Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 aprile 2016, n. 6373

Società cooperativa sociale - Licenziamento - Assenza ingiustificata - Falsificazione dell’attestazione della presenza in servizio - Prova

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 2554/2012, depositata il 17 aprile 2013 e notificata il 22 aprile 2013, la Corte d'appello di Milano, in riforma della sentenza n. 3266/2012 resa in primo grado dal Tribunale di Milano, accogliendo parzialmente l’appello proposto dalla lavoratrice, dichiarava l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato a V.C.Y. dalla S.A. società cooperativa sociale, di cui la lavoratrice era altresì socia ex l. 142/2001.

Secondo la sentenza d’appello la lavoratrice poteva ritenersi responsabile soltanto per il primo degli addebiti a lei contestati (un giorno di assenza ingiustificata); mentre mancava la prova della responsabilità per il secondo addebito, relativo alla falsificazione della attestazione della presenza in servizio. In ogni caso secondo la Corte gli addebiti non sarebbero stati proporzionati rispetto alla sanzione espulsiva adottata. Ciò detto, la sentenza d’appello si limitava a dichiarare l’illegittimità del licenziamento senza applicare tutela alcuna, stante la mancata impugnazione della delibera di esclusione dalla cooperativa.

Avverso detta sentenza S.A. società cooperativa sociale propone ricorso per cassazione affidandosi a cinque motivi.

Resiste l’intimata con controricorso, contenente ricorso incidentale; a seguito del quale la società cooperativa ha notificato il controricorso ai sensi dell’art. 371, 4 comma c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1.1 Deve essere premesso ai fini della decisione che, come risulta dalla sentenza d’appello, la lavoratrice era stata licenziata per motivi disciplinari il 24.10.2011 ed aveva impugnato il licenziamento l’8.10.2012 richiedendo la tutela reale e in subordine quella obbligatoria.

Nel costituirsi in giudizio davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro, il 23.6.2012, la società cooperativa S.A., oltre ad affermare la legittimità del licenziamento, sosteneva che la lavoratrice fosse stata altresì esclusa dalla cooperativa con delibera del 31.10.2011, cui aveva fatto seguito la restituzione della quota sociale accreditata nella busta paga di ottobre 2011.

Con la decisione in primo grado, il tribunale riteneva legittimo il licenziamento nel merito; rilevando che, quand’anche fosse stato da ritenersi illegittimo, sarebbe stata in ogni caso preclusa la tutela reale o obbligatoria richiesta in ricorso "in mancanza della contestuale impugnazione da parte della socia lavoratrice della delibera di esclusione dalla cooperativa del 31.10.2011".

Avverso detta statuizione la lavoratrice V.C.Y. proponeva appello col quale censurava la pronuncia per aver anzitutto ritenuto provate le condotte addebitate, affermato inoltre la proporzionalità della sanzione espulsiva comminata, sostenuto infine che fosse precluso il ripristino del rapporto o la tutela reale, anche quando la mancata impugnazione della delibera di esclusione fosse dipesa dalla sua omessa comunicazione.

La Corte d’Appello di Milano ritenendo fondato il primo e il secondo dei motivi d’appello, ha sostenuto, da una parte, che (a parte la pacifica assenza ingiustificata dal lavoro di un giorno) non fosse stata provata la condotta di falsificazione della attestazione di regolare presenza in servizio; e dall’altra che, qualora la medesima condotta fosse stata provata (con l’assunzione delle prove testimoniali dedotte dalla società, ma non assunte nemmeno in primo grado), la massima sanzione espulsiva comminata alla lavoratrice non potesse comunque ritenersi proporzionata all’effettiva gravità dei complessivi comportamenti alla stessa contestati, che non apparivano idonei a determinare una irrimediabile lesione dell’elemento fiduciario, in considerazione della sporadicità della condotta, dell’assenza di recidiva, della sua limitazione nel tempo; e tenuto altresì conto dell’art. 42 del CCNL di settore che, per l’assenza arbitraria da uno a tre giorni e per la irregolarità volontaria nelle formalità del controllo delle presenze, prevedeva - in mancanza di recidiva - la sospensione dal servizio e non già il licenziamento.

Per quanto riguardava invece la tutela, la Corte - premesso che la socia, pur in mancanza di comunicazione, sarebbe venuta a conoscenza della delibera di esclusione "a seguito dell’avvenuta restituzione della propria quota sociale, documentata dalla busta paga del mese di ottobre 2011" - ribadiva la tesi, già sostenuta dal tribunale, secondo cui in mancanza della contestuale impugnativa della delibera di esclusione dalla medesima cooperativa non si potesse emettere alcuna pronuncia in merito all’invocata tutela reale ex art. 18 Statuto; "atteso che detta norma è stata esplicitamente dichiarata inapplicabile ai soci lavoratori di cooperativa ogniqualvolta venga a cessare - come in questo caso - con il rapporto di lavoro anche il rapporto associativo (v. art. 2 l. 142/2001)". Sulla scorta di questa premessa la Corte si limitava a dichiarare l’illegittimità del licenziamento senza disporre tutela alcuna, neppure obbligatoria.

1.2 Contro questa pronuncia la S.A. società cooperativa sociale ha interposto ricorso per Cassazione, lamentando col primo motivo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 2 l. 142/2001 come mod. dalla l. 30/2003 e/o dall’art. 2533, ult. comma c.c. in quanto, non avendo la lavoratrice, socia della cooperativa, impugnato l’atto di esclusione dalla medesima cooperativa, il recesso dal rapporto di lavoro non poteva essere valutato in via autonoma, stante l’estinzione del rapporto di lavoro come effetto automatico della delibera di esclusione, stabilito dalla normativa indicata.

Con il secondo motivo il ricorso denuncia la stessa violazione dell’art. 5, comma 2 l. 142/2001 come mod. dalla l. 30/2003 e/o dall’art. 2533, co. 3 e 4 c.c., in relazione al diverso piano relativo al termine di impugnazione della delibera di esclusione ex art. 2533 c.c., il cui definitivo decorso precluderebbe oramai qualsiasi accertamento dell’illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro, al pari di quanto accade con il decorso del termine per il licenziamento ex l. 604/1966.

Con il terzo motivo il ricorso deduce l’omessa considerazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, avendo la società cooperativa esplicitato fin dalla memoria di costituzione in primo grado che la lavoratrice fosse stata appunto esclusa dalla compagine sociale per gli stessi fatti che le erano stati contestati a fondamento del licenziamento; ma questo fatto non sarebbe stato per l’appunto valutato dal giudice d’appello in tutta la sua portata.

2. - I primi tre motivi di ricorso essendo finalizzati a censurare la sentenza d’appello in relazione al nesso di pregiudizialità che intercorre tra provvedimento di licenziamento e delibera di esclusione (anche in conseguenza dell’omessa impugnazione di quest’ultima per decorso dei relativi termini) possono, per la loro evidente connessione, essere valutati unitariamente. Vi si sostiene infatti che in mancanza di impugnazione nei termini della delibera di esclusione comunque conosciuta dalla lavoratrice; e stante gli assorbenti effetti estintivi ex lege del medesimo provvedimento rispetto a quello di risoluzione del rapporto di lavoro; nessuna pronuncia sul licenziamento potesse essere più emessa, in base alle norme di legge citate.

2.1 In punto di fatto, deve però ritenersi pacifica la circostanza secondo cui la delibera di esclusione in oggetto, presa il 31.10.2011, non sia stata mai comunicata alla lavoratrice. La Corte milanese sostiene però che la lavoratrice ne fosse chiaramente a conoscenza, a seguito della restituzione della quota sociale risultante dalla busta paga del mese di ottobre 2011. Ebbene, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, ritiene questo collegio che secondo la normativa di settore la delibera di esclusione debba essere comunicata al lavoratore, in mancanza della quale rimanga totalmente inefficace e non decorra alcun termine d’impugnazione.

L’art. 2533 c.c., così formulato con d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, prevede che: "L'esclusione del socio, oltre che nel caso indicato all'articolo 2531, può aver luogo: 1) nei casi previsti dall'atto costitutivo; 2) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico; 3) per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società; 4) nei casi previsti dall'articolo 2286; 5) nei casi previsti dell'articolo 2288, primo comma.

L'esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o, se l'atto costitutivo lo prevede, dall'assemblea.

Contro la deliberazione di esclusione il socio può proporre opposizione al tribunale, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.

Qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti.

La legge 142/2001, dedicata al socio lavoratore di cooperativa, all’art. 5, mod. con l’art. 9 della legge 30/2003, dispone poi che "Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto della previsioni statutarie e in conformità agli articoli 2526 e 2527 c.c." (recte, 2532 e 2533 c.c.).

La stessa l. 142/2001 all’art. 2 dispone inoltre che "Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell'articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo".

2.3 Emerge dunque dalle norme appena citate che la deliberazione di esclusione da socio possa essere presa (art. 2533 c.c.) per una svariata gamma di motivi previsti dagli artt. 2531, 2533, 2286, 2288 c.c. e dall’atto costitutivo. Che la sua adozione determini ex lege l’estinzione del rapporto di lavoro, senza necessità che venga adottato un ulteriore provvedimento estintivo (art. 5 l. 142/2012 (ndr art. 5 l. 142/2001) e art. 2533, ult. comma c.c.). Che contro la deliberazione di esclusione (art. 2533 c.c.) il socio possa proporre opposizione al tribunale, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.

Ne discende quindi che la deliberazione debba essere sempre comunicata al lavoratore e che il termine di 60 giorni per proporre impugnazione decorra; soltanto dalla comunicazione della deliberazione. Non solo, si evince ancora dalle medesime norme che la comunicazione debba avere una motivazione ovvero un contenuto minimo necessario finalizzato a garantire l’esercizio del diritto di difesa; un contenuto che non può essere soddisfatto dalla restituzione della quota sociale nella busta paga.

Questa tesi si impone in base ad un’interpretazione letterale e sistematica della normativa. Anzitutto perché la delibera di esclusione può essere deliberata appunto per una varietà di motivi che vanno comunicati al lavoratore per un elementare rispetto delle garanzie di difesa; ed inoltre perché, secondo la legge, proprio dalla comunicazione della delibera decorre il termine di decadenza per l’impugnazione. La medesima tesi si impone inoltre in base ad un’interpretazione logica e costituzionalmente orientata della normativa, ove si ponga attenzione agli effetti, che la stessa società ricorrente reclama in questo giudizio, discendenti dall’adozione della deliberazione di esclusione: la quale, ai sensi dell’art. 5 della l. 142/2003 (ndr art. 5 della l. 142/2001) come mod. dalla l. 30/2003, determina l’estinzione ipso iure del rapporto di lavoro con assorbimento di qualsivoglia questione in merito alla sorte del licenziamento, pur di fatto irrogato.

2.4 In effetti, la mancata tempestiva impugnazione in giudizio della delibera di esclusione, secondo l’interpretazione della domanda demandata al giudice (da ultimo individuato nel giudice del lavoro dalla Corte di Cassazione con ordinanze nn. 19975/2015, 24917/2014), non consentirebbe di emettere alcuna statuizione in merito al licenziamento, pur di fatto irrogato ed impugnato, stante l’effetto estintivo legale che rinvenirebbe comunque dal provvedimento di natura societaria, divenuto irretrattabile. Mentre non è ammissibile l’impasse in cui è caduta la pronuncia d’appello che ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare ma non ha applicato alcuna tutela, stante la mancata impugnazione dell’esclusione. In realtà i due rapporti che formano la complessa posizione contrattuale del socio lavoratore di cooperativa risultano collegati in base ad un nesso genetico e funzionale, tale per cui - in linea di principio - non può esistere l'uno senza l’altro, perché i due rapporti stanno o cadono insieme. Perciò in presenza di un’esclusione non impugnata non può essere dichiarata l’illegittimità del licenziamento né ripristinato il solo rapporto di lavoro, venendo in tal modo alterata la disciplina legale sulla complessa figura; all’interno della quale l’esistenza della posizione sociale è pregiudiziale rispetto alla nascita, allo svolgimento ed alla stessa esistenza in vita del rapporto di lavoro (nesso genetico e funzionale).

Inoltre, sotto il profilo delle tutele la medesima legge 142/2001 (artt. 2 e 5, come mod. dalla l. 30/2003), ha stabilito che siano assorbenti quelle relative al profilo associativo; anche perché, sotto il profilo casuale, le ragioni di inadempimento lavoristico costituiscono in pari tempo altrettante ragioni di inadempimento associativo (il rapporto di lavoro serve all’adempimento del contratto sociale, mentre l’art. 2533 c.c. prevede come causa di esclusione dalla cooperativa l’inadempimento del contratto sociale).

2.5 In sostanza, data la gravità degli effetti che scaturiscono dalla sua adozione, essendo la delibera di esclusione idonea ad estinguere ad un tempo sia il rapporto associativo sia il rapporto di lavoro, essa deve essere comunicata al lavoratore.

La soluzione appare rispondente sia alla disciplina generale ex art. 2533, ult. comma, c.c.; sia, a maggiore ragione, a quella speciale ex l. 142/2001 per la valenza costituzionale rivestita del rapporto di lavoro la necessità della cui protezione non sarebbe per nulla garantita ove potesse prodursi la sua estinzione, anche ex lege, pur in difetto di qualsivoglia comunicazione al lavoratore dell’atto che la produce (ancorché di natura societaria). Sarebbe poi, in ogni caso, illogico e paradossale che un atto con effetti estintivi duplici - che autorizza a non emettere alcun licenziamento per estinguere il rapporto di lavoro o che renderebbe carente di interesse la stessa controversia pendente sul licenziamento comunque già intimato - possa essere adottato senza essere neppure comunicato al lavoratore.

Pertanto, per quanto attiene la speciale figura del rapporto di lavoro del socio di cooperativa, la disciplina di legge (ex art. 2533 c.c.) va integrata nel senso che alla delibera di esclusione si applicano, in base ad una esigenza di coerenza logica e di sistema, quanto agli oneri di comunicazione, i medesimi principi valevoli per il provvedimento di licenziamento.

2.5 La tesi appena enunciata appare inoltre conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità che si è pronunciata sul tema della necessità di comunicazione della deliberazione di esclusione dalla cooperativa; sia nel settore civile che in quello del lavoro.

In questo senso, si è espressa infatti la Sez. 1, sentenza n. 17337 del 25/06/2008 allorché (in un caso in cui il procedimento di esclusione si perfezionava con la determinazione del collegio dei "probiviri") ha stabilito che solo comunicazione di tale determinazione segna la decorrenza del termine per adire l'autorità giudiziaria, fissato in trenta giorni dall'art. 2527, terzo comma, cod. civ., nel testo antecedente la riforma di cui al d.lgs. n. 6 del 2003".

La Sezione lavoro della Cassazione ha fissato gli stessi principi con la sentenza 14143/2012, allorché ha osservato che "L'art. 2533 c.c. prevede che la delibera di esclusione del socio possa essere impugnata nel termine di 60 giorni dalla comunicazione della delibera stessa. È vero che la disposizione citata, come già l'art. 2527 c.c. nel regime precedente la riforma del diritto societario, non prevede formalità particolari per la comunicazione. Però richiede che la delibera sia "comunicata" perché decorra il termine per impugnarla. Pertanto non è sufficiente la mera conoscenza che di fatto il socio abbia della delibera stessa prima della sua comunicazione; sicché correttamente la corte d'appello ha fatto decorrere il termine suddetto per l'impugnativa dalla comunicazione della delibera e non già da un momento precedente, quale quello della produzione in giudizio da parte del socio della delibera stessa".

Sulla funzione della comunicazione della deliberazione si è pronunciata pure la Cassazione Sez. 1 con la sentenza n. 11558 del 09/05/2008 osservando che "In tema di società cooperative, la comunicazione al socio della delibera di esclusione adottata ai sensi dell'art. 2533 cod. civ. svolge la funzione d'informarlo non tanto di ciò di cui si è discusso nel corso del procedimento, bensì delle ragioni in concreto ritenute giustificative dell' esclusione dall'organo deliberante, dal momento che su di esse egli dovrà articolare le proprie difese; la sua incompletezza non comporta pertanto l’invalidità dell'atto, ma incide esclusivamente sulla decorrenza del termine per l'opposizione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la conoscenza da parte del socio degli addebiti contestatigli nel corso del procedimento, in quanto gli stessi possono anche non coincidere con quelli posti a base dell' esclusione come deliberata dal competente organo societario, ben potendo accadere che gli iniziali addebiti siano ridimensionati o riconfigurati nella decisione finale, ovvero che quest'ultima, in caso di pluralità di addebiti, si basi soltanto su alcuni di essi"

D’altra parte l’opposizione ex 2533 c.c. è il solo mezzo dato al lavoratore per far valere gli stessi vizi della relativa deliberazione, senza che si applichino al socio lavoratore le normali azioni di nullità e annullabilità delle delibere, ex art. 2377 c.c. e ciò spiega ancor di più la necessita della relativa comunicazione (in tal senso Cass. Sentenza n. 25945 del 05/12/2011 "Il socio escluso dalla cooperativa può far valere i vizi della relativa deliberazione esclusivamente mediante l'opposizione ai sensi dell'art. 2527 cod. civ. previgente, "ratione temporis" applicabile (attualmente, art. 2533, penultimo comma, cod. civ.), da proporre entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione, essendo tale procedimento del tutto distinto dai normali mezzi d'impugnazione delle deliberazioni assembleari, previsti dagli artt. 2377 e seguenti cod. civ.").

2.6 Quanto al valore della produzione della delibera di esclusione nel corso del giudizio contro il licenziamento, su cui peraltro nulla ha addotto nei motivi di ricorso la Cooperativa ricorrente, essendo stata la questione introdotta - peraltro in via subordinata - con il ricorso incidentale dalla difesa della lavoratrice, è opportuno osservare fin da ora che, oltre nel precedente lavoristico costituito dalla sentenza 14143/2012 (prima richiamata), la Corte di Cassazione aveva già estesamente affermato l’irrilevanza di tale forma di conoscenza con la sentenza della Sez. l, n. 7592 del 17/07/1999, chiarendo che: "La comunicazione della delibera di esclusione del socio ai sensi dell'art. 2527 cod. civ. ha la funzione di far decorrere il termine per l'impugnazione e di rendere edotto il socio delle ragioni della sanzione adottata al fine di consentirgli l'esercizio delle proprie difese; per produrre i suoi effetti la comunicazione deve essere fatta personalmente al socio con un mezzo idoneo a garantire che l'interessato venga direttamente a conoscenza del provvedimento; non può ritenersi mezzo idoneo, sostitutivo della comune raccomandata, la produzione della delibera in un giudizio pendente tra il socio e la cooperativa, che ha un oggetto diverso dall'impugnativa della stessa delibera, poiché l'effetto della comunicazione di documenti mediante produzione è circoscritto al processo in cui avviene e non può estendersi a rapporti non dedotti".

3. - Pertanto, per le ragioni fin qui addotte, in mancanza di qualsiasi comunicazione della delibera di esclusione, il procedimento contro il licenziamento segue il suo corso e dovrà essere trattato in quanto tale, come un normale giudizio su un caso di licenziamento. E non decorre alcun termine di impugnazione ex art. 2533 c.c. Gli effetti descritti dall’art. 2 l. 142/2001 che precluderebbero l’applicazione dell’art.18; e quelli ancora più radicalmente estintivi previsti dall’art. 5 l. 142 come mod. dalla l. 30/2003 (che precluderebbero l’applicazione di tutto l’apparato normativo formale, causale e remediale del licenziamento) presuppongono che la delibera di esclusione sia stata comunicata al lavoratore.

3.1 Da ciò consegue che vanno respinti i primi tre motivi di ricorso con i quali la cooperativa ricorrente mirava a sostenere che, pur senza comunicazione della delibera: a) l’esclusione dalla cooperativa comporti, ai sensi dell’art. 5 cit., un sicuro effetto estintivo assorbente in ragion del nesso di pregiudizialità che essa esercita sul rapporto di lavoro; e perciò l’estinzione automatica del rapporto di lavoro, senza che la Corte d’Appello potesse pronunciare alcun accertamento sulla illegittimità del licenziamento, b) il decorso definitivo del termine di impugnazione della delibera di esclusione ex art. 2533 c.c. precluderebbe pur in mancanza di formale comunicazione - qualsiasi accertamento dell’illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro, "al pari di quanto accade con il decorso del termine per il licenziamento ex l. 604/1966" (soggetto peraltro invece all’onere di comunicazione); c) non sarebbe stato valutato dal giudice d’appello in tutta la sua portata, il fatto, esplicitato fin dalla memoria di costituzione in primo grado, che la lavoratrice fosse stata esclusa dalla compagine sociale per gli stessi fatti che le erano stati contestati a fondamento del licenziamento.

4. - Con il quarto motivo il ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e comunque dell’art. 1 e/o 3 l. 604/1966 non essendosi la Corte attenuta alla nozione di giusta causa prevista dalla legge. Con il quinto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 CNNL cooperative sociali 2006/2009 (ndr art. 42 CCNL cooperative sociali 2006/2009) posto che alla lavoratrice non era stata addebitata una mera irregolarità nella formalità del controllo presenza, come ritenuto dal giudice, bensì una condotta che sostanziava gli elementi della truffa e che poco aveva a vedere con quanto previsto dall’art. 42 del CCNL di settore o con una qualsiasi delle condotte ivi punite con la sola sospensione.

I motivi di ricorso (IV e V) avverso le statuizioni effettuate dalla sentenza d’appello circa l’insussistenza della giusta causa sono inammissibili.

Va osservato in proposito che mentre non è stata mai discussa la responsabilità della lavoratrice per il primo addebito, ovvero la assenza ingiustificata dal lavoro per il giorno 5.9.2011; è stata invece confutata dalla Corte d’Appello la contestazione disciplinare relativa alla condotta di falsificazione ("falsa attestazione di mancata/erronea timbratura per il giorno 5.9.2011 consegnata in ufficio personale in data 12.9.2011"), in quanto non provata ed affermata dal primo giudice sulla base di meri indizi, di per sé non certi, né gravi, precisi e concordanti.

Va ora osservato che i motivi di ricorso in discussione (IV e V), formulati dalla cooperativa con riferimento al n. 3 dell’art. 360 c.p., non aggrediscono questa preliminare affermazione in fatto, costituente autonoma ratio decidendi, in difetto della cui impugnazione essa deve quindi ritenersi passata in giudicato.

Talché a nulla varrebbe soffermarsi sui medesimi motivi in diritto, che si occupano della nozione legale di giusta causa o dell’interpretazione dell’art. 42 del CCNL cooperative sociali relativo alle condotte disciplinarmente rilevanti ed ai corrispondenti provvedimenti sanzionatori.

Vero è che la stessa prova testimoniale dedotta dalla Cooperativa, sulla condotta disciplinare in oggetto, non è stata ammessa dalla Corte d’Appello perché ritenuta superflua, avendo il giudice ritenuto che seppure fosse risultata provata (anche la condotta di falsificazione) la sanzione espulsiva irrogata per i due illeciti sarebbe stata, a parere della Corte, nondimeno sproporzionata ed il licenziamento comunque illegittimo.

Tuttavia, poiché la sussistenza in fatto della condotta addebitata risulta un presupposto, logicamente preliminare, a qualsiasi disamina sulla sua giusta rilevanza disciplinare, era necessario gravare la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per l’omessa ammissione della prova da cui sarebbe risultata l’erroneità dell’affermazione della Corte in punto di responsabilità; oppure ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. qualora la Corte avesse omesso di considerare un qualche fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti e da cui si fosse evinta la prova della responsabilità della lavoratrice negata dalla Corte. Fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio di autosufficienza con la riproduzione testuale nel ricorso di tutti gli elementi indispensabili a questo giudice di legittimità per poter effettuare la valutazione sulla sussistenza della censura.

Si trattava di doglianze necessarie per contestare uno degli aspetti autonomi della valutazione della giusta causa quale emerge anche dalla costante giurisprudenza di questa Corte; la quale ha da tempo chiarito che in sede di legittimità può essere dedotto come vizio di violazione di legge soltanto la inosservanza degli elementi definitori di carattere generale che la norma contiene quale "fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto". Mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici.

Peraltro, anche nel merito i due motivi si rivelano infondati; posto che non costituisce violazione di legge l’aver considerato il fatto in contestazione, nella concretezza del suo accadimento, insuscettibile di costituire giusta causa perché non indicativo di grave negazione degli elementi del rapporto ed in particolare della carenza dell’elemento fiduciario, che non implica solo che non sia posta in dubbio l’onestà del dipendente ma anche che non venga meno l’affidamento nella corretta esecuzione della prestazione. Lo stesso giudizio risulta riscontrato in concreto dalla Corte territoriale in base alle circostanze, messe in luce in sentenza, sulla sporadicità della condotta, l’assenza di recidiva, la sua concentrazione nel tempo. Si tratta di affermazioni che non appaiono di per sé né illogiche né altrimenti viziate. E che anzi risultano ulteriormente supportate dalla valutazione dell’art. 42 CCNL che per l’assenza arbitraria di durata superiore ad un giorno e non superiore a tre e per l’irregolarità volontaria nelle formalità del controllo delle presenze prevede la sospensione dal servizio e non il licenziamento. Infatti anche la censura relativa all’interpretazione della norma collettiva non è fondata, atteso che alla falsa attestazione di presenza in servizio si attaglia meglio la più specifica previsione riferita alla "irregolarità volontaria nelle formalità per il controllo delle presenze" piuttosto che quella assai generica, richiamata dalla cooperativa, all'azioni in grave contrasto con i principi della cooperativa per la quale soltanto è invece comminato il licenziamento.

5. - Da quanto fin qui osservato discende quindi l’infondatezza dei cinque motivi del ricorso principale che va perciò disatteso.

6. - Va accolto invece il primo motivo del ricorso incidentale relativamente alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2533 c.c. laddove la Corte d’Appello ha affermato erroneamente che il termine per impugnare l'esclusione possa decorrere, pur in mancanza di formale comunicazione, in quanto la socia sarebbe venuta a conoscenza della stessa deliberazione a seguito della liquidazione della quota sociale; liquidazione che però, alla luce di quanto già detto, è palesamente insufficiente allo scopo di portare a conoscenza della socia lavoratrice la deliberazione di esclusione ed il suo contenuto ai fini delle garanzie di difesa e della decorrenza del termine di impugnazione.

Va poi avvertito che nel caso in esame non potendosi discutere della tutela da assicurare al socio lavoratore ex artt. 2 e 5 l. 142/2001, stante la mancata comunicazione della delibera - non potendosi cioè riconnettere nessun effetto alla delibera di esclusione - la tutela da assicurare al lavoratore sarà quella normale che discende dal giudizio sul solo licenziamento; sulla quale dovrà provvedere il giudice di rinvio, esaminando il relativo capo della domanda.

7. - Con il secondo motivo, svolto in via subordinata, la ricorrente incidentale sostiene che l’impugnazione della delibera è comunque avvenuta con l’atto di appello depositato il 6.10.2012, nel termine di 60 giorni dal deposito della delibera in giudizio il 23.6.2012 con la memoria di costituzione della società cooperativa. Nell’atto di appello la lavoratrice aveva infatti chiesto specificamente la nullità, inefficacia, disapplicazione della delibera di esclusione del socio mai comunicata. Mentre lo stesso termine sarebbe soggetto a sospensione durante il periodo feriale e pertanto non sarebbe mai decorso.

Con il terzo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della legge 142/2001 come mod. dalla l. 30/2003 per la mancata applicazione della tutela reale, atteso che la norma esclude la tutela reale nel caso in cui sia l’esclusione a provocare il licenziamento, ma non in quello contrario allorché il rapporto associativo sia cessato in conseguenza di un licenziamento (illegittimo), come nella fattispecie.

Con il quarto motivo la ricorrente incidentale lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda di tutela obbligatoria ex art. 8 l. n. 604/1966 avanzata in via subordinata.

8. - L’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale determina l’assorbimento degli altri tre. Va peraltro osservato che nessuna inammissibilità del primo motivo sussista per aver la medesima ricorrente incidentale affermato nel secondo motivo di aver impugnato la deliberazione con l’atto di appello, e di averla perciò conosciuta in conseguenza della sua produzione in giudizio nel corso del procedimento di primo grado sul licenziamento. Si tratta infatti di un motivo presentato "in via subordinata", per l’ipotesi in cui fosse stata ritenuta legittima l’omessa comunicazione al socio della deliberazione di esclusione.

9. - Per le considerazioni che precedono il primo motivo di ricorso incidentale deve essere accolto, mentre restano assorbiti gli altri; la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, che per la decisione si uniformerà al seguente principio di diritto: "La deliberazione di esclusione del socio lavoratore di cooperativa ex artt. 2533 c.c. e 5 l. 142/2001, è soggetta all’onere della comunicazione al socio lavoratore, come un licenziamento. Essa ha un contenuto minimo necessario costituito dalla indicazione delle ragioni dell’esclusione e produce effetti al momento della comunicazione; in mancanza della quale è tam quam non esset. Non costituisce comunicazione della delibera di esclusione la restituzione della quota sociale, né la sua produzione nel corso del giudizio avverso il licenziamento".

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale. Accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 - quater D.P.R. n. 115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.