Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2016, n. 7031

Dipendente postale - Licenziamento senza preavviso - Contestazione disciplinare - Reato di usura

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 89/2012, depositata il 3 febbraio 2012, la Corte di appello di Salerno, in accoglimento del gravame proposto da G.G.M. e in riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, dichiarava la illegittimità del recesso senza preavviso intimato all’appellante dalla S.p.A. P.I., ordinandone l'immediata reintegra nel posto di lavoro già occupato e condannando la società datrice di lavoro al pagamento, in favore dei medesimo, di una somma pari a dieci mensilità commisurate all'ultima retribuzione di fatto erogata.

La Corte riteneva, diversamente dal primo giudice, che la contestazione disciplinare, comunicata con lettera 6/8/2008 a seguito della sentenza in data 10/7/2008 che aveva condannato l'appellante alla pena di tre anni ed otto mesi di reclusione per il reato di usura commesso in danno di altro dipendente addetto al medesimo ufficio postale, non fosse tempestiva, posto che già nell'aprile 2007 la società aveva sospeso il M. dal servizio alla luce dell'ordinanza che ne aveva limitato la libertà personale e il 30/5/2007, in sede di accertamenti interni, ne aveva raccolto le ammissioni, venendo così a disporre degli elementi essenziali della condotta dal medesimo posta in essere.

Sotto il profilo risarcitorio, osservava poi la Corte di dover contenere la condanna della società al pagamento di una somma pari a dieci mensilità e ciò in considerazione delle autonome opportunità lucrative che presumibilmente dopo tale periodo era da ritenere il ricorrente avesse potuto conseguire.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la S.p.A. P.I. con unico motivo; il M. ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto altresì ricorso incidentale, affidato ad unico motivo e a cui ha resistito la società con memoria di replica.

 

Motivi della decisione

 

I ricorsi, principale e incidentale, devono preliminarmente essere riuniti ex art. 335 c.p.c., in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Con unico motivo la S.p.A. P.I. censura la sentenza impugnata sia per violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., dell'art. 7 L. n. 300/1970, dell'art. 1 L. n. 604/1966 e degli artt. 1362 e segg. c.c.; sia per il vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In particolare, la ricorrente lamenta che la sentenza Impugnata abbia fatto cattivo uso dei principi affermati dalla Corte di legittimità in tema di rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare, incorrendo così in un'errata interpretazione delle norme che regolano il potere disciplinare e in un difetto di motivazione, nella parte in cui ha equivocato circa il comportamento datoriale.

Nella specie, infatti, il datore di lavoro, secondo la tesi della ricorrente, aveva inteso legare, nell'esercizio della propria discrezionalità, la valenza disciplinare della condotta del dipendente all'accertamento del reato di usura e tale accertamento poteva essere conseguito solo sulla base di una sentenza penale (sia pure non definitiva).

Con l'unico motivo di ricorso incidentale proposto il M. censura la sentenza nella parte in cui ha limitato a dieci mensilità la misura del risarcimento del danno, rilevando come in caso di accertata illegittimità del licenziamento in regime di tutela reale spettino al lavoratore licenziato tutte le retribuzioni comprese tra la data del recesso e quella della reintegrazione, salvo che il datore di lavoro non eccepisca e provi la sussistenza di fatti o circostanze idonee a determinare una riduzione del presuntivo ammontare del danno mentre, nella specie, la S.p.A. P.I. nulla aveva eccepito o provato.

Il ricorso principale è infondato e deve essere respinto.

Premesso, infatti, che il M. - così come accertato dalla Corte territoriale (cfr. sentenza, pag. 7) - ebbe a rendere, in data 30/5/2007, ampie ammissioni al funzionario datoriale che svolgeva appositi accertamenti, circa la propria condotta consistita nel fare prestiti ad un collega, ricevendone in restituzione somme di gran lunga maggiori, deve essere confermato il principio di diritto (Cass. n. 7410/2010; conf. Cass. n. 4724/2014), per il quale, in tema di licenziamento disciplinare, la rilevanza penale dei fatti non fa venir meno l'obbligo di immediata contestazione, in considerazione della rilevanza che esso assume rispetto alla tutela dell'affidamento e del diritto di difesa dell'incolpato, sempre che i fatti riscontrati facciano emergere, in termini di ragionevole certezza, significativi elementi di responsabilità a suo carico (come nella fattispecie, avendo il lavoratore riconosciuto in sede ispettiva la verità materiale dei fatti oggetto di indagine e non avendo, per altro verso, fornito elementi concreti che potessero essere di riscontro ai dedotti intenti scherzosi e solidaristici: cfr. ancora sentenza, pag. 8).

Ne consegue che non può ritenersi giustificato il differimento della contestazione di fatti già noti, ove esso sia stato determinato dalla volontà del datore di lavoro di acquisirne la valutazione in sede penale, e in particolare di acquisirne il formale inquadramento, peculiare di tale giudizio, rispetto all'una o all'altra fattispecie incriminatrice, tale incremento di conoscenza restando ininfluente, per la reciproca autonomia dei procedimenti penale e disciplinare, in presenza di condotte che risultino già adeguatamente percepite dal datore di lavoro tanto sul versante della loro realtà storica e fattuale, come su quello del loro disvalore etico e sociale.

Quanto al ricorso incidentale, se ne deve rilevare l'inammissibilità.

Esso infatti risulta generico, posto che non contiene alcun riferimento, neppure nella sua parte espositiva o argomentativa, ad uno dei vizi previsti dall'art. 360 c.p.c., cosi sottraendosi alla funzione determinativa e limitativa dell'ambito dell'impugnazione che ad esso è propria.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa le spese fra le parti.

Ai sensi dell'art: 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.