Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 marzo 2016, n. 5965

Tributi - Credito d’imposta per incrementi occupazionali nel Mezzogiorno - art. 7, co. 10, L. n. 388/00 - Limiti - Regola de minimis

 

Svolgimento del processo

 

Nell’anno 2006 la Società Pulizia C. srl, chiedeva al Centro Servizi di Pescara l’attribuzione di un credito d’imposta di complessivi 1.309.309,00 euro, ex art. 7 comma 10 L. 388/00, per effetto degli incrementi occupazionali realizzati negli anni 1994, 1995 e 1996 nei territori dell’Italia meridionale, frazionando il credito richiesto in quattordici distinte domande, tutte di importo inferiore al tetto massimo di 100.000,00 euro.

In data 20 giugno 2006 il Centro Servizi di Pescara notificava due provvedimenti con i quali revocava i crediti d’imposta già concessi e negava gli ulteriori crediti richiesti per ammontare eccedente l’importo di 93.312,00 euro, esposto nella prima domanda presentata dalla contribuente il 13 aprile 2006.

In data 27 luglio 2006 l’A.E., incorporante la Società Pulizia C. srl, richiedeva che fossero accreditati in proprio favore i crediti d’imposta già richiesti dall’incorporata e tale istanza veniva respinta dal Centro Servizi di Pescara.

Avverso tale provvedimento di diniego l’A.E. srl proponeva ricorso alla CTP di Pescara, la quale dichiarava inammissibile il ricorso.

La CTR, in revoca della sentenza impugnata, annullava gli atti di diniego e revoca emessi dal Centro Operativo di Pescara.

Il giudice di secondo grado riteneva, in via preliminare, che con il ricorso innanzi alla CTP la contribuente avesse impugnato non solo l’atto del 2 agosto 2006 ma anche i precedenti atti di diniego e revoca del credito datati 20 giugno ed affermava la tempestività del ricorso in quanto lo stesso era stato notificato il 14 settembre dello stesso anno, escludendo che fosse ravvisabile un comportamento di acquiescenza da parte della contribuente.

Nel merito riteneva l’inapplicabilità al caso di specie del limite de minimis, alle agevolazioni suddette, non ravvisandosi la ricorrenza di un aiuto di Stato.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione con quattro motivi l’Agenzia delle Entrate. La contribuente ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate, per violazione dell’art. 366 nn. 3) e 4) cpc, in quanto il fatto processuale è stato descritto mediante la riproduzione di copie fotostatiche degli atti di giudizi precedenti in forma confusionaria ed in violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Si osserva, in contrario, che il ricorso non si limita ad una mera riproduzione degli atti assemblati, ma consente una cognizione chiara e completa dei fatti che hanno generato la controversia e delle vicende processuali, nonché delle posizioni dei soggetti che vi hanno partecipato (Cass. 7285/2006).

Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 d.lgs. 546/1992, dell’art. 62 d.lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360 n.4) cpc, deducendo l’illegittimità della sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile il ricorso introduttivo della contribuente, nonostante esso avesse ad oggetto un atto meramente confermativo di precedenti atti amministrativi divenuti definitivi.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio della pronuncia.

La sentenza impugnata ha infatti affermato che, da una lettura complessiva del ricorso, si evinceva con chiarezza che l’intento del contribuente era quello di impugnare oltre all’atto del 2 agosto 2006, meramente confermativo dei pregressi provvedimenti del 20.6.2006, anche gli ulteriori atti di diniego e revoca del credito, che erano allegati al ricorso.

Tale ratio della sentenza, fondata su una complessiva interpretazione dell’atto introduttivo da parte del giudice di secondo grado, non risulta specificamente contestata dalla ricorrente.

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 388/00 e 63 L. 289/02, in relazione all’art. 360 n.3) cpc, lamentando che la CTR abbia illegittimamente disapplicato la normativa interna ed in particolare gli artt. 7 l. 388/00 e 63 L.289/02.

Il motivo è fondato.

Nel rinnovare il regime degli incentivi alle assunzioni già disposto con la L. 388/2000, art. 7, la L. 289/02 , art. 63 comma 1, ha infatti mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui alla l. n. 388 del 2000, art. 7, che, relativamente all’ulteriore credito d’imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate, testualmente dispone; "All’ulteriore credito d’imposta dì cui al presente comma si applica la regola "de minimis", di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità Europee 96/C68/06, pubblicata nella G.U. delle Comunità Europee C68 del 6 marzo 1996 e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purché non venga superato il limite massimo di lire 180.000.000 nel triennio".

Il legislatore nazionale , nel legittimo esercizio dei suoi poteri discrezionali, ha dunque inteso riconoscere il beneficio dell’ " ulteriore credito" d’imposta in misura limitata e non anche in rapporto al numero di lavoratori effettivamente assunti.

In tale prospettiva, nel riconoscere il beneficio in oggetto, il legislatore nazionale ha fatto proprio - in via di rinvio alla relativa fonte normativa - il criterio comunitario c.d. " de minimis" , che, nell’ambito dell’ordinamento sopranazionale, fissa nell’importo di euro 100.000,00 nel triennio, il limite quantitativo al di sotto del quale gli "aiuti di Stato" non incorrono nel divieto di cui all’art.92 (poi 87) par 1. Trattato C.E.

Tale modalità di delimitazione dell’agevolazione rientra nel legittimo esercizio delle facoltà discrezionali del legislatore, essendo certamente consentito legiferare con la concessione di benefici fiscali entro soglie predefinite (Cass. 21797/2011), apparendo al riguardo irrilevante accertare se l’incremento dell’occupazione a lavoratori socialmente utili, come quello in esame, possa o meno essere considerato "aiuto di Stato", secondo quanto dedotto dalla ricorrente.

Non è invero ravvisabile alcuna violazione della normativa comunitaria da parte del legislatore, atteso che questa, se pone agli stati membri il divieto di concedere "aiuti di stato", in misura eccedente la regola "de mininis", non impedisce certo loro di circoscrivere benefici fiscali entro soglie bene definite (Cass. 20245/13).

Non appaiono dunque sussistenti i presupposti per la disapplicazione dell’art. 7 l. 388/00 non potendo ravvisarsi alcun contralto di tale disposizione con i Regolamenti CE n. 994/98 e 2204/02.

L’accoglimento di questo motivo assorbe l’esame degli altri e, ritenuto che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con la reiezione del ricorso introduttivo della contribuente.

Quanto alle spese, considerato l’alterno esito delle fasi di merito, ed il fatto che l’orientamento di questa Corte richiamato in motivazione si è affermato in data successiva alla proposizione del ricorso, sussistono i presupposti per disporne l’integrale compensazione tra le parti.

 

P.Q.M.

 

Respinto il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo, assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, respinge il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.