Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 marzo 2016, n. 4289

Cigs - Illegittimità - Risarcimento del danno - Comunicazione aziendale - Violazione art. 1, L. n. 223/1991

 

Svolgimento del processo

 

1. - Il Tribunale di Torino, adito da P.D.B., accolse il ricorso da costui proposto nei confronti della datrice di lavoro C. spa volto alla condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno in misura pari al differenziale delle retribuzioni tra quelle percepite e quelle percipiende se non fosse stato collocato illegittimamente in CIGS sulla base della comunicazione aziendale del 31 ottobre 2002 in violazione dell'art. 1 della I. n. 223 del 1991.

A seguito di gravame della società, la Corte di Appello di Torino, con sentenza del 7 giugno 2010, respingeva l'impugnazione.

In sintesi la Corte negava che i commi 7 ed 8 dell'art. 1 della I. n. 223 del 1991 in tema di procedura di concessione della CIGS e di consultazione sindacale fossero stati abrogati - come sostenuto dalla società - per effetto dell'entrata in vigore del DPR n. 218 del 10 giugno 2000; osservava dunque che l'azienda, con la nota di avvio della procedura di cassa integrazione del 31 ottobre 2002, non aveva ottemperato agli oneri previsti dalla L. n. 223 del 1991, in quanto comunicazione di tenore generico ed indeterminato; argomentava, infine, che tale inottemperanza non poteva essere sanata dall'accordo del 18 settembre 2003, atteso che la successiva conclusione non poteva vanificare la già consumata illegittimità della procedura.

2. - La C. Spa Spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. L'intimato ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

3. - I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

violazione o falsa applicazione della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 1, ed al d.P.R. n. 218 del 2000, nonché violazione o falsa applicazione dell'art. 15 preleggi in relazione al rapporto tra il d.P.R. citato e l'art. 1 della I. n. 223 del 1991, chiedendo alla Corte se la procedura oggetto di controversia sia da ritenere esclusivamente disciplinata dal citato d.P.R. n. 218 del 2000, stante la dedotta abrogazione dell'art. 1, commi 7 ed 8, della L. n. 223 del 1991 (primo motivo);

- violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 2, d.P.R. n. 218/2000, nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, chiedendo alla Corte di affermare il principio di diritto per il quale il verbale di esame congiunto redatto dal Ministero del Lavoro in data 5 dicembre 2002, provenendo da una pubblica amministrazione, determina una presunzione di legittimità della procedura, con inversione dell'onere della prova a carico del ricorrente (secondo motivo);

- violazione e falsa applicazione dell'art. 1, co. 7, I. n. 223 del 1991, dell'art. 5, co. 4, 5, 6, I. n. 164 del 1975, dell'art. 2, d.P.R. n. 218/2000, in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura da ritenere esaustivo, invitando la Corte ad affermare, quali principi di diritto, che le norme indicate dispongono la comunicazione e l'esame congiunto dei criteri di scelta e delle modalità di rotazione, senza imporre al datore di lavoro l'indicazione specifica e dettagliata di informazioni circa le singole posizioni lavorative; che le stesse norme impongono di valutare la completezza delle informazioni fornite alle OO.SS. sulla base sia della comunicazione che dell'esame congiunto; che i caratteri della specificità e chiarezza debbono rinvenirsi nei criteri deputati alla concreta scelta, eventualmente fissati in un accordo; che la valutazione di legittimità deve essere effettuata in riferimento al concreto esercizio del potere di scelta attribuito al datore di lavoro nel rispetto dei principi di correttezza, buona fede, divieto di discriminazione nonché della coerenza con la causa integrabile (terzo motivo);

- violazione e falsa applicazione dell'art. 1, co. 7, I. n. 223 del 1991, dell'art. 5, co. 4, 5, 6, I. n. 164 del 1975, dell'art. 2, d.P.R. n. 218/2000, nonché omessa motivazione della sentenza impugnata lamentando che la Corte torinese si sia limitata ad una astratta valutazione della legittimità della procedura senza riguardo alla posizione soggettiva del lavoratore collocato in CIGS (quarto motivo).

- violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, e del d.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, chiedendo alla Corte di affermare il principio di diritto secondo il quale la stipulazione di un accordo sindacale successivo ai provvedimenti di sospensione possa legittimamente disciplinare criteri di scelta e di rotazione in fase di gestione della CIGS; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. e dell'art. 1375 c.c. in relazione all'accordo sindacale 18.9.2003 nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della I. n. 223 del 1991 per averne negato l'efficacia sanante di eventuali vizi della procedura (quinto motivo).

4. - I mezzi di impugnazione investono questa Corte dell'esame di quattro questioni, così declinabili nel rispetto del loro gradato ordine logico-giuridico: a) rapporto tra il d.P.R. 218/2000 e l'art. 1 I. 223/1991, nel senso dell'avvenuta abrogazione o meno delle disposizioni della seconda legge ad opera di quelle della prima, con la conseguenza della non necessaria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione nella comunicazione di avvio della procedura di CIGS, suscettibile di differimento all'esito dell'esame congiunto tra imprenditore e oo.ss. della crisi aziendale e delle esigenze di organizzazione della produzione; b) requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, in ordine ai suddetti criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione; c) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della procedura stessa; d) verifica concreta della posizione del singolo lavoratore.

5. - La questione sub a) è oggetto del primo motivo di ricorso in premessa illustrato con il quale, con plurime argomentazioni, nella sostanza si sostiene la tesi dell'abrogazione della precedente normativa ad opera del d.P.R. n. 218/2000.

L'assunto e le censure che lo sostengono non possono essere condivise.

L’insegnamento di questa Corte è ormai attestato nell’escludere alcuna incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218 e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223, limitandosi la disciplina regolamentare ad imporre all’imprenditore, che intenda chiedere l'intervento straordinario di integrazione salariale, l'obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attenendo unicamente alla fase amministrativa di concessione dell'integrazione, senza nulla dire sul contenuto concreto della comunicazione, né dettando alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta: senza pertanto incidere sugli obblighi di rilevanza collettiva stabiliti dall'art. 1, settimo e ottavo comma legge n. 223 citata. E così pure esso è fermo nel negare che la normativa regolamentare abbia spostato l'informazione sui criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello immediatamente successivo dell'esame congiunto: posto che, così opinando, il contenuto dell'art. 2 del d.p.r. 218/2000 non soddisferebbe l'esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, comportando solo l'alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d'informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato.

Sicché, in proposito appare sufficiente, per la piena adesione ad esso prestata, richiamare il seguente principio di diritto, assolutamente consolidato (così anche da ultimo: Cass. 11 marzo 2015, n. 4886 e, con affermazione ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma c.p.c.: Cass. 9 giugno 2015, n. 11957), secondo cui: "In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la L. n. 223 del 1991, art. 1 prescrive al comma settimo da parte del datore di lavoro, a seguito della sua ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro un preciso onere, va osservata come tutte le restanti disposizioni della suddetta L. n. 223 del 1991, volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l'entrata in vigore del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà), atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale" (Cass. n. 28464 del 2008; adde: Cass. n. 13240 del 2009; successivamente conformi, Cass. nn. 2155, 2156, 2157, 4151, 4152 del 2011, oltre Cass. nn. 25949, 25229, 25047, 23492, 23491, 23454, 23399, 15879, 15741 del 2014; Cass. nn. 25100, 22540, 22247, 21814 del 2013)".

Avendo la Corte territoriale deciso la controversia al suo esame applicando un orientamento più volte espresso dai giudici di legittimità la sentenza d'appello non è, per questo aspetto, meritevole di censura.

6. - La seconda questione, relativa ai requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, è oggetto del terzo motivo, in riferimento al contenuto della lettera 31 ottobre 2002, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inadeguata la comunicazione di avvio della procedura.

Anch’esso è infondato.

Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell'esame giudiziale ai requisiti legali investe il merito in ordine al contenuto dell'atto, sicché è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate.

Ed infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell'idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 1, settimo comma I. 223/1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l'inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459). E con particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che l'aggettivazione "non individua una specie nell'ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione", atteso che "un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta" (Cass. 1 luglio 2009 n. 15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass. SS.UU. 11 maggio 2000, n. 302).

7. - La terza questione, riguardante l'efficacia sanante dell'accordo sindacale raggiunto in corso di procedura e dell'attestazione di regolarità della procedura, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del secondo e del quinto motivo, per tale ragione congiuntamente esaminabili.

Essi sono infondati.

Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell'accordo sindacale, della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione si risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29 maggio 2014, n. 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705): nel caso in esame travalicati, in riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche.

In ogni caso, questa Corte intende ribadire la recente affermazione secondo cui, in riferimento "alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell'ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate." (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed in particolare del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002, esse difettano di rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di rotazione debbano essere indicati ab initio nella comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta che quell'indicazione è avvenuta solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto (Cass. 8 giugno 2015, n. 11754; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587).

8. - L'ultima questione, riguardante la verifica concreta della posizione del singolo lavoratore, è oggetto del quarto motivo in premessa descritto, parimenti infondato.

Ed infatti la ritenuta genericità, per inidoneità dei criteri previsti dall'art. 1, settimo comma I. 223/1991, della comunicazione datoriale 31 ottobre 2002, di avvio della procedura di autorizzazione della CIGS, ravvisata da questa Corte in esito all'esame del mezzo di impugnazione sul punto respinto, confermando il vizio genetico della procedura, esclude la possibilità di verificare la corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25949).

9. - Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori dichiaratisi antistatari.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.600,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%, con distrazione.