Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 maggio 2016, n. 18488

Reati fiscali - Falsificazione modello F24 - Atto pubblico

 

Ritenuto in fatto

 

1. Viene proposto ricorso avverso l'ordinanza del Tribunale di Taranto che, a seguito di richiesta di riesame, ha confermato l'ordinanza del GIP di Taranto del 9.12.15 con cui è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di M. M. in ordine ai reati di cui agli artt. 81 cpv. 61 n. 2, 476 co.2, 482 c.p. e 11 d.lgs.74/00.

2. Il ricorso si articola su quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 476 co.2, 482, 478 c.p.in quanto la condotta del soggetto privato che falsifichi un modello F24 non è sussumibile in tali norme e, in particolare, a tale atto non è attribuita valenza probatoria privilegiata.

In particolare, il reato contestato non sussiste in difetto della materialità del corpo di reato, atteso che i modelli F24 di cui si contesta la falsificazione non sono quelli rilasciati dalla banca (nella terza copia che costituisce ricevuta per il cliente) ma semplici fotocopie.

La qualificazione giuridica non è corretta in ragione del ruolo svolto dall'Istituto di credito delegato alla riscossione, che rilascia una mera attestazione che esaurisce la sua efficacia in ambito privatistico, di tal che il modulo F24 costituisce una mera attestazione sul contenuto di atti e, come tale, la sua materiale falsificazione integra l'ipotesi di cui agli artt. 478 e 482 c.p. quando autore del falso sia un privato.

2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 406 e 407 c.p.p. attesa l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti successivamente al 3 aprile 2015, posto che i decreti di proroga non vennero mai notificati all'indagato.

2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell'art. 273 c.p.p .in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato al capo I) vale a dire la violazione dell'art. 11 d.lgs.74/00 - sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte punita fino a quattro anni o a sei anni se aggravato.

2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 274, 275, 292 co.2 lett.c) e c) bis c.p.p. in quanto il Tribunale del Riesame avrebbe ritenuto la concretezza ed attualità del pericolo per la genuinità della prova, traendone erroneamente la convinzione da un episodio in cui il M. avrebbe avvicinato uno dei clienti sostanzialmente truffati (non avendo egli provveduto a versare le somme che riceveva per il pagamento dei bollettini F24) proponendogli un parziale risarcimento dei danni evidentemente al fine di influire sulla sua deposizione testimoniale.

Ad oggi dopo il sequestro dei beni e dei depositi bancari, il ricorrente non avrebbe alcuna disponibilità economica per tacitare eventuali altri denuncianti, di tal che sarebbe del tutto slegato dalla realtà il ritenere che M. possa inquinare il materiale probatorio.

Quanto al pericolo di reiterazione, il Tribunale lo evince dalla sistematicità delle condotte tenute per anni, omettendo di rilevare che i fatti sono stati commessi fino al 2012 e che il ricorrente non è più in condizione di svolgere l'attività di consulente del lavoro, in quanto è stato sospeso dall'esercizio della professione.

La precedente condanna riguarda fatti commessi nel 1993 ed il reato è stato dichiarato estinto ex art. 445 c.p.p.

Non corretta appare la prospettazione dei giudici di merito che hanno negato l'idoneità della misura degli arresti domiciliari senza considerare che il ricorrente non potrebbe mai reiterare condotte quali quelle che gli vengono contestate se ristretto presso il proprio domicilio.

 

Considerato in diritto

 

1. Circa la configurabilità del falso ideologico in atto pubblico di fede privilegiata qualora oggetto della alterazione sia un modello F24, anche in fotocopia, la sentenza impugnata si uniforma alla costate giurisprudenza di questa Corte, peraltro correttamente citata, fra cui Sez. 5, n. 50569 del 10/10/2013 Rv. 258036 "La contraffazione degli attestati di versamento (cosiddetti modelli F24), rilasciati al privato dagli istituti di credito delegati per la riscossione delle imposte, integra il reato di falsità materiale in atto pubblico di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen., trattandosi di atti che attestano il pagamento, avvenuto alla presenza del dipendente della banca delegata, ed il conseguente adempimento dell'obbligazione tributaria, con efficacia pienamente liberatoria".

Si legge in motivazione che, per quanto riguarda la qualificazione giuridica della contraffazione, considerato che il modello F24 costituisce attestazione del pagamento, avvenuto alla presenza del dipendente della banca delegata, e del conseguente adempimento dell'obbligazione tributaria, con efficacia pienamente liberatoria, la falsità realizzata su tale documento integra il contestato reato di cui all'art. 476 c.p. (Sez. 5, n. 5584 del 10/11/1999 (12/05/2000), Cerretti, Rv. 216110; Sez. 5, n. 2569 del 24/11/2003 (26/01/2004), Canese, Rv. 227779; Sez. 6, n. 15571 dell'01/03/2011, Malisan, Rv. 250035). Minoritario e non condivisibile è il diverso orientamento citato dal ricorrente (Sez. 5, n. 36687 del 13/06/2008, Di Pasquale, Rv. 241427), per il quale la falsificazione integrerebbe il diverso reato di cui all'art. 478 c.p., in quanto ricadente su una mera attestazione derivata dell'atto di versamento, quest'ultimo individuabile nella parte del modello destinata all'agenzia delle entrate. Posto che la stessa decisione da ultima citata da atto che la copia riservata all'ufficio tributario e quella rilasciata al contribuente costituiscono due parti sostanzialmente identiche del modello, e che il documento destinato al contribuente ha di per sé funzione di quietanza del pagamento con efficacia liberatoria, non vi è alcuna ragione per differenziare la qualificazione giuridica dei due atti, laddove entrambi documentano, con pari efficacia nei confronti dei terzi, il compimento di un'attività svolta in presenza del funzionario che vi appone le attestazioni, ossia l'avvenuto pagamento dell'imposta.

Si rimanda, in ogni caso, alla giurisprudenza ampiamente riportata nell'ordinanza del Tribunale del Riesame ed altresì alla pronuncia della sez. 5 civile n.15110 del 30.6.06 Rv.592270, che ha affermato la natura pubblica dell'obbligazione, in capo all'istituto di credito, di versamento delle somme incassate quale delegato per la riscossione delle imposte.

Rispetto alla motivazione in diritto il ricorrente non ha dedotto argomentazioni nuove o tali da superarne la concludenza in termini giuridici.

2. Anche in merito al secondo motivo di ricorso, è perfettamente aderente alla fattispecie e corretta la risposta data dal Tribunale del Riesame alle censure esposte in quella sede.

L'omessa notifica all'indagato della richiesta di proroga delle indagini preliminari non è causa di nullità né determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la sua presentazione.

Da ultimo, in tal senso, Sez. 3 n.23953 del 12.5.15 Rv.263653.

Peraltro, non si comprende, nella lettura del motivo di ricorso, se la difesa intenda dolersi dell'omessa notificazione della richiesta di proroga delle indagini preliminari o dell’ordinanza con cui è stata disposta la proroga e, in ogni caso, nel provvedimento impugnato si evidenzia come le richieste di proroga siano state notificate nella forma della compiuta giacenza e la doglianza sotto questo specifico profilo difetta di specificità.

3. Per quanto riguarda il quadro indiziario in ordine al capo I) dell'imputazione provvisoria, il Tribunale del Riesame ha osservato che il 6.3.15 il M. ha venduto, per un corrispettivo di 27.800 euro al cognato P. L. la piena proprietà della quota indivisa, pari a 60/100.00, di un complesso immobiliare adibito ad albergo in Sardegna.

Tale operazione era avvenuta in un periodo immediatamente successivo rispetto alla verifica fiscale ( l'accesso della Guardia di Finanza è del 3.2.15) presso il M., quando già egli era stato denunciato dal alcuni clienti e il P. non aveva la disponibilità economica sufficiente ad effettuare tale acquisto, stando alle sue dichiarazioni dei redditi.

Si tratta di motivazione non apparente e non illogica, anzi sostenuta da considerazioni di carattere fattuale e logico estesamente esposte alle pagg.4-5-6, in cui si replica anche congruamente alle difese, nel merito, del ricorrente, difese che sono state sostanzialmente riproposte in questa sede.

La valutazione dei giudici di merito in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo I) non è suscettibile di censura.

3.1. Si deve ricordare, inoltre, che in caso di ricorso per cassazione avverso un provvedimento di riesame in tema dì misure cautelari personali, allorché sia denunciato vizio di motivazione, le doglianze attinenti alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., se cioè integrano il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Esula, quindi, dalle funzioni della Cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito e, in particolare, prima, del giudice al quale è richiesta l'applicazione della misura e poi, eventualmente, del giudice del riesame (sez. 2, n. 39504 del 17 settembre 2008).

4. L'orientamento giurisprudenziale ricordato consente di ritenere infondate anche le doglianze relative alla sussistenza delle esigenze cautelari, individuate nel pericolo di pregiudizio per la prova dei fatti ( in conseguenza dell'avvicinamento da parte del M. di uno dei testimoni parti lese con l'offerta di una somma di denaro, evidentemente diretta ad ammorbidirne le dichiarazioni) e nel pericolo che l'indagato commetta reati della stessa specie di quelli per cui si procede ( desunto dalla ripetizione per un lunghissimo arco temporale delle condotte oggetto dell'imputazione).

4.1. Concretezza ed attualità delle esigenze cautelari sono ravvisabili e correttamente argomentate, sotto il profilo del pregiudizio della prova, con riferimento al fatto che l'avvicinamento del teste R. sia successivo al 2014 e, quanto al pericolo di reiterazione di condotte analoghe, in considerazione della ripetizione dei reati per anni e sino al 2012, quanto ai falsi, ed anche in epoca più recente con riferimento alla condotta di cui al capo I).

5. La motivazione della ordinanza impugnata appare, invece, carente in ordine alla inidoneità di misure diverse dalla custodia in carcere a salvaguardare le esigenze cautelari individuate.

Si sostiene che una misura diversa dalla custodia in carcere, ivi compresa quella degli arresti domiciliari, non impedirebbe a M., dimostratosi abile utilizzatore di sistemi informatici e dei più moderni strumenti tecnologici, di perseverare nelle sue condotte illecite.

Non è chiaro in che misura il ricorrente potrebbe abusare della buona fede di eventuali clienti vecchi e nuovi, avvicinarli per influenzarne la testimonianza od alterare atti e documenti ove fosse messo in condizione di non incontrare alcuno e di non fare uso di apparecchiature informatiche, situazione che non implica necessariamente la custodia carceraria.

In tal senso va disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, limitatamente alla motivazione in ordine alla scelta della misura cautelare.

 

P.Q.M.

 

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Taranto.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 co. l ter delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale.