Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 gennaio 2016, n. 1469

Tributi - Indagini di polizia tributaria e giudiziaria - Ingenti esborsi per incrementi patrimoniali in forma di aumenti di capitale in società  - Accertamento induttivo ex art. 38 DPR n. 600/1973

 

Svolgimento del processo

 

1. I coniugi V.D. e B.T. impugnavano congiuntamente, con tre distinti ricorsi, avanti la C.T.P. di Brindisi, gli avvisi di accertamento per maggiori imposte IRPEF ed ILOR relative agli anni 1990, 1992 e 1993, nei loro confronti emessi sulla base di determinazione sintetica dei redditi operata a seguito di indagini di polizia tributaria e giudiziaria, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38. Tali indagini avevano dimostrato l'esistenza di ingenti esborsi, tra gennaio 1991 e dicembre 1993, per incrementi patrimoniali in forma di aumento del capitale nelle società B.C. S.r.l. e N.T.C.T. S.p.a., che si rendevano a loro volta acquirenti di immobili di cui i coniugi avevano la disponibilità.

L'adita C.T.P., con separate sentenze depositate il 10/2/2000, accoglieva solo parzialmente i ricorsi escludendo dagli elementi utilizzabili per l'accertamento sintetico gli investimenti effettuati nella società B.C. S.r.l. nel 1991 per £. 1.065.008.064, trattandosi di garanzie reali per debiti e non di esborsi; rilevava per il resto che i contribuenti non avevano provato la possidenza, in epoca anteriore ai periodi in contestazione, dell'ingente patrimonio finanziario, né che le dedotte risorse provenienti da disinvestimento di titoli, per somme pur considerevoli, fossero state destinate agli incrementi patrimoniali accertati.

Tale decisione era confermata dalla C.T.R. della Puglia, Sezione staccata di Lecce, che, previa riunione dei procedimenti, con sentenza depositata il 19/9/2008, rigettava l'appello dei contribuenti.

Rilevavano in sintesi i giudici di secondo grado che:

- l'accertamento sintetico risultava giustificato dalla disponibilità di ingenti somme nonché di immobili tramite società partecipate;

- di contro la documentazione esibita dai ricorrenti, lungi dal giustificare gli acquisti, provava, peraltro nemmeno con chiarezza, la dismissione di vari titoli ma non anche la finalità della stessa, non potendosi pertanto escludere che le somme così realizzate fossero state semplicemente reinvestite in ulteriori strumenti finanziari;

- le prove offerte dai ricorrenti dimostravano bensì il conseguimento da parte delle società di ulteriori disponibilità finanziarie, ciò però non inficiava l'accertamento sintetico posto che questo si basava sulla accertata esistenza di conferimenti da parte dei soci.

2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione i coniugi D. e T. articolando sette motivi; resiste l'Agenzia delle entrate con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

3. Con il primo motivo, rubricato «violazione del principio del contraddittorio», i ricorrenti intendono in realtà denunciare violazione di legge per avere la C.T.R. omesso di rilevare la violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, causa di nullità degli avvisi di accertamento come tale - assumono - rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, indipendentemente da eccezione di parte (che, ammettono, non essere stata nella specie proposta nei giudizi di merito).

4. Con il secondo motivo - rubricato «violazione e falsa applicazione dell'art. 38, co. 4, 5 e 6, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell'art. 53 Cost., in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.)» - i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della norma impositiva per avere la C.T.R. considerato legittimo un accertamento sintetico basato su elementi riferibili alla società di capitali che, per quanto partecipata da essi contribuenti, rimane pur sempre soggetto distinto da questi ultimi, così implicitamente assumendo la fittizietà delle operazioni poste in essere dalle società di capitali (B.C. S.r.l. e N.T.C.T. S.p.a.): fittizietà non dimostrata e anzi neppure dedotta negli avvisi di accertamento.

Formulano quesito di diritto.

5. Con il terzo motivo deducono vizio di motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Rilevano che la C.T.R., pur avendo dato atto della documentata esistenza di incassi da parte delle società partecipate e non da parte dei contribuenti, contraddittoriamente assume che gli acquisti fatti dalle società siano riferibili in qualche modo ai soci per avere questi ultimi fornito la necessaria provvista, non tenendo conto della dimostrata capacità finanziaria autonoma delle società medesime.

È formulato momento di sintesi.

6. Con il quarto motivo deducono violazione dell'art. 38, commi quarto, quinto e sesto, d.P.R. n. 600/73, in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto insufficiente la documentata esistenza di disponibilità finanziarie derivanti ad essi ricorrenti dalla dismissione di titoli, in mancanza della prova che le risorse finanziarie in tal modo acquisite siano state destinate proprio all'effettuazione degli investimenti posti a base dell'accertamento sintetico.

Rilevano che la norma di riferimento e, in particolare, il comma sesto dell'art. 38 d.P.R. cit., riconosce al contribuente la facoltà di fornire la prova contraria dimostrando soltanto che il maggior reddito determinato, o determinabile, sinteticamente sia costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.

Osservano che una diversa interpretazione finirebbe col gravare i contribuenti di una probatio diabolica, stante la fungibilità del denaro.

Viene anche per tal motivo formulato quesito di diritto.

7. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. e dell'art. 57, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per aver ritenuto necessaria, nel caso in esame, la prova da parte dei ricorrenti dell'utilizzo delle somme ricavate dal disinvestimento di alcuni titoli o dalla redditività di altri, pur in mancanza di specifica contestazione da parte dell'agenzia delle entrate.

Viene formulato quesito di diritto.

8. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono ancora, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., vizio di ultrapetizione per avere la C.T.R. attribuito rilievo alla mancata dimostrazione della destinazione delle disponibilità finanziarie ad essi derivanti dal predetto disinvestimento di titoli, pur in mancanza di qualsiasi riferimento a tale tema nella difesa dell’ufficio.

Anche per questo motivo è formulato quesito di diritto.

9. Con il settimo motivo i ricorrenti deducono, infine, vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la C.T.R. ritenuto, con valutazione «sbrigativa», e peraltro in contrasto con quella espressa dalla stessa C.T.R. in altre sentenze di appello favorevoli ad essi contribuenti, inidonea la documentazione esibita a dimostrare la disponibilità di redditi sufficienti ad effettuare gli investimenti considerati indici rivelatori di maggiore capacità contributiva.

10. Il primo motivo si espone ad un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità discendente dalla mancata formulazione di un chiaro e pertinente quesito di diritto, prescritto, come noto, a pena di inammissibilità, dall'art. 366- bis cod. proc. civ. (applicabile nel caso di specie ai sensi della disciplina transitoria di cui alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, essendo stata la sentenza impugnata depositata, come detto, il 19/9/2008)(v. ex pluribus Cass. Civ., Sez. U, n. 7258 del 26/03/2007, Rv. 595864).

Se ne può comunque rilevare, incidentalmente, anche l'infondatezza.

Alla data dell'accertamento impugnato con il ricorso introduttivo non era, infatti, previsto l'obbligo, per l'amministrazione, di procedere a preventivo contraddittorio con il contribuente e questa Corte ha, in relazione al testo allora vigente dell'art. 38 quarto comma del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, esplicitamente affermato che «ai fini dell'accertamento sintetico dei redditi ... è sufficiente che vi siano elementi e circostanze di fatto certi, in base ai quali possa fondatamente attribuirsi al contribuente un reddito complessivo superiore a quello risultante dalla determinazione analitica, non occorrendo che l'individuazione e la raccolta di quegli elementi e circostanze, che l'ufficio può attingere da qualsiasi fonte, avvengano in contraddittorio con il contribuente. Tale contraddittorio si instaura, invece, con la notifica dell'atto di accertamento, che, per ciò, deve contenere l'indicazione dei fatti indici sui quali esso si fonda, in modo che i contribuente sia in grado di conoscere sufficientemente la pretesa fiscale e svolgere le proprie difese al riguardo» (v. Sez. 1, n. 9198 del 27/08/1991, Rv. 473674; conf. Sez. 5, n. 27079 del 18/12/2006, Rv. 595888).

Tale obbligo è stato introdotto dall'art. 22, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 maggio 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, attraverso la sostituzione dei commi dal quarto all'ottavo dell'art. 38 d.P.R. 600/73 ma, per espressa disposizione transitoria, «con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del... decreto».

11. Il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili, sono inammissibili per difetto di specificità.

Le censure con essi svolte, sotto entrambi i profili rispettivamente dedotti (violazione di legge e vizio di motivazione), non si confrontano con l'effettiva ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata e si appalesano pertanto non pertinenti.

Diversamente, infatti, da quanto postulato a fondamento di entrambe, la C.T.R. non ha considerato indici di maggiore capacità contributiva dei ricorrenti, nemmeno in via indiretta, gli acquisti imputati alle società di capitali da essi partecipate, quanto piuttosto l'accertata esistenza di conferimenti da parte dei soci.

È bensì vero che in motivazione incidentalmente si osserva che le somme conferite dai soci sono state «poi utilizzate per acquisti di beni patrimoniali»; tale inciso, però, con ogni evidenza, non assume rilievo nell'economia della decisione poiché, pur prescindendo dalla destinazione che gli amministratori delle società di capitali abbiano inteso dare al nuovo capitale conferito dai soci, rimane comunque il dato dei conferimenti medesimi a costituire, con riferimento alla posizione reddituale dei soci, valido indice di riferimento per la determinazione sintetica di maggiori possibilità contributive in capo agli stessi.

Ciò, del resto, risulta ben spiegato nella sentenza impugnata laddove, proprio specificamente affrontando l'argomento difensivo riguardante le capacità finanziarie e patrimoniali autonome delle società di capitali, quali risultanti anche dai documentati incassi, essa spiega che l'avviso di accertamento ha riguardo alla esecuzione di conferimenti di somme da parte dei soci e che il ragionamento inferenziale che, sulla base di tale dato, conduce all'accertamento sintetico, non viene scalfito dal fatto che la società abbia conseguito ulteriori disponibilità finanziarie.

12. Il quarto motivo è infondato.

Con recente pronuncia (Cass. 18 aprile 2014, n. 8995, richiamata dalle successive Cass. 26 novembre 2014, n. 25104; Cass. 16 luglio 2015, n. 14885), questa Corte ha così chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico ex art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973: «a norma del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l'accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che "l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione". La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della "durata" del relativo possesso, previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate al fini dell'accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la "durata" del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice transito nella disponibilità del contribuente».

Tanto premesso, nella specie, dalla sentenza impugnata risulta accertato che i contribuenti hanno fornito la prova dell'esistenza e dell'ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, ma non risulta accertato che abbiano altresì fornito idonea prova, tantomeno documentale, della «durata» del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria, come sopra evidenziato, a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo ai contribuenti proprio a tali ulteriori redditi.

13. Sono altresì infondati il quinto e il sesto motivo, congiuntamente esaminabili, proponendo essi sostanzialmente la medesima questione.

Alla luce dell'orientamento pacifico, in materia, di questa Corte, non appare revocabile in dubbio che, anche al processo tributario - caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonché dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili - è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di ritenere non abbisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati), il quale trova fondamento non solo negli artt. 115, 167 e 416 cod. proc. civ., ma anche nel carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nel dovere di lealtà e di probità previsto dall'art. 88 cod. proc. civ., il quale impone alle parti di collaborare fin dall'inizio a circoscrivere la materia effettivamente controversa, e nel generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost..

Ciò non toglie, però, che tale principio opera sul piano della prova, cosicché nel processo tributario esso non elide l'operatività dell'altro principio - operante sul piano dell'allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario - secondo cui la mancata presa di posizione dell'Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell'intera domanda del contribuente consente all'Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (v. Sez. 5, n. 13834 del 18/06/2014, Rv. 631297; Id., n. 7789 del 03/04/2006, Rv. 590424).

Tanto meno può vedersi alcuna violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.).

È evidente infatti che è implicita nell'emissione dell'atto impositivo l'allegazione, da parte dell'ufficio, dei presupposti della pretesa tributaria.

La riferibilità degli elementi considerati a redditi esenti o a redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta costituisce, nella struttura della norma, fatto impeditivo del credito azionato, il cui onere di allegazione e prova è addossato al contribuente.

La sussistenza dei presupposti della pretesa (in via presuntiva desunti dagli esborsi per incrementi patrimoniali) e per converso l'insussistenza del dedotto fatto impeditivo segnano i limiti del thema decidendum, da cui certamente la C.T.R. nel caso di specie non ha decampato.

14. È infine inammissibile il settimo motivo, per diversi motivi.

14.1. Manca anzitutto l'illustrazione prevista dalla seconda parte dell'art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile, come detto, nel caso in esame, ratione temporis), illustrazione che, secondo la giurisprudenza di legittimità (v. per tutte Sez. U, n. 20603 del 01/10/2007, Rv. 599013), deve consistere in un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che circoscriva puntualmente i limiti della censura, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, e che contenga, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata.

14.2. La censura inoltre difetta di autosufficienza.

Rimangono infatti imprecisati in ricorso quali elementi di prova sarebbero stati trascurati nella valutazione del giudice del merito, né tanto meno essendone indicata la fonte e la collocazione tra gli atti del processo, né riprodotto il contenuto, almeno nella parte che si assume rilevante, onde consentire una diretta valutazione da parte della Corte.

È noto al riguardo che, secondo consolidato indirizzo della S.C., il ricorso per cassazione - per il principio di autosufficienza - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l'onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l'indiretta riproduzione (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120; Sez. 3, n. 8569 del 09/04/2013, Rv. 625839; Sez. 1, n. 15952 del 17/07/2007, Rv. 598505).

I ricorrenti peraltro nemmeno specificano le ragioni per le quali la valutazione di inidoneità dei documenti esibiti sarebbe insufficiente, illogica o contraddittoria, ma la loro censura al riguardo si risolve piuttosto, in sostanza, nella mera prospettazione di una opposta valutazione. La sentenza, per contro, indica le ragioni della propria valutazione in relazione al contenuto dell'onere probatorio in materia gravante rispettivamente sull'una e sull'altra parte, in senso come visto conforme alla prevalente interpretazione della norma.

15. Deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 11.300,00, oltre spese prenotate a debito.