Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2016, n. 6587

Licenziamento - Assenza dal lavoro - Falsa attestazione di presenza attraverso i badge - Valutazione della proporzionalità della sanzione

 

Svolgimento del processo

 

L'A.N.A.S. s.p.a. appellava la sentenza n.19446\10 del Tribunale di Roma con cui era stata respinta la sua domanda diretta alla declaratoria di legittimità della sanzione del licenziamento irrogata al dipendente E.O.

Lamentava l'erronea valutazione delle risultanze istruttorie da cui, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, era emersa la piena prova del fatto contestato all'O. (essere stato assente dal lavoro nei periodo 25-29.8.08, mentre dal sistema di rilevazione elettronica delle presenze risultavano sue regolari timbrature).

Con sentenza depositata il 6 dicembre 2012, la Corte d'appello di Roma rigettava il gravarne.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l'ANAS, affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste l'O. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo motivo la ricorrente denuncia una erronea motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine alla legittimità della sanzione impugnata.

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente non provati i fatti contestati (assenza dal lavoro dal 25 al 29 agosto 2008, pur recanti una falsa attestazione di presenza attraverso i badge), in contrasto con quanto emerso dalle risultanze istruttorie. In ogni caso, ad avviso della ricorrente, anche l'assenza per poche ore, non segnalata e non autorizzata, giustificava il licenziamento.

Riproduce al riguardo in ricorso le copie integrali dei verbali contenenti le deposizioni testimoniali.

2. - Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per li giudizio.

Lamenta che la motivazione della sentenza era contraddittoria laddove affermava che l'O. si era assentato per due ore il 28.8.08 (dalle 15-15,30 alle ore 17-17,30), avvisando tuttavia il superiore (M.), laddove questi era stato avvisato solo alle ore 14.

Allega al riguardo l'intera relazione di servizio del M., oltre alla fotocopia di 52 pagine di verbali di causa contenenti le deposizioni testimoniali.

Deduce che l'assenza dal servizio, quanto meno per due ore il giorno 28.8.08, era stata occultata dal dipendente, ed anzi falsamente rappresentata come insussistente dalla timbratura del badge.

3. - Con il terzo motivo la società denuncia la erronea motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine alla proporzionalità della sanzione irrogata, anche considerata la sola assenza dal servizio per due ore il giorno 28.8.08.

4. - Con il quarto motivo la società denuncia una insufficiente motivazione circa l'istruttoria espletata, riproducendo al riguardo la copia di numerosi atti e tabulati aziendali, evidenziando l'insufficiente valutazione delle circostanze di causa da parte del giudice di merito, nonché l'inattendibilità di diversi testimoni escussi, oltre alla rilevanza dei precedenti disciplinari dell'O.

4. - I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.

Deve al riguardo osservarsi che ai vizi motivi denunciati si applica il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. che ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico nuovo (e diverso dal precedente testo della norma in questione) che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso" (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).

La sentenza citata chiarisce che nella riformulazione dell'art. 360, n. 5 c.p.c. è scomparso ogni riferimento letterale alla "motivazione" della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d'ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà.

La ratio legis è chiaramente espressa dai lavori parlamentari, laddove si afferma che la riformulazione della norma in esame è finalizzata ad evitare l'abuso dei ricorsi per cessazione basati sul vizio di motivazione non strettamente necessitati dai precetti costituzionali. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cessazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello len litigatoris.

In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall'art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione".

Pertanto, l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all'esistenza della motivazione in sé, e si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile".

Ciò premesso deve rimarcarsi che la sentenza impugnata ha accertato, in base alle risultante istruttorie, il fatto storico controverso (la contestata assenza dal lavoro nei giorni 24-28 agosto e la loro presunta attestazione di presenza a mezzo di timbrature non veritiere), ritenendo che dalle emergenze di causa era risultato che l'O. si era assentato unicamente il giorno 28.8.08 e per sole due ore (tra le 15,30 e le 17,30), peraltro per assistere la moglie in stato di gravidanza. Risulta dunque un adeguato esame del fatto storico decisivo, ed una corretta valutazione della proporzionalità della sanzione, calibrata dall'azienda dei resto sulla ben più grave contestata assenza per più giorni e fraudolentemente occultata attraverso illecita timbratura dei cartellini di presenza per tutti i quattro giorni contestati.

Né risulta ammissibile la censura laddove lamenta che anche l'assenza per due ore il giorno 28.8.08 doveva ritenersi, a differenza di quanto motivato dalla sentenza impugnata, giustificare il licenziamento, trattandosi di apprezzamento di fatto rimesso al prudente giudizio di giudice di merito.

Deve infatti rimarcarsi che la giusta causa di licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell'estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cessazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto. A tale processo non partecipa invece, la soluzione del caso singolo, se non nella misura in cui da essa sia possibile estrarre una puntualizzazione della norma mediante una massima di giurisprudenza. Ne consegue che, mentre l'integrazione giurisprudenziale della nozione di giusta causa a livello generale ed astratto si colloca sul piano normativa, e consente, pertanto, una verifica di legittimità sotto il profilo della violazione di legge, l'applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito, e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione insufficiente o contraddittoria. In tal senso, ex allis, Cass. n. 5095 del 02/03/2011.

Anche quanto alla valutazione dei precedenti disciplinari, deve rilevarsi che la Corte di merito ha motivatamente accertato che trattavasi di precedenti non specifici, ed in larga parte assai risalenti nel tempo, sicché non poteva tenersene conto al fine di valutare la legittimità del licenziamento in questione.

5. - Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 100,00 per esborsi, € 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. G.M.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.