Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 marzo 2016, n. 5747

Tributi - Credito di imposta per investimenti in aree svantaggiate ex art. 8 L. 388/2000 - Omessa trasmissione del modello CVS - Decadenza dal beneficio

 

Fatto

 

Con sentenza n. 156/06/09, depositata il 12.5.2009, la Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cosenza n. 253/04/2006 respingeva il ricorso proposto da P.P., avverso l'avviso di recupero del credito di imposta per aree svantaggiate ex art. 8 L. 388/2000, dichiarato in € 4.800 in quanto, la compensazione era inefficace perché eseguita nel periodo di non utilizzabilità del credito.

La Commissione tributaria regionale rilevava che il tardivo inoltro del modello CTS comportava l'esclusione del beneficio.

Il contribuente impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo i seguenti motivi:

a) violazione degli artt. 14 legge 330, comma uno e due, c.p.c. 53, comma 2, 17, comma due D.lgs 546/92, in relazione all'articolo 360, numero tre, c.p.c., rilevando la nullità della notifica dell'atto di appello perché effettuata presso l'originario domicilio eletto poi modificato come risultante dagli atti del processo, con conseguente inammissibilità dell'atto di appello;

b) nullità della sentenza per ultra- petizione, in relazione all'articolo 360, numero tre, c.p.c., non avendo l'agenzia mai eccepito la mancata trasmissione del modello CVS al Centro Operativo di Pescara;

c) violazione e falsa applicazione dell'art. 62 D.Igs 547/92 (ndr art. 62 D.Igs 546/92); ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., e vizio di motivazione, in relazione all'articolo 360 numero cinque, rilevando come lo statuto del contribuente debba essere considerato legge di rango superiore rispetto alla legge ordinaria, prevalendo il principio di irretroattività.

L'Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.

Il Contribuente ha presentato memoria.

Il ricorso, dopo un rinvio per la produzione della cartolina di ritorno attestante la rituale notifica del ricorso per Cassazione è stato discusso alla pubblica udienza del 11.2.2016, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

 

Motivi della decisione

 

1. Il ricorso è inammissibile per la inidonea formulazione dei quesiti, adempimento previsto ratione temporis,sia per difetto di autosufficienza.

I quesiti risultano così formulati:

1) La previsione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 546/92 costituisce eccezione alla sola disposizione di cui all'articolo 170 c.p.c., per le notificazioni endoprocessuali: mancando dunque per la notifica degli atti d'impugnazione una disposizione specifica, deve trovare applicazione quella prevista dall'articolo 330 c.p.c., ai sensi degli effetti di cui al D.Lgs. n. 546/92, art. 1, comma 2 e art. 49; conseguentemente con il mutamento del domicilio eletto dalla parte presso il procuratore nella procura ad litem la parte indica il luogo dove intende ricevere le notifiche escludendo ogni altro luogo.

Pertanto l'atto d'impugnazione deve essere notificato, ai sensi degli articoli 330 170 c.p.c. presso il procuratore domiciliatario, a meno che la parte risulti costituita personalmente in giudizio, a pena di inesistenza della notifica e di improponibilità ed inammissibilità dell'impugnazione proposta;

2) Il giudice deve pronunciare tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposta soltanto dalle parti e pertanto la sentenza non può pronunciare oltre le domande e le questioni proposte dalle parti salvo le questioni e le eccezioni rilevabili d’ufficio; pertanto incorre nel vizio di extra o ultrapetizione il giudice adito che fondi la propria decisione su motivi non dedotti o, il che è lo stesso, dedotti sotto profili diversi da quelli che costituiscono la ratio decidendi è la decisione in concreto adottata deve comunque corrispondere alle richieste rispettivamente formulate dalle parti e non eccede i limiti delle stesse con conseguente nullità della sentenza che incorre nel vizio di extra o ultrapetizione.

3) Lo statuto del contribuente deve essere considerato legge di rango superiore perché va interpretata ed applicata alla luce di quando disposto dall’articolo uno della stessa legge che al primo comma afferma che "le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e magari di speciali".

Ed inoltre la motivazione della sentenza deve interessare tutti gli aspetti abbracciati dalle questioni ed eccezioni sollevate in giudizio dalle parti e non limitarsi ad illustrare i motivi sottostanti ad aspetti parziali delle stesse, incorrendo altrimenti nel vizio di illogicità.

Questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare come il quesito di diritto vada formulato, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire, in concreto, l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) in una richiesta del tutto generica (quale risultano quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata o disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, - una norma di legge.

Il quesito deve, di converso, investire ex se la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento, sia pur sintetico, ai fatti essenziali di causa, proponendone una alternativa di segno opposto destinata ad una soluzione che, partendo dalla fattispecie concreta, e poi trascendendo la medesima, come sottoposta all'esame del giudice di legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cessazione nel quale l'illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, e che già presupponga la risposta senza peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in esame.

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (ex multis, Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si chiede l'affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l'inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull'esistenza di una astratta violazione di legge concernente la connotazione degli estremi della motivazione apparente.

Peraltro, con riferimento all'ultimo motivo di ricorso, assorbente degli altri, la censura è anche infondata nel merito.

L'imprenditore ammesso a beneficiare, ai sensi dell'art. 8 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dei contributi, concessi sotto forma di credito d'imposta, per l'effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate del Paese, decade da tale beneficio ove abbia omesso di presentare (come previsto dall'art. 62, primo comma, lettera e), della legge 27 dicembre 2002, n. 289), nel termine del 28 febbraio 2003, la comunicazione telematica avente ad oggetto le informazioni sul contenuto e la natura dell'investimento effettuato (cosiddetto "modello CVS") essendo il suddetto termine previsto dall'art. 62 cit. a pena di decadenza, e non avendo, altrimenti, alcun senso la sua previsione ove il beneficio del contributo fosse subordinato alla realizzazione dell'investimento, e non anche all'invio della comunicazione telematica (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19127 del 07/09/2010; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16442 del 15/07/2009 Sez. 5, Sentenza n. 3578 del 13/02/2009).

La presentazione di tale modello, a prescindere dalla realizzazione degli investimenti e dalla fruizione del credito di imposta nella dichiarazione dei redditi, costituisce non già una facoltà del contribuente, ma un vero e proprio onere a suo carico, finalizzato all'accertamento delle condizioni necessarie all'attribuzione, in via definitiva, del beneficio in questione, cioè la legittima fruizione del credito.

Il termine del 28.2.2003, inizialmente previsto dal D.L. n. 253 del 2002, poi non convertito, ma successivamente ripreso dalla L. n. 289 del 2002, non si riferiva alla mancata presentazione, ma costituiva un limite invalicabile rispetto al decreto del direttore dell'Agenzia per la necessaria trasmissione del modello CVS. Infatti una volta scaduto con il 28 febbraio 2003 il termine per la presentazione del modello, dal quale risulti l'adempimento degli obblighi richiesti per la conferma delle agevolazioni fruite, non poteva non scattare la decadenza della contribuente dal beneficio del credito d'imposta, altrimenti nessun senso avrebbe potuto avere la previsione della decadenza, se il relativo termine avesse potuto essere eluso.

Invero la norma di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 62, è diretta espressione del potere, demandato al Ministro delle finanze, di stabilire con D.M. le procedure di controllo, prevedendo "specifiche cause di decadenza dal diritto di credito", e trova la sua "ratio" nell'esigenza di definire entro un tempo determinato l'inerente onere finanziario, altrimenti sospeso "ad libitum" (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 15865 del 28/07/2005).

La stessa Ordinanza della Corte Costituzionale 24.3.2006 n. 124 ha dichiarato "manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 62, comma 1, lettera a), della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui determina, in una data non successiva al 28 febbraio 2003, il termine - da fissarsi dall'Agenzia delle entrate nei 30 giorni dall'entrata in vigore della legge (cioè non oltre il 30 gennaio 2003) - entro il quale le imprese, che hanno conseguito automaticamente, prima dell’8 luglio 2002, contributi nella forma di crediti di imposta per gli investimenti di cui all'art. 8 della legge n. 388 del 2000, devono inviare i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati, a pena di «decadenza» dai contributi stessi.

In relazione alla censura relativa alla violazione del principio di irretroattività e, per l'effetto, del principio «dell'affidamento nella sicurezza giuridica», la norma censurata non dispone per il passato, ma fissa per il futuro un obbligo di comunicazione di dati a pena di «decadenza dal contributo», a nulla rilevando che tale decadenza abbia ad oggetto un contributo già conseguito.

Questa Corte ha più volte affermato anche con riferimento al credito d'imposta per i nuovi investimenti nelle aree svantaggiate che "la disposizione di cui all'art. 3, comma secondo, della legge 27 luglio 2000, n. 212, che fissa il termine minimo di sessanta giorni per l'effettuazione degli adempimenti da parte del contribuente, non ha uno specifico fondamento costituzionale, né il termine da essa stabilito attiene all'esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che il rapido susseguirsi di disposizioni aventi forza di legge non rispettose del termine indicato determina il verificarsi di una normale vicenda di successione di leggi nel tempo" (Cass. Sez., 6 - 5, Ordinanza n. 5324 del 03/04/2012; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4815 del 28/02/2014).

Va, conseguentemente, rigettato il ricorso.

Nessuna rinuncia va emessa sulle spese in mancanza di attività difensiva dell'intimata Agenzia.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso