connotandosi per la scelta di un determinato soggetto a preferenza di altri, senza mai rimanere, perciò, surrogabile impersonalmente da un'equipe di sostituti e collaboratori tale da rendere indifferente l'esecuzione da parte dell'uno o dell'altro professionista. Il totale esonero del notaio rogante da tutte le attività antecedenti alla stipulazione rende lo stesso mero certificatore di quanto dalle parti dichiarato, sottraendolo all'inderogabile dovere di ricostruirne preventivamente gli intenti negoziali e adeguare gli stessi al testo dell'atto. Quanto dedotto in ricorso dal notaio S. (si veda, ad esempio, la stessa dichiarazione della collaboratrice di studio A. trascritta a pagina 32, secondo la quale la loro struttura predisponeva una bozza dell'atto contenente i dati personali delle parti e l'oggetto della compravendita, utilizzando le clausole più ricorrenti nella pratica, venendo poi il documento "rivisto" al momento della stipula) sottintende proprio un'inaccettabile prospettazione della personalità della prestazione dei notai coadiuvanti incolpati, in quanto vista limitata al momento celebrativo del rogito, mentre, secondo quanto chiarito dalla già richiamata Cass. 4 aprile 2014, n. 8036, l'attività propria del notaio volta all'indagine della volontà delle parti deve abbracciare anche la fase che precede la stipula, e non consente alcuna delega di  funzioni a collaboratori (nella specie, operata a quelli del notaio S.) neppure per le attività di tipo routinario o seriale. Perché potesse ravvisarsi la personalità della prestazione dei notai coadiuvanti (e dunque del ricorrente G.B.) e quindi escludersi un'anomala intermediazione dei dipendenti del Notaio S., mediante l'apprestamento remunerato di un'organizzazione di impresa al servizio dei primi, doveva accertarsi, piuttosto, che i notai stipulanti avessero, di volta in volta, espletato di persona le preliminari attività di indagine sulla volontà delle parti a ciascuno di loro rivoltesi, di sintesi delle informazioni così raccolte e di elaborazione del relativo schema negoziale, di informazione circa la liceità e la convenienza dell'atto e di conseguente adattamento del documento alle esigenze in concreto divisate. Viceversa, gli elementi di fatto riassunti nell'ordinanza della Corte d'Appello di Milano, non decisivamente confutati dai ricorrenti, depongono per la creazione di un sistema di lavoro in cui le persone dei tre notai coadiuvanti erano al servizio di un assetto predefinito di persone e di mezzi, dove l'esercizio della funzione notarile avveniva non in nome del singolo notaio rogante, quanto, piuttosto, dell'organizzazione imprenditoriale predisposta dal notaio S. e che si avvaleva altresì, nel solo momento celebrativo dell'atto, dell'alternativo, e perciò fungibile, contributo lavorativo dei notai A., G.B. o P..

Né, al fine di scongiurare la contestata interferenza tra professioni ed affari, e quindi il pregiudizio per il decoro ed il prestigio della categoria notarile, rileva obiettare, come si fa nel secondo motivo del ricorso del notaio G.B., l'insussistenza di ogni concreto vantaggio economico ricevuto dal notaio S., avendo la S.M. S.r.l. subito perdite di esercizio negli anni 2012 e 2103. L'intollerabile commistione fra attività notarile e commercio rimane comunque ravvisabile alla stregua delle concrete modalità esecutive del rapporto stabilitosi tra i notai incolpati, che lasciava all'associante Notaio S. la titolarità e l'amministrazione dell'impresa, nonché la gestione del servizio, mentre conferiva ai notai coadiuvanti A., G.B. e P. soltanto diritti di cointeressenza, consistenti nella partecipazione ad una percentuale fissa dei compensi per gli atti rogati.

VII. Sono infondati l'ottavo ed il nono motivo del ricorso del notaio S., che possono essere trattati congiuntamente. Essi attengono alla contestazione disciplinare relativa all'art 147, lettera b, della legge notarile con riferimento all'art. 15 del codice deontologico, il quale consente ai notai, nell'interesse collettivo, la sola pubblicità informativa, improntata alla sobrietà, concernente dati personali attinenti l'attività e situazioni ed elementi organizzativi fondati su dati obiettivi e verificabili, nel rispetto dell'indipendenza, della dignità e dell'integrità della funzione pubblica nonché del segreto professionale. Si censura dal ricorrente la violazione e falsa applicazione di tali norme, nonché dell'art. 2, punto 1, Direttiva 84/450/CEE, dell'art. 2, lett. a, della Direttiva 2006/114/CE e del d.lgs. di recepimento 2 agosto 2007, n. 145, degli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'U.E. in relazione all'art. 15 del Codice deontologico, degli artt. 2 e 21 Cost., dell'art. 10 CEDU, dell'art. 11 della carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, dell'art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo. Va premesso che, seppure l'indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile per l'ammissibilità di un motivo di ricorso per cassazione, si tratta comunque di elemento richiesto allo scopo di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti dell'impugnazione. Ne consegue che l'indicazione di disposizioni di legge nella rubrica del motivo di ricorso, cui non faccia seguito l'allegazione di corrispondenti argomenti che consentano di individuare le norme e i principi di diritto di cui si denunci la violazione, può comportare l'inammissibilità della singola doglianza. Parimenti inammissibile è il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione di legge in relazione ad un intero corpo di norme, precludendo alla Corte di individuare la norma che si assume violata o falsamente applicata (Cass., sez. un., 18 luglio 2013, n. 17555). In ogni caso, può osservarsi come i limiti posti dall'art. 15 del Codice deontologico al ricorso alla pubblicità da parte dei notai appaiono improntati alla salvaguardia della dignità e reputazione del notaio, nonché del decoro e del prestigio della classe notarile, e determinano la condotta sanzionabile in quella idonea a compromettere l'interesse tutelato. I successivi artt. 16 e 17 del medesimo Codice deontologico specificano quali dati personali possano essere diffusi, agli effetti dell'art. 15, quali pubblicità informative siano comunque ammesse, ed a quali criteri e vincoli (rispetto della funzione pubblica, del prestigio e del decoro della categoria) debba rispondere la pubblicità. Tali prescrizioni deontologiche sono, peraltro, in linea, con quanto poi stabilito dall'art. 4 del D.P.R. 7 agosto 2012 n.137 (Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali), il quale, ai primi due commi, stabilisce che è ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni; ed aggiunge che tale pubblicità dev'essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria.

La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affermare che l'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero - professionali, stabilita dall'art. 2 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, non preclude agli organi professionali di sanzionare le modalità ed il contenuto del messaggio pubblicitario, quando non conforme a correttezza, in linea con quanto stabilito dai codici deontologici delle professioni (Cass., sez. un., 3 maggio 2013, n. 10304; Cass., sez. un., 13 novembre 2012, n. 19705; Cass., sez. un., 10 agosto 2012, n. 14368). Né la disciplina del d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, incide sulle violazioni dei codici di deontologia professionali, che sanzionino, come appunto l'art. 15 del Codice deontologico notarile, le forme di "pubblicità" svolte con modalità lesive della dignità e del decoro della professione. E', quindi, vietata al notaio ogni pubblicità che sia funzionale all'interesse promozionale del singolo, ovvero all'accaparramento di clientela attraverso diffusione di notizie soggettive, oppure anche oggettive ma non verificabili e perciò autoreferenziali, o comunque non confacenti alla sobrietà, al decoro ed al prestigio della funzione notarile, secondo il comune sentire dell'etica professionale. E', invece, consentita, ogni pubblicità volta ad informare il pubblico, a facilitare, cioè, una scelta informata del professionista da parte della clientela. In tal senso, non merita censure il ragionamento espresso dalla Corte d'Appello di Milano,  secondo cui il comunicato fatto pubblicare dal notaio S. per due giorni di seguito sui principali quotidiani locali bresciani, fosse volto soltanto a promuovere l'immagine professionale del medesimo notaio, contrastando l'effetto negativo della notizia della sanzione disciplinare appena espiata. Con tale comunicato non si informavano i lettori circa l'attività del notaio S. o circa situazioni ed elementi organizzativi fondati su dati obiettivi e verificabili, ma si richiamava suggestivamente l'attenzione del pubblico sulle "idee" concernenti "regole, concorrenza e mercato" del notaio stesso, idee che non si possono "fermare". In tale interpretazione, prescelta dalla Corte di merito e qui non censurabile, non c'è alcuna lesione dell'attività di manifestazione della personalità e del pensiero, non essendo vietato ciò al notaio, quanto il ricorso a veri e propri mezzi di pubblicità e di richiamo, finalizzati all'acquisizione di nuovi clienti.

Né sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, invocato dal ricorrente, per domandare se la direttiva 2005/29/CE, la direttiva 2006/114/CE e la direttiva 2006/123/CE, nonché gli artt. 49 e 56 TFUE, in relazione all'art, 147, lettera b, legge notarile ed all'art. 15 dei principi di deontologia dei notai italiani, consentano di considerare come pubblicità, e quindi di sanzionare disciplinarmente, una dichiarazione trasmessa alla stampa da un notaio, del tenore di quella per cui è causa: in tal modo, infatti, il ricorrente si limita a censurare direttamente l'incompatibilità con il diritto dell'Unione delle conseguenze "di fatto" derivanti dall'interpretazione del diritto interno data dalla Corte d'Appello di Milano, senza sollecitare un'interpretazione generale ed astratta della normativa interna. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non costituisce, infatti, un rimedio giuridico esperibile automaticamente a semplice richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità (Cass., sez. un., 10 settembre 2013, n. 20701). La Corte di Giustizia Europea, nell'esercizio del potere di interpretazione di cui all'art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, non diviene, perciò, il giudice del caso concreto, bensì l'interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale (Cass., sez. un., 5 luglio 2013, n. 16886).

D'altro canto, la stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte appena richiamata ha posto in evidenza che le disposizioni che hanno dato concreta attuazione nell'ordinamento italiano alle norme comunitarie sulla libera concorrenza e sulla libertà di circolazione delle persone e dei servizi, anche per quanto attiene alla materia delle professioni, non possono incidere "sul rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità informativa è realizzata" (Cass., sez. un., 10 agosto 2012, n. 14368).

Né è sostenibile una lettura della normativa comunitaria nel senso che essa consenta la realizzazione della pubblicità professionale pure con modalità lesive della dignità e del decoro della professione: la condotta attribuita al notaio S., e concretamente individuata dalla CO.RE.DI. come illecito disciplinare (con valutazione che può essere oggetto di controllo giurisdizionale in sede di legittimità dalla Corte di Cassazione soltanto nei limiti di una verifica di ragionevolezza, atteso che l'apprezzamento della rilevanza dei fatti rispetto alle incolpazioni appartiene all'esclusiva competenza dell'organo disciplinare) non oblitera, d'altro canto, il diritto assoluto del notaio al libero esercizio di una "pubblicità" della sua attività professionale, ma persegue unicamente le modalità con cui tale pubblicità si è realizzata, travalicando i limiti deontologici disciplinarmente rilevanti.

Nessun rilievo merita pure l'attributo di "non occasionalità" che la Corte di merito ha riconosciuto a tale violazione.

Nel contesto del comma 1, lett. b), dell'art. 147 della legge notarile - che punisce con la censura o con la sospensione fino ad un anno (o, nei casi più gravi, con la destituzione) il notaio che "viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato" - l'espressione "non occasionale" va interpretata nel senso che non è sanzionabile un'isolata violazione, tale non potendosi definire la diffusione di un messaggio pubblicitario non consentito su cinque quotidiani e periodici per due giorni consecutivi (cfr. Cass. 23 gennaio 2014, n. 1437, in motivazione).

VIII. Infondato è il decimo motivo di ricorso, con cui si denuncia il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte di Milano sul punto ha evidenziato che la mancata concessione delle attenuanti generiche trovasse spiegazione nel difetto di circostanze socialmente rilevanti che ne avvalorassero la meritevolezza, ed anche nella non incensuratezza dello notaio S., con ciò dando conto adeguatamente delle ragioni ostative all'esercizio del relativo potere discrezionale. Sul punto, non vi sono perciò ragioni per non confermare l'orientamento di questa Corte, secondo il quale, nel procedimento disciplinare a carico dei notai, la mancata concessione delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, che può concederle o negarle, dando conto della scelta con adeguata motivazione, ed essendo a tal fine sufficiente la giustificazione dell'uso del potere discrezionale con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass. 27 maggio 2011, n. 11790; Cass. 25 febbraio 2000, n. 2138).

IX. Pertanto, vanno rigettati i ricorsi proposti da L.G.B. e da F.S., con conseguente regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

Quanto ricorso proposto dal notaio F.P., dichiarato inammissibile per cessazione della materia del contendere, le relative spese di questo giudizio possono, invece, essere interamente compensate tra le parti in considerazione dell'esito del procedimento.

Poiché i ricorsi di L.G.B. e di F.S. sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono stati respinti, sussistono le condizioni per dare atto — ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni integralmente rigettate.

Tale obbligo non sussiste, invece, per il ricorrente F.P., stante l'inammissibilità sopravvenuta, e non originaria, del suo gravame (cfr. Cass. 2 luglio 2015, n. 16636).

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi proposti da L.G.B. e da F.S.; dichiara inammissibile il ricorso proposto da F.P. per cessazione della materia del contendere; condanna ciascuno dei ricorrenti L.G.B. e F.S. a rimborsare al controricorrente le spese sostenute in questo giudizio, che liquida in complessivi € 7,200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; compensa le spese del giudizio di cassazione nel rapporto tra il ricorrente F.P. ed il controricorrente.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti L.G.B. e F.S., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.