Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 aprile 2016, n. 6898

Licenzimento - Contestazione disciplinare - Inadempimento contrattuale - Mancata risoluzione dei problemi di qualità dei prodotti

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 619 del 2014, depositata il 20 giugno 2014, rigettando il reclamo proposto ai sensi dell'art. 1, comma 58, ssg., della legge n. 92 del 2012, confermava la sentenza del Tribunale di Pavia n. 210 del 2013, che, a propria volta, aveva confermato l'ordinanza emessa al sensi dell'art. 1, comma 49, della medesima legge, con la quale era stata accolta la domanda proposta da M.G. (ricorso 2 agosto 2012) di declaratoria della nullità e comunque dell'illegittimità del licenziamento intimatogli, con lettera del 15 marzo 2012, dalla società M. spa, a seguito di contestazione disciplinare del 24 febbraio 2012.

Al lavoratore, quadro di livello 5, con funzioni di responsabile del settore ricerca e sviluppo e con mansioni di coordinatore delle attività di produzione, era stato contestato di avere prospettato alcuna soluzione ai problemi di qualità dei prodotti, rifiutandosi di recarsi nei reparti produttivi, nonostante i solleciti del direttore di stabilimento, di non essersi recato ad un appuntamento, alle ore 7 del mattino del 21 febbraio 2012, presso il reparto produttivo per avviare le linee di produzione, sebbene avesse assunto tale impegno con il direttore generale.

L'ordinanza e la sentenza avevano ritenuto che la contestazione fosse generica e non circostanziata, e quanto alla mancata presenza in azienda il 21 febbraio, la stessa era stata smentita dagli informatori assunti in fase sommaria.

Dopo l'emissione dell'ordinanza da parte del Tribunale di Pavia, il M., con lettera del 31 ottobre 2012, aveva esercitato l'opzione ex art. 18 della legge n. 300 del 1970, per cui il giudice di primo grado, nel confermare la nullità del licenziamento, condannava la società a pagare l'indennità di 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, oltre le mensilità maturate fino alla data dell'opzione.

2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la società con tre motivi di ricorso.

3. Resiste il lavoratore con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta erroneità sentenza, violazione e falsa applicazione dell'art. 7 legge 300 del 1970 con riferimento al principio di cd. specificità della contestazione disciplinare.

Espone la ricorrente, nel censurare la relativa statuizione della Corte d'Appello, che la contestazione disciplinare conteneva tutti gli elementi relativi alla identificazione dei fatti addebitati, ai fine di consentire la difesa del lavoratore, senza necessità di ulteriori indicazioni.

Richiama sul punto i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità. Espone, quindi, che le contestazioni al M. riguardavano una molteplicità di comportamenti omissivi, succedutisi in modo significativo nell'ultimo anno di lavoro, e tali da costituire, nel loro insieme e nel loro reiterarsi, un gravissimo inadempimento contrattuale, sanzionabile con il licenziamento.

Essa società aveva ben circostanziato il lasso temporale entro cui gli inadempimenti si erano succeduti (negli ultimi dodici mesi, negli ultimi dieci giorni), e gli stessi erano specifici atteso il seguente tenore della lettera di contestazione, peraltro riportata nella sentenza di appello: "Dobbiamo nostro malgrado rilevare che, quantomeno degli ultimi dodici mesi, ha posto in essere una serie di comportamenti contrari ai suoi doveri contrattuali, omettendo di prestare la benché minima collaborazione verso i suoi referenti responsabili dell'apparato produttivo ed omettendo altresì, in diverse circostanze, di effettuare interventi a lei specificamente richiesti dal direttore di stabilimento per rimediare agli inconvenienti produttivi.

In particolare rileviamo che, quantomeno negli ultimi dodici mesi, in ripetute circostanze, il direttore generale, il direttore di stabilimento ed il consulente organizzativo, congiuntamente in appositi incontri, a fronte dei gravi problemi qualitativi del processo produttivo, le hanno puntualizzato il contenuto del suo contratto di lavoro, le sue competenze sul piano organizzativo e funzionale, le sue responsabilità di tecnologo e di responsabile del settore ricerca e sviluppo e le hanno precisato:

- le sue incombenze relative alla ricettazione, alla messa a punto delle ricette per l’industrializzazione e alla loro modifica anche il corso di processo;

- le sue incombenze relative ai progetti e nuovi prodotti richiesti dei clienti. Ciononostante una prospettata alcuna soluzione problemi di qualità dei prodotti con la conseguenza che in svariate circostanze il processo produttivo ha fatto registrare gravi ritardi sui programmi ed in taluni casi non siamo stati in grado di soddisfare le richieste dei clienti.

Negli ultimi dieci giorni ha espressamente rifiutato, nonostante i continui solleciti del direttore di stabilimento, di recarsi nei reparti produttivi per ovviare agli innumerevoli problemi di ricettazione.

Dopo l'ennesimo incontro con il direttore generale ed il direttore di stabilimento e dopo aver assunto l'impegno di incontrarsi alle ore 7 del 21 febbraio per avviare le linee riproduzione onde consentire successivo meeting con un Importante cliente (S.) per la visita periodica e per presentare i campioni del nuovo dallo stesso richiesto, senza alcun preavviso e/o comunicazione, non si presentava in servizio".

Dunque, gli inadempimenti, precisati con riguardo al dato temporale, erano consistiti nella mancata collaborazione verso i referenti responsabili del reparto produttivo; nell'aver omesso di effettuare intereventi specificatamente richiestigli per rimediare ad inconvenienti produttivi; nel non avere prospettato soluzioni ai problemi di qualità dei prodotti, con impatto sul processo produttivo e ritardi e insoddisfazione per i clienti; nel rifiuto di recarsi nei reparti produttivi per ovviare ai problemi di ricettazione; nell'assenza all'incontro programmato per il 21 febbraio.

Pertanto, doveva ritenersi rispettato il principio di specificità; inoltre, il lavoratore, che nella qualità di tecnologo aveva la responsabilità della ricettazione sia con riguardo alla fase della preparazione empirica delle ricette che alla fase del processo (impasto, stampaggio, cottura), si era ampiamente difeso, senza lamentare di non aver compreso i fatti addebitatigli.

1.1. Il motivo non è fondato.

Correttamente, e con congrua motivazione, proprio in ossequio ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro richiamati anche dalla ricorrente, la Corte d'Appello ha ritenuto la contestazione generica con riguardo agli addebiti diversi dall'incontro del 21 febbraio.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass., n. 14451 del 2012, n. 27842 del 2009), ha affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, l'esigenza della specificità della contestazione, prescritta dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970, non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, né si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta e astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti, ed è funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell'incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa.

Ciò, tuttavia, non esclude, ma implica che la contestazione inviata al lavoratore, pur senza essere analitica, deve contenere la esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del licenziamento, restando la verifica della sussistenza del requisito anzidetto rimessa al giudice del merito, il cui apprezzamento, se congruamente e correttamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.

Nella specie, la Corte d'Appello con congrua motivazione ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

Ed infatti, il giudice di secondo grado, dopo aver esposto che la sentenza di primo grado e l'ordinanza avevano ritenuto che la contestazione fosse generica e non circostanziata quanto al contestato comportamento omissivo in relazione ai compiti di risoluzione dei problemi di qualità dei prodotti, mentre, quanto alla mancata presenza in azienda il 21 febbraio, era stata smentita dagli informatori assunti in fase sommaria, ha affermato che non poteva che condividersi il giudizio espresso al primo giudice circa l'estrema genericità degli addebiti, diversi da quello relativo al mancato rispetto dell’impegno preso per la mattina del 21 febbraio.

Pone in evidenza la Corte d'Appello che si contestava al dipendente una mancata collaborazione verso i referenti responsabili dell'apparato produttivo che durava da diversi mesi, un'assenza di proposte dirette a trovare soluzione a varie problematiche, in particolare connesse con le ricette dei prodotti, ma non si contestualizzavano, in ordine a tali contestazioni, fatti, episodi, specifiche omissioni.

A parte il riferimento al cliente S., relativamente al meeting da effettuarsi dopo l'incontro del 21 febbraio, mal veniva specificato in relazione a quali clienti si fossero verificate inadempienze precise del M., che avevano determinato ritardi nella consegna di nuovi prodotti.

L'unico episodio contestualizzato in termini di condotta inadempiente e di periodo in cui la stessa era stata posta in essere, era l’assenza in azienda all'incontro del 21 febbraio, presso lo stabilimento.

Il motivo di ricorso, non censura in modo adeguato le argomentazioni del giudice di appello, limitandosi a ripercorrere il contenuto della contestazione, ritenuto privo di specificità, in ragione di un compiuto e corretto vaglio, per le ragioni sopra esposte e in ragione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, dal giudice di secondo grado.

Peraltro, la mancata lesione del diritto di difesa del lavoratore è solo genericamente contestata dalla ricorrente, laddove, sul punto, la Corte d'Appello ha specificatamente motivato la non fondatezza di tale profilo, affermando che nelle lettere di giustificazioni il dipendente non aveva fatto che controdedurre, anche egli in modo generale, problemi di manutenzione dello stabilimento, da lui segnalati da diverso tempo, rendendo giustificazioni dettagliate solo sull'episodio del 21 febbraio.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 2106 e 2119 cc, in relazione al principio proporzionalità della sanzione disciplinare.

La società censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello ha ritenuto che doveva ritenersi insussistente una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento, tenuto conto dell'unico addebito più specificatamente contestato, con evidente sproporzione della sanzione espulsiva comminata.

Erroneamente, la Corte d'Appello aveva vagliato la proporzionalità della sanzione solo con riguardo all'episodio del 21 febbraio, mentre avrebbe dovuto prendere in considerazione tutti gli addebiti contestati.

Comunque, anche considerando solo l'episodio del 21 febbraio la motivazione della sentenza era inadeguata.

La Corte d'Appello, pur ritenendo ridimensionato l'episodio, atteso che era emerso che il lavoratore era presente in azienda il 21 febbraio, sia pure all'insaputa dei superiori e non presentandosi all'appuntamento, affermava sussistere un comportamento poco corretto e certamente censurabile. Tuttavia, con motivazione erronea e contraddittoria, affermava che tale comportamento non era idoneo a sostanziare il licenziamento. In tal modo non valutava la proporzionalità della sanzione con riguardo alla gravità delle mancanze del lavoratore in concreto.

Ed infatti, in ragione della qualità di tecnologo, la presenza del M. all'appuntamento del 21 febbraio era indispensabile, e lo stesso, presente in azienda, nel non presentarsi teneva un comportamento di tale gravità da ledere, irrimediabilmente, la fiducia che il datore di lavoro aveva riposto nello stesso.

2.1. Il motivo non è fondato.

Il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass., n. 8293 del 2012).

Sul punto, la Corte d'Appello ha rilevato che la sentenza di primo grado aveva dedotto che l'istruttoria dei testi escussi nella fase sommaria aveva consentito di accertare che il M. si era recato in azienda, sia pure in orario ritardato è che, poi sentito male, aveva lasciato la società. Il primo giudice aveva, quindi, ritenuto insussistente la condotta contestata.

Tanto premesso, la Corte d'Appello ha affermato che, sebbene in base alle sommarie informazioni assunte in sede di procedimento sommario, l'addebito contestato doveva ridimensionarsi, in quanto era emerso che il M. si era, in realtà, recato in azienda la mattina del 21 febbraio, per l'impegno assunto, effettivamente il dipendente non aveva avvisato i superiore che sarebbe andato a casa per motivi di salute.

Quindi, sussisteva un comportamento poco corretto e certamente censurabile da parte del M., ma che non poteva assurgere a fatto qualificabile come condotta inadempiente, da sola idonea ad essere sanzionata con il licenziamento, ma neanche con una sanzione conservativa della sospensione.

Tale motivazione non è contraddittoria ed anzi, congruamente, prende in esame la fattispecie nel suo complesso, per affermare la sussistenza di una condotta poco corretta ma non di tale gravità, essendosi il M. recato in azienda e poi allontanatosi per motivi di salute, da giustificare il licenziamento.

La stessa fa corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo i quali (v., Cass., n. 6498 del 2012) la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare.

Né, la proporzionalità del licenziamento poteva essere valutata in ragione degli ulteriori addebiti, attesa la ritenuta mancanza di specificità degli stessi.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta l'erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 18, comma 3, della legge n. 300 del 1970 (art. 360, n. 3, cpc), nonché per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per II giudizio (art. 360, n. 5, cpc).

La ricorrente censura la decisione della Corte d'Appello nella parte in cui ha affermato (a legittimità dell'esercizio dell'opzione, da parte del M., già a seguito dell'ordinanza con la quale si era conclusa fa prima fase del giudizio di primo grado.

Ed infatti, in base al citato comma 3 dell'art. 18, come novellato dalla legge n. 92 del 2012, il M. poteva effettuare l'opzione solo in seguito a sentenza, non essendo ciò consentito a fronte di ordinanza ex art. 1, comma 49, della medesima legge n. 92 del 2012, In ragione della non paragonabilità dei due provvedimenti.

3.1. Il motivo non è fondato.

Osserva il Collegio che occorre chiarire quale è la disciplina sostanziale, nel cui ambito rientra il diritto di opzione in questione, applicabile nel caso di specie, atteso che il licenziamento veniva irrogato in data 15 marzo 2012, ed è alla data di irrogazione dei licenziamento che occorre far riferimento per determinare la medesima.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 16265 del 2015) il seguente principio di diritto: "Ai sensi del combinato disposto della legge 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, commi 47 e 67 nei giudizi aventi ad oggetto i licenziamenti disciplinari, al fine di individuare la legge regolatrice del rapporto sul versante sanzionatorio, va fatto riferimento non al fatto generatore del suddetto rapporto ne alla contestazione degli addebiti, ma alla fattispecie negoziale del licenziamento, sicché l'apparato sanzionatorio disciplinato dalla legge n. 92 del 2012, art. 1, comma 42 va applicato solo ai nuovi licenziamento, ovverosia a quelli comunicati a partire dalla data dì entrata in vigore della legge stessa (18 luglio 2012)".

Ratione temporis, poiché la sanzione espulsiva è stata irrogato il 15 marzo 2012, prima dell'entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, al licenziamento in esame si applica il regime della cosiddetta tutela reale, previsto dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92, con la conseguenza che, qualora il lavoratore opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 18, quinto comma (che prevede: "Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti"), come nel caso di specie, il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga - per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro - alcun obbligo retributivo (Cass., S.U., n, 18353 del 2014).

Pertanto, è all'art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970, nel testo anteriore alla novella del 2012, e non al novellato comma 3, del medesimo art. 18, come erroneamente assume la ricorrente, che occorre fare riferimento nel caso di specie.

La giurisprudenza di questa Corte, nell'interpretare l'art. 18, comma 5, della legge 300 del 1970, nel testo anteriore alla legge n. 92 del 2012, ha ritenuto che la funzione sostitutiva della reintegrazione comporta che l'obbligo per il datore di lavoro, correlato all'esercizio della facoltà, nasce solo quando viene ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro; non è necessario, però, che la reintegrazione sia disposta con una sentenza, poiché la norma non richiede una specifica forma del provvedimento. Una reintegrazione disposta con provvedimento cautelare, pertanto, secondo la giurisprudenza di legittimità formatosi in relazione al citato art. 18, comma 5, nel testo anteriore alla novella della legge n. 92 del 2012, determina la nascita dell'obbligo, salvo il suo successivo venir meno in caso di esito negativo del giudizio nella successiva evoluzione, come, del resto, in caso di riforma della sentenza di merito di primo grado (Cass., n. 1690 del 2011, che richiama Cass., n. 1254 del 2003).

Pertanto, in ragione della disciplina applicabile, come sopra richiamata (art. 18, in particolare comma 5, della legge 300 del 1970, nel testo anteriore alla novella della legge n. 92 del 2012), l'esercizio dell'opzione, nella specie, non è condizionata dalla natura del provvedimento che ha ordinato la reintegra.

4. Il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

6. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore Importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro quattromilacinquecento per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis, dello stesso articolo 13.