Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 marzo 2016, n. 4296

Subagenti assicurativi - Esclusione dall'obbligo contributivo - Verbale ispettivo - Accertamento - Disciplina previdenziale applicabile

 

Svolgimento del processo

 

1. - La sentenza attualmente impugnata (depositata il 14 febbraio 2011), in accoglimento dell'appello di L.G. - agente di assicurazione - avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 4 febbraio 2004 e in riforma di tale sentenza, accoglie l'opposizione dell'agente al decreto ingiuntivo notificatole il 28 luglio 2003 per il pagamento in favore della Fondazione E. di una somma di denaro a titolo di contributi dovuti e non versati per alcuni subagenti, nel periodo IV trimestre 2000-IV trimestre 2001, in base ad accertamento avvenuto con verbale ispettivo.

La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) l'appellante ha evidenziato, fra l'altro, che l'attività dei subagenti, che inizialmente operano su incarico dell'agente, è meramente propedeutica alla successiva iscrizione (dopo un biennio di attività continuativa) all'Albo nazionale degli agenti di assicurazione con la relativa previdenza integrativa;

b) l'appello è fondato in quanto, diversamente da quanto sostenuto dall'E., dalla complessiva lettura dell'art. 343 del d.lgs. n. 209 del 2005 si desume che la norma di cui al comma 6 non ha fatto altro che ribadire, con riguardo ai subagenti assicurativi, la loro esclusione dall'obbligo contributivo E., già esistente in precedenza, richiamando il precedente regime, pur con la diversità di definire i subagenti assicurativi come "intermediari assicurativi" - figura ricognitiva e riassuntiva di quelle preesistenti - iscritti ad ogni effetto nella sezione E dell'apposito registro tenuto presso l'ISVAP (ora IVASS);

c) ne consegue che i subagenti in argomento, al pari degli agenti di assicurazione, non possono essere considerati "agenti di commercio" e sono quindi sottratti all'obbligo contributivo E., come lo sono sempre stati;

d) pertanto, per essi non ha alcun rilievo la modifica del Regolamento E. del 2000, effettuata a seguito della sentenza della CGUE, 30 aprile 1998, C-215/97, B. Bellone c/Yokohama s.p.a., in quanto tale sentenza si è riferita alla 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, applicabile ai soli agenti di commercio e non a quelli intermediari nella prestazione di servizi, come gli agenti e i subagenti assicurativi, il che è confermato dalla emanazione in ambito europeo di apposite direttive sulla intermediazione assicurativa, come le direttive 77/92/CE e 2002/92/CE del 9 dicembre 2002, aventi specificamente ad oggetto l'intermediazione assicurativa e riassicurativa (brokers, agenti, subagenti di assicurazione etc.);

e) va, comunque precisato che: 1) i subagenti assicurativi sono assoggettati al regime previdenziale obbligatorio INPS e vengono iscritti in apposita gestione, al pari degli agenti, nel comparto artigiani e commercianti; 2) quando diventano agenti di assicurazione sono assoggettati all'ulteriore regime previdenziale integrativo obbligatorio degli agenti assicurativi; 3) sul piano normativo la disciplina di agenti e subagenti assicurativi è la medesima, in quanto il contenuto dell'attività è lo stesso, cambia solo la figura del preponente; 4) la sottrazione dei subagenti all'obbligo contributivo E. corrisponde al principio secondo cui la disciplina previdenziale che vale per il rapporto principale vale pure per quello derivato, salve normative espresse che nella specie sono mancanti;

f) indubbiamente anche gli agenti assicurativi, pacificamente esclusi dall'obbligo contributivo E. sono, in senso lato e a-tecnico, "agenti di commercio", ma, fin dall'art. 1753 cod. civ., è sempre stata riconosciuta la specializzazione dell'attività assicurativa anche ai fini normativi, lo stesso non può non valere anche per i subagenti;

g) infine, quanto ai prospettati problemi di legittimità costituzionale, si osserva che la diversità di regime previdenziale dipende dalla diversità di attività svolta, mentre l'ipotizzato eccesso di delega è irrilevante, dato il carattere meramente ricognitivo dell'art. 343, comma 6, cit. confermato dal fatto che tutte le restanti norme comportano la medesima soluzione in esso esplicitata.

2. - Il ricorso della Fondazione E. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso, L.G., la quale deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Motivi della decisione

 

I - Sintesi dei motivi di ricorso

1. - Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1.1. - Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 della Preleggi, dell'art. 343 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, degli artt. 1, 4 e 5 della legge 7 febbraio 1979, n. 48 (legge applicabile, nella specie, ratione temporis, nonostante la sua sopravvenuta abrogazione ad opera dell'art. 354 del d.lgs. n. 209 del 2005).

Si sostiene l'erroneità dell'interpretazione fornita dalla Corte d'appello dell'art. 343, comma 6, cit., secondo cui tale norma non avrebbe fatto altro che confermare l'esclusione della categoria dei subagenti professionisti dall'obbligo di iscrizione all'E., esclusione già prevista dalla precedente normativa.

Si afferma che, con una simile interpretazione, la Corte territoriale avrebbe violato l'art. 12 delle Preleggi nonché gli artt. 343 cit., 4 e 5 della legge n. 48 del 1979, attribuendo a tali ultime disposizioni un significato loro del tutto estraneo e facendo, quindi, scorretta applicazione nella specie.

Ad avviso della Fondazione, infatti, la precedente normativa non conteneva alcuna disposizione che escludesse dall'obbligo di iscrizione all'albo (sezione B) e all'E. i subagenti assicurativi con almeno due anni di esercizio continuativo della professione o gli stessi agenti assicurativi.

Infatti, l'esclusione di questi ultimi dalla previdenza integrativa E. non derivava dalla legge n. 48 del 1979, ma dalla previsione di una specifica forma di previdenza complementare rispetto a quella INPS in favore degli agenti assicurativi, inaccessibile ai subagenti (richiedendosi per la relativa accessibilità l'iscrizione a quella che era la sezione A dell'albo).

Dalla inesistenza di una norma che escluda i subagenti dalla contribuzione E. si desumerebbe fino all'iscrizione nel registro degli intermediari di assicurazione e di riassicurazione (cui fa riferimento l'art. 343, comma 6, cit.) e comunque fino al momento dell'entrata in vigore del Codice delle Assicurazioni (1 gennaio 2006) i subagenti assicurativi sarebbero assoggettati alla contribuzione E., con onere a carico della ditta mandante, cioè degli agenti.

In sintesi, l'art. 343, comma 6, cit. non avrebbe valore ricognitivo della insussistenza dell'obbligo di contribuzione, come affermato dalla Corte romana. Infine, in via subordinata, si ripropone l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 343, comma 6, del d.lgs. n. 209 del 2005, come interpretato dalla Corte territoriale, per ipotizzato contrasto con: a) l'art. 76 Cost. (per eccesso di delega, trattandosi dell'unica norma di carattere previdenziale inserita in un testo legislativo emanato in base ad una delega avente ad oggetto il riassetto della disciplina delle assicurazioni private); b) l'art. 3 Cost. (per ingiusto trattamento deteriore riservato ai subagenti assicurativi rispetto sia agli agenti assicurativi sia agli agenti degli altri settori, tutti dotati di previdenza integrativa); c) l'art. 38, secondo comma, Cost. (perché la norma priverebbe i subagenti assicurativi di una tutela previdenziale integrativa prima esistente).

1.2. - Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 11 della Preleggi, dell'art. 343 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209.

Si aggiunge che l'interpretazione contestata nel primo motivo si porrebbe anche in contrasto con le suindicate disposizioni per avere attribuito carattere retroattivo all'art. 343, comma 6, cit., mentre la norma non può che essere intesa come prevedente l'esclusione in oggetto solo per il futuro, in assenza di una dichiarazione del legislatore al riguardo e, anzi, in presenza dell'art. 355 del d.lgs. n. 209 del 2005 che indica nel giorno 1 gennaio 2006 il giorno di entrata in vigore del Codice.

1.3. - Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 5 della legge 2 febbraio 1973, n. 12; degli artt. 1 e 4 del d.m. 24 settembre 1998 (Regolamento delle Attività Istituzionali della Fondazione E.) oppure, in subordine, degli artt. 1324 e 1362 cod. civ., in relazione alle anzidette norme regolamentari; degli artt. 1742, 1749, 1752 e 1753 cod. civ.

In primo luogo si sostiene che il suindicato Regolamento E. sia una fonte normativa secondaria direttamente utilizzabile per denunciare il vizio di violazione di norme di diritto.

Si aggiunge che altrimenti le censure riferite alle suddette norme regolamentari (anche nel quarto motivo) andrebbero intese come proposte sotto il profilo della violazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., applicabili anche agli atti unilaterali ai sensi dell'art. 1324 cod. civ., da cui si desume che il primo criterio interpretativo è quello letterale, che nella specie non sarebbe stato ben utilizzato.

In particolare si afferma che gli errori interpretativi commessi dalla Corte territoriale sarebbero i seguenti: a) aver limitato l'obbligo di iscrizione all'E. ai soli agenti di commercio; b) avere ritenuto che l'agente di assicurazione e l'agente di commercio siano figure in tutto e per tutto non equiparabili, mentre dalla disciplina codicistica si evince che l'agente assicurativo è riconducibile al paradigma generale di cui all'art. 1742 cod. civ., con la sola possibilità di deroga di cui all'art. 1753 cod. civ.; c) per non avere considerato che la figura dell'agente e quella del subagente assicurativo sono considerate del tutto diverse sia dalla direttiva 86/653/CEE sia dallo stesso d.lgs. n. 209 del 2005, svolgendo il subagente un'attività distinta, ausiliaria e subordinata rispetto a quella svolta dall'agente.

Si sottolinea, infatti, che le diversità esistenti tra agente di commercio e agente assicurativo non avrebbero effetti sostanziali sulla disciplina previdenziale, visto che tutti sono iscritti alla stessa gestione separata dell'INPS e che la mancata iscrizione degli agenti assicurativi all'E. deriva dalla derogabilità prevista dal citato art. 1753 cod. civ. e peraltro è accompagnata da una forma previdenziale complementare specifica, come si è detto. Tale deroga, peraltro, non riguarda i subagenti assicurativi che quindi sono riconducibili alla previdenza E., rientrando nell'ambito di applicazione dell'art. 1742 e ss. cod. civ.

1.4. - Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 5 della legge 2 febbraio 1973, n. 12; degli artt. 1 e 4 del d.m. 24 settembre 1998 (Regolamento delle Attività Istituzionali della Fondazione E.) oppure, in subordine, degli artt. 1324 e 1362 cod. civ., in relazione alle anzidette norme regolamentari; dei principi della dalla direttiva 86/653/CEE del 18 febbraio 1986.

Si contestano le statuizioni della sentenza impugnata nelle quali la Corte romana ha affermato che l'obbligo di iscrizione e contribuzione all'E.: a) riguarda soltanto i soggetti originariamente tenuti all'iscrizione nel ruolo degli agenti ex legge n. 204 del 1985, anche dopo la modifica del Regolamento di cui al d.m. 24 settembre 1998, prevedente la possibilità di iscriversi alla Fondazione anche in mancanza di iscrizione all'albo; b) deriva dalla contrattazione collettiva di settore, visto che l'intera normativa in materia di trattamenti previdenziali integrativi in favore di agenti e rappresentanti di commercio è stata emanata in attuazione di Accordi collettivi, alla cui stesura non hanno mai partecipato rappresentanti degli agenti e subagenti assicurativi.

Al riguardo si sottolinea che: a) i soggetti beneficiari della previdenza E. - denominati tout court "agenti", ex art. 2 della legge n. 12 del 1973 - sono coloro che hanno un rapporto anche di fatto riconducibile alle fattispecie di cui agli artt. 1742 e 1752 cod. civ., senza che assumano alcun rilievo né la presenza o meno della su menzionata iscrizione presso la CCIAA né la circostanza che tale iscrizione non sia prevista per agenti e subagenti assicurativi; b) l'obbligo di iscrizione e contribuzione all'E. deriva dalla legge (art. 5 della legge n. 12 del 1973 e art. 1 del d.lgs. n. 509 del 1994), non dagli AEC, quindi il suddetto difetto di rappresentanza in sede sindacale sarebbe irrilevante.

Si osserva, infine, che, comunque, la iscrizione nel ruolo è da considerare del tutto irrilevante, in base alla direttiva 86/653/CEE, considerata direttamente applicabile dalla giurisprudenza di legittimità.

II - Esame delle censure

2. - I motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

3. - In ordine logico è bene chiarire, in primo luogo, che il Regolamento delle Attività Istituzionali della Fondazione E. (di cui al d.m. 24 settembre 1998) - richiamato nel terzo e nel quarto motivo - non è da considerare fonte normativa secondaria direttamente utilizzabile per denunciare il vizio di violazione di norme di diritto.

Com'è noto per effetto del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 alcuni enti previdenziali pubblici gestori di assicurazioni previdenziali sono stati trasformati in soggetti di diritto privato (associazioni o fondazioni), cui è stato attribuito il potere regolamentare di disciplinare il regime dei contributi e delle prestazioni di rispettiva competenza, ma sempre nel perimetro determinato dalla normativa primaria.

Pertanto, con delibera del 27 novembre 1996, approvata dai Ministeri Vigilanti in data 16 giugno 1997, l'Ente pubblico E. è stato trasformato nell'attuale Fondazione E. di diritto privato e, in questa nuova veste, ha emanato il suindicato Regolamento, entrato in vigore il giorno 1 ottobre 1998.

Ebbene, la giurisprudenza di questa Corte - con orientamento costante, cui il Collegio intende dare continuità - esclude che abbiano contenuto normativo e/o regolamentare in senso proprio, ex art. 1 delle Preleggi, fra l'altro, i regolamenti e gli statuti delle persone giuridiche di diritto privato, quale è quello in oggetto.

Si tratta, infatti, di atti cui va da attribuita natura negoziale privatistica in quanto emanati da un Ente privato, senza che tale natura possa considerarsi contraddetta né dall'eventuale approvazione con decreto ministeriale, né dall'obbligo di iscrizione imposto all'Ente dal comma 3 dell'art. 1 del d.lgs. n. 509 del 1994 né dalla prevista necessità che gli atti statutari e regolamentari, a mente del successivo art. 3, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 509, siano approvati del Ministero vigilante (vedi, per tutte: Cass. 26 settembre 2012, n. 16381 che si è pronunciata con riguardo al regolamento di attuazione dello statuto dell'ENPACL - Ente Nazionale di Assistenza e Previdenza dei Consulenti del Lavoro; Cass. 7 giugno 2005, n. 11792).

Peraltro, i suddetti motivi sono comunque ammissibili perché con essi, in subordine, viene denunciata - in relazione agli invocati artt. 1 e 4 del citato Regolamento, che risulta ritualmente prodotto (vedi, sul punto: Cass. SU 7 novembre 2013, n. 27038 e Cass. SU 29 aprile 2009, n. 9941) - la violazione degli artt. 1324 e 1362, primo comma, cod. civ. e, com'è noto, le regole legali di ermeneutica contrattuale sono applicabili, entro il limite della compatibilità, anche al suddetto tipo di atti (arg. ex: Cass. 13 gennaio 1996, n. 221; Cass. 1 febbraio 1999, n. 846).

4. - Detto questo, deve essere precisato che, in estrema sintesi, la tesi della Fondazione può essere così riassunta: a) l'E. eroga prestazioni previdenziali agli agenti di commercio di cui agli artt. 1742-1752 cod. civ. (come stabilito dall'art. 2 della legge 2 febbraio 1973, n. 12 e dall'art. 1 del citato Regolamento); b) gli agenti assicurativi sono ricompresi nella categoria delineata dall'art. 1742 cod. civ.; c) il contratto di subagenzia assicurativa, come quello di agenzia assicurativa, rientra nel genus del contratto di agenzia, dal quale si differenzia solo per la diversa natura del preponente; d) non essendo prevista una specifica forma di previdenza integrativa per i subagenti assicurativi, ad essi è applicabile (per il periodo antecedente l'entrata in vigore dell'art. 343, comma 6, del d.lgs. n. 209 del 2005) quella dell'E., visto che la previdenza integrativa degli agenti assicurativi non può essere estesa ai subagenti assicurativi perché è speciale ed ha la sua fonte in accordi collettivi che non hanno preso in considerazione i subagenti; e) infatti, non garantire anche ai subagenti assicurativi una forma di previdenza integrativa darebbe luogo ad una sostanziale disparità di trattamento sia tra agenti e subagenti di assicurazione sia tra questi ultimi e gli agenti che operano negli altri settori.

5. - Queste sono le premesse dalle quali è partita la Fondazione quando ha cominciato, per la prima volta dalla propria istituzione (avvenuta con r.d. 6 giugno 1939, n. 1305), a vantare pretese contributive nei confronti degli agenti di assicurazione per i subagenti loro collaboratori.

Ne è sorto subito un ponderoso contenzioso che, anche dopo l'emanazione del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle Assicurazioni), ha tratto nuova linfa da una nota in data 10 giugno 2006, della Direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro (in www.lavoro.gov.it e, quindi, direttamente esaminabile in questa sede, vedi, per tutte: Cass. 28 agosto 2014, n. 18418), nella quale in risposta all'interpello proposto dall'A.C. di Udine, che chiedeva se dovesse considerarsi obbligatoria l'iscrizione dei subagenti di assicurazione alla Fondazione E., si affermava che l'art. 343, comma 6, del suddetto d.lgs. n. 209 del 2005, escludeva la configurabilità dell'obbligo di iscrizione all'E. anche per i subagenti di assicurazione, ma si aggiungeva che a tale norma avrebbe dovuto essere riconosciuto carattere innovativo e che quindi essa doveva considerarsi applicabile solo per il futuro (con decorrenza 10 gennaio 2006).

6. - Di conseguenza, le iniziative dell'E. da cui ha avuto origine il suddetto contenzioso - in cui si iscrive anche il presente ricorso - hanno riguardato uno spazio di tempo circoscritto, pari a circa un quinquennio (dal 1999/2000 fino 2005). Va, peraltro, sottolineato che tali iniziative sono state intraprese senza che fossero intervenute modifiche legislative in merito all'ampliamento della platea dei soggetti tenuti all'obbligo contributivo in favore dell'E. e, in particolare, all'inclusione tra gli obbligati anche dei subagenti assicurativi, come invece sarebbe stato necessario.

7. - Questo è il fulcro di tutta l'annosa vicenda in oggetto.

Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale, con orientamento costante, ha affermato che i contributi e le prestazioni disciplinati dai Regolamenti degli enti previdenziali privatizzati ex d.lgs. n. 509 del 1994 (come si è detto, assoggettati ad approvazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto col Ministero del tesoro e degli altri Ministeri competenti ad esercitare la vigilanza ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 509 citato) sono contributi ai quali è senza dubbio "da attribuire la natura di prestazioni patrimoniali obbligatoriamente imposte, come tali soggette alla garanzia dettata dall'articolo 23 Cost.", visto che sono determinati con atto unilaterale dell'Ente previdenziale, alla cui adozione non concorre la volontà del privato obbligato (vedi, per tutte: Corte cost. sentenza n. 190 del 2007).

Il Giudice delle leggi ha aggiunto che il suddetto parametro, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, configura una riserva di legge di carattere "relativo", nel senso che essa deve ritenersi rispettata anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalità dell'amministrazione (sentenza n. 67 del 1973 e n. 507 del 1988) "purché la concreta entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell'amministrazione (sentenze n. 507 del 1988, n. 182 del 1994, n. 180 del 1996, n. 105 del 2003)" e quindi a condizione che, dalla legge, sia ricavabile in modo univoco anche quali siano i soggetti tenuti a corrispondere la prestazione imposta.

Nella specie la riserva di legge relativa posta dall'art. 23 Cost. non è stata rispettata, in quanto - diversamente da quel che sostiene la Fondazione - manca del tutto una disposizione legislativa idonea ad autorizzare le pretese contributive dell'E. nei confronti dei subagenti assicurativi, visto che nel contesto dei dati normativi che vengono in considerazione non ve ne è nessuno dal quale possa desumersi la sussistenza dell'obbligo contributivo di cui si discute, in conformità con i requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale in materia.

8. - Va, infatti, sottolineato che i subagenti assicurativi non sono mai stati contemplati in alcuna norma legislativa e/o regolamentare del sistema previdenziale che fa capo all'E. né prima né dopo la trasformazione dell'ente in persona giuridica di diritto privato.

Ed è noto che, come pure sottolineato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di questa Corte, la suddetta "privatizzazione" - che ha lasciato inalterato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti anche dopo la disposta trasformazione - non ha certamente attribuito agli enti privatizzati il potere di incidere, con i rispettivi regolamenti, sulla disciplina sostanziale dell'assicurazione di competenza (vedi: Corte Cost. sentenze n. 248 del 1997; n.15 del 1999; n. 439 del 2005;) oppure sulla disciplina in materia di contributi e prestazioni, salvi i poteri già eventualmente riconosciuti agli enti stessi dalla normativa primaria nel regime precedente alla privatizzazione (arg. ex Cass. 6 settembre 2005, n. 17783; Cass. 30 novembre 2009, n. 25212 del 2009; Cass. 5 aprile 2005, n. 7010).

Nella specie, la norma primaria nella quale è stata determinata la platea dei soggetti "obbligatoriamente" tenuti ad avvalersi della previdenza integrativa dell"E. - art. 2 della legge n. 12 del 1973, tuttora vigente - fa espresso riferimento agli agenti e ai rappresentanti di commercio "di cui agli articoli 1742 e 1752 del codice civile". Tale dicitura è contenuta anche nell'art. 1 Regolamento del 1998 e non è mai venuta meno - né è stata sostanzialmente modificata - neppure nelle numerose versioni del Regolamento che si sono succedute nel tempo.

Del resto, una simile modifica non preceduta da uno specifico intervento legislativo al riguardo si sarebbe posta in contrasto con l'art. 23 Cost. e con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, di cui si è detto.

L'unica modifica significativa dell'art. 1 del Regolamento del 1998 è stata quella apportata nel 2000 quando l'E. ha disposto eliminazione (con delibera del Consiglio di Amministrazione, approvata con D.I. del 05 luglio 2000) dal comma 1 di tale articolo del richiamo alla iscrizione al ruolo degli agenti, che prima era prevista come obbligatoria dall'art. 2 legge 3 maggio 1985, n. 204 (e, per questo, inserita nel Regolamento) e che la Corte di Giustizia UE, con sentenza 30 aprile 1998, C-215/97, aveva considerato in contrasto con la direttiva 18 dicembre 1986, 86/653/CEE.

Ma è evidente che si tratta di una modifica del tutto ininfluente al fine della determinazione dei soggetti obbligati, che sono rimasti sempre i medesimi - cioè gli agenti e i rappresentanti di commercio - salva l'avvenuta eliminazione di un requisito che ne limitava la libertà di contrarre e che, anche prima, non era sempre considerato indispensabile per l'iscrizione all'E., come accadeva ad esempio nel caso degli agenti di commercio operanti all'estero che si consideravano comunque tenuti ad iscriversi all'E., in base all'attività in concreto svolta, anche se non erano obbligati ad iscriversi nel ruolo italiano degli agenti di commercio (vedi: Cass. 30 agosto 2004, n. 17350; Cass. 21 gennaio 1984, n. 526).

9. - Del resto l'assenza di un valido riferimento normativo nell'ambito della disciplina previdenziale è confermato dal fatto che l'E., nel presente giudizio, ha fatto principalmente richiamo alla normativa codicistica e, in particolare, all'art. 1742 cod. civ.

Tuttavia si tratta di un riferimento inadeguato ai fini che qui interessano, per molteplici concorrenti ragioni:

1) non vi è dubbio che, nella nozione di contratto di agenzia indicata nel primo comma dell'art. 1742 cod. civ. - come il contratto con il quale una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata - rientrino tutti i tipi di contratti che appartengono al suddetto, ampio, genus. In quanto l'attività di agente - qualunque sia il settore in cui opera - si sostanzia nella promozione dell'attività dell'impresa mandante cui è legato da un incarico stabile;

2) allo stesso modo è certamente di applicazione generale anche la disposizione del secondo comma del suddetto articolo, secondo cui: "il contratto deve essere provato per iscritto. Ciascuna parte ha diritto di ottenere dall'altra un documento dalla stessa sottoscritto che riproduca il contenuto del contratto e delle clausole aggiuntive. Tale diritto è irrinunciabile", con la precisazione (su cui si tornerà in seguito) che si tratta di una norma di provenienza comunitaria. Essa, infatti, è stata aggiunta dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, in sede di prima attuazione alla direttiva 86/653/CEE, e poi è stata riformulata e sostituita dal successivo d.lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, di cui è stata necessaria l'emanazione per dare "ulteriore attuazione" della medesima direttiva, in seguito ad una procedura di infrazione avviata nei confronti dello Stato italiano dalla Commissione Europea per l'incompleta attuazione della direttiva ad opera del legislatore del 1991;

3) allo stesso modo, è di applicazione generale la definizione di agente con rappresentanza, contenuta nell'art. 1752 cod. civ.;

4) neppure si può discutere sull'applicabilità del suddetto artt. 1742 cod. civ. anche ai subagenti - qualunque sia il settore in cui operano - data l'identità di contenuto tra i contratti di agenzia e di subagenzia - che si differenziano tra loro solo con riguardo alla persona del preponente che nel contratto di agenzia è l'impresa, mentre in quello di subagenzia è l'agente;

5) di conseguenza, costituendo la subagenzia un caso particolare di contratto derivato (subcontratto) - unilateralmente e funzionalmente collegato al contratto principale di agenzia che ne è il necessario presupposto - ad esso si applica la disciplina del contratto principale, nei limiti consentiti o imposti dal collegamento funzionale;

6) tale disciplina ha la sua base nelle norme del codice civile che quindi, salvi i suddetti limiti, sono applicabili anche al rapporto di subagenzia, a partire dal citato art. 1742 cod. civ. (vedi, per tutte: Cass. 15 giugno 1994, n. 5795; Cass. 10 aprile 1999, n. 3545; Cass. 6 agosto 2004, n. 15190; Cass. 4 novembre 2014, n. 23448; Cass. 17 novembre 1976, n. 4280);

7) questo vale anche per i successivi articoli da 1743 a 1752 cod. civ. ma , pur sempre con riguardo al loro rispettivo contenuto precettivo - che attiene esclusivamente ai rapporti di tipo privatistico tra le parti del contratto e con i terzi - e con l'avvertenza che la suddetta disciplina codicistica "generale" del contratto di agenzia è stata, nel corso del tempo, integrata (ad esempio, prima con la legge 12 maggio 1968, n. 316 e poi con la legge 3 maggio 1985, n. 204, che prevedevano l'obbligo dell'iscrizione degli agenti in un ruolo speciale) e profondamente modificata in sede di attuazione di direttive comunitarie.

E, in particolare, ciò è avvenuto - per effetto della direttiva 86/653 CEE del 18 dicembre 1986 relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti - prima con il d.lgs. 10 settembre 1991 n. 303 e poi con il d.lgs. 15 febbraio 1999 n. 65, con la legge 21 dicembre 1999, n. 526 e con la legge 29 dicembre 2000, n. 422;

8) tutto questo ha però riguardato - sempre nel suddetto ambito dei rapporti di tipo civilistico e commerciale - soltanto gli articoli da 1742 a 1752 cod. civ., il primo e l'ultimo dei quali sono anche quelli cui rinviano la legge n. 12 del 1973 e il Regolamento del 1998 al fine di individuare i soggetti tenuti alla previdenza E.;

9) l'art. 1753 cod. civ. non è stato mai contemplato nei suddetti testi né ha subito modifiche per effetto della citata direttiva comunitaria;

10) questo perché si tratta di una norma che si riferisce specificamente ad una categoria di agenti - e di subagenti - quella di coloro che operano nel campo delle assicurazioni, stabilendo che le norme sul contratto di agenzia, contenute negli articoli 1742-1752 del codice, sono applicabili anche agli agenti di assicurazione "in quanto non siano derogate dalle norme corporative o dagli usi e in quanto siano compatibili con la natura dell'attività assicurativa";

10) solo a questa stessa categoria di agenti l'art. 1903 cod. civ. attribuisce anche particolari poteri negoziali e processuali;

12) come è stato affermato da questa Corte, tale speciale regime deriva dal fatto che l'agente di assicurazione, sin dai tempi dei "mezzani di sigurtà" della Repubblica veneta, ha avuto una propria organizzazione associativa e, connessa con questa, una propria disciplina che ha preceduto quella dell'agente di commercio e che da essa è sempre stata nettamente distinta. Di questo si è tenuto conto, fin dall'emanazione del codice civile, come risulta dalla relazione del Guardasigilli al codice stesso (vedi per tutte: Cass. 11 luglio 2001, n. 9386; Cass. 1 agosto 2001, n. 10521);

13) l'autonomia della figura dell'agente assicurativo ha indotto la dottrina più autorevole e assolutamente dominante a leggere l'articolo 1753 del codice come una norma non genericamente dispositiva, ma meramente suppletiva. Nel senso, cioè, che essa non estende all'agente di assicurazione la disciplina dell'agente di commercio, salvo il diverso disposto delle parti, ma, al contrario, afferma che la disciplina degli agenti di assicurazione è contenuta negli usi e negli accordi collettivi del settore e che solo in mancanza è possibile applicare, in via analogica, le norme contenute negli articoli 1742-1752 cod. civ. in materia di agenti di commercio. Una disciplina particolare e autonoma dunque; una disciplina che, come è stato autorevolmente osservato, inverte l'ordine di precedenza delle fonti normative stabilito dagli articoli 1, 7 e 8 delle Preleggi e pone le norme del codice civile in una posizione subordinata rispetto alla disciplina collettiva, agli usi e alla natura dell'agenzia assicurativa;

14) ciò non significa che l'art. 1753 degrada le norme del codice da norme imperative a norme dispositive e neppure significa che attribuisce agli accordi collettivi e agli usi un valore superiore a quello della legge; significa, più semplicemente, che, una volta accertata l'esistenza di una norma che disciplina l'attività dell'agente di assicurazione, "non c'è posto" per l'applicazione della disciplina dell'agente di commercio, qualunque carattere essa abbia, dispositivo o imperativo che sia (vedi per tutte: Cass. 11 luglio 2001, n. 9386; Cass. 1 agosto 2001, n. 10521, citate);

15) del resto, in applicazione di tale principio, quando venne istituito il ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio mediante la legge n. 316 del 1968 si escluse che la norma, nonostante il suo carattere imperativo, fosse applicabile agli agenti di assicurazione (precisazione del Ministro della Giustizia 27 ottobre 1971 e circolare del Ministro dell'industria del 26 febbraio 1972), tanto che fu necessario l'accordo del 15 gennaio 1973 tra l'Associazione nazionale delle imprese assicuratrici e l'Associazione nazionale degli agenti di assicurazione per l'istituzione di un apposito albo per gli agenti di assicurazione (avvenuta con la specifica legge 7 febbraio 1979, n. 48), oggi divenuto Registro Unico degli Intermediari Assicurativi e Riassicurativi (RUI), cui sono tenuti ad iscriversi tutti coloro che intendono svolgere in Italia l'attività di "intermediazione assicurativa";

16) le due suddette figure - la cui disciplina nazionale è fortemente influenzata da quella di provenienza UE - anche in ambito comunitario sono sottoposte a normative diverse , in quanto mentre agli agenti di commercio si applica una specifica disciplina comprendente anche la direttiva 86/653/CEE cit., per la "intermediazione assicurativa" sono state emanate apposite direttive, come le direttive 77/92/CE e 2002/92/CE del 9 dicembre 2002, aventi specificamente ad oggetto l'intermediazione assicurativa e riassicurativa (brokers, agenti, subagenti di assicurazione etc.).

10. - Tutte le anzidette osservazioni dimostrano come, anche con riguardo ai rapporti di tipo privatistico e commerciale, vi sia sempre stata una netta separazione tra agenti di assicurazione e agenti di commercio e come tale separazione, da tempi remoti, sia stata rafforzata anche dalla normativa comunitaria.

A ciò consegue che quanto deciso dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza 30 aprile 1998, C-215/97, B. Bellone c/ Yokohama s.p.a. - e la conseguente modifica del Regolamento E. citata - non hanno alcun rilievo nella presente fattispecie, per diverse ragioni:

a) in primo luogo la sentenza si è pronunciata sulla compatibilità della nostra normativa nazionale - riguardante "gli agenti e i rappresentanti di commercio" e dettata dalla legge n. 204 del 1985 - con la direttiva 86/653/CEE, anch'essa relativa "agenti commerciali indipendenti"ed ha affermato l'incompatibilità con tale direttiva dell'art. 2 della suddetta legge che subordinava la validità del contratto di agenzia all'iscrizione dell'agente di commercio in un apposito albo. L'ambito applicativo della pronuncia è stato delineato in modo chiaro dalla stessa Corte di Giustizia, laddove ha ricordato che le persone tutelate dalla direttiva sono quelle cui è attribuibile la qualifica di agente commerciale, che, a norma dell'art. 1, n. 2, della stessa direttiva, è riconosciuta alla persona «che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un'altra persona (...) la vendita o l'acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente»;

b) in secondo luogo è altresì ininfluente la affermata applicabilità della direttiva 86/653/CEE cit. anche agli agenti che trattano beni di natura diversa dalle merci in senso materiale, come i prodotti finanziari, effettuato attraverso il richiamo al citato art. 1, n. 2 della direttiva medesima, delle norme del Trattato (artt. 59-66, che riguardano non solo lo scambio di merci, ma anche "la libera prestazione di servizi"), del d.lgs. n. 303 del 1991 (che ha armonizzato la direttiva nell'ordinamento interno, prevedendo espressamente, all'art. 2, che l'agente possa trattare non solo beni in senso stretto, ma anche servizi: norma trasfusa nel nuovo testo dell'art. 1749 cod. civ.), nonché alla stregua dell'interpretazione della Corte di giustizia (sentenze 6 marzo 2003, C - 485/01; 30 aprile 1998, C - 215/97), vincolante per tutte le autorità degli Stati membri, anche ultra partes (Cass. 7 agosto 2004, n. 17350);

c) infatti - per quel che si è detto in ordine alla "specialità" della figura dell'agente di assicurazioni - è evidente che il suindicato principio non è applicabile in via analogica a tale figura, che si differenzia nettamente da quella dell'agente in attività finanziaria;

d) peraltro, in ambito UE, la differenza tra le due suindicate categorie di agenti è stata rimarcata anche dalla direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, cui è stata data attuazione con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, visto che tale decreto, da un lato, all'art. 4 esclude espressamente dal proprio ambito applicativo (fra l'altro) "i servizi assicurativi e di riassicurazione", mentre disciplina l'attività dell'agente e del rappresentante di commercio e, all'art. 74, comma 1, prevede la soppressione del relativo ruolo, di cui all'art. 2 della legge n. 204 del 1985;

e) ma, la ragione più immediata e forte per escludere l'influenza - anche solo indiretta - della suddetta sentenza della CGUE alla presente fattispecie è che, anche prima di essa, in base un indirizzo consolidatissimo di questa Corte, si riteneva che la norma prevedente la nullità dei contratti di agenzia stipulati con persone non iscritte nello speciale ruolo all'epoca vigente per gli agenti di commercio fosse una norma che, stabilendo una limitazione alla libertà di contrarre, dovesse essere interpretata in senso restrittivo e che quindi non potesse ritenersi estesa ai subagenti (Cass. 10 aprile 1999, n. 3545; Cass. 15 giugno 1994 n. 5795; Cass. 6 agosto 2004, n. 15190; Cass. 19 maggio 2003, n. 7844, citate);

f) conseguentemente, i subagenti non sono stati comunque toccati dalla suddetta sentenza della CGUE e, a maggior ragione, non lo sono stati i subagenti assicurativi.

11. - Tirando le fila di quanto fin qui si è detto: 1) da sempre per le due indicate categorie di agenti - di commercio e assicurativi - sono dettate discipline profondamente diverse (e questo trova conferma anche negli artt. 1753 e 1905 cod. civ.); 2) da sempre dalla giurisprudenza di questa Corte si desume che la natura di contratto derivato o subcontratto di subagenzia comporta che, in linea generale, i subagenti siano assoggettati alla stessa disciplina degli agenti, in quanto compatibile. E ciò è confermato anche dall'art. 109 del Codice delle Assicurazioni, secondo cui anche i subagenti assicurativi non possono svolgere la loro attività se non sono iscritti nel RUI, sia pure nella sezione E del registro e non in quella propria degli agenti.

Ne deriva che, se per gli agenti è il rispettivo settore produttivo di appartenenza - nella specie: commercio o assicurazione - l'elemento determinante per l'individuazione della disciplina da applicare, lo stesso vale anche per i subagenti, visto che pure l'attività da questi concretamente esercitata è caratterizzata da tale appartenenza.

Invero, è del tutto evidente che l'attività di un subagente assicurativo, nella sostanza, è - a parte la figura del preponente - uguale a quella dell'agente assicurativo e molto diversa, invece, da quella del subagente o dell'agente di commercio.

12. - Questa forza attrattiva del settore produttivo di appartenenza ha avuto storicamente - e tuttora ha - importanti riflessi anche in riferimento alla rispettiva previdenza integrativa. Basta pensare che anche gli Accordi Economici Collettivi (AEC) - che caratterizzano la nascita della disciplina degli agenti ancor prima delle norme del codice civile (soprattutto per gli agenti di quelli di commercio, avendo, come si è detto, la disciplina degli agenti di assicurazione origini più remote) - rispondono alla medesima logica. Infatti, fin dagli AEC esistenti al momento della caduta dell'ordinamento corporativo nel 1943, si rinviene una differenza per settori produttivi, nella quale è già riconosciuta anche la specificità delle imprese assicuratrici (AEC del 15 luglio 1939).

Ebbene, è proprio ai suddetti AEC che si deve la nascita, per entrambe le categorie di agenti che vengono qui in considerazione, degli enti che attualmente provvedono alla rispettiva previdenza complementare (e facoltativa, quale è quella gestita dal Fondo per gli agenti di assicurazione) integrativa (e obbligatoria quale è quella gestita dall'E.).

13. - In particolare, per gli agenti e rappresentanti di commercio, l'istituzione dell'E. (all'epoca ENFASARCO) - quale gestore della prima forma di tutela previdenziale del settore - si ebbe con r.d. 6 settembre 1939, n. 1305, in seguito alla firma il 30 giugno 1938 dell'AEC per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale.

14. - D'altra parte, per gli agenti assicurativi, dopo l'istituzione di una Cassa di previdenza sulla base sempre di un AEC del 5 luglio 1939, il 10 ottobre 1951 è stato stipulato - tra l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA) ed il Sindacato nazionale degli agenti di assicurazione - l'Accordo Nazionale Agenti, con efficacia erga omnes, come base per le successive contrattazioni di categoria. Con l'AEC 24 giugno 1953, recepito dal d.P.R. n. 387 del 1961, è stata istituita una forma di previdenza integrativa speciale e quindi derogatoria rispetto alla previdenza gestita dalla E. per gli agenti di commercio. Pertanto, gli agenti di assicurazione sono sempre stati sottratti all'obbligo di iscrizione all'E. poiché per essi è sempre stata applicabile una forma di previdenza complementare e volontaria.

Il 29 novembre 1975 è stata costituita la Cassa Pensione per gli Agenti professionisti di Assicurazione; tale Cassa ora è il "Fondo pensione per gli agenti professionisti di assicurazione" (FPA), nato in attuazione dell'Accordo Nazionale Imprese/Agenti del 1974, disciplinato dal proprio Statuto, adeguato ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari). Il Fondo, nella sua attuale configurazione, è una associazione con personalità giuridica di diritto privato, iscritta alla I sezione speciale dell'Albo tenuto dalla COVIP (art. 2 Statuto), che attua, a favore degli iscritti, una forma di previdenza complementare del sistema obbligatorio pubblico che contempla trattamenti pensionistici "pienamente cumulabili e compatibili con quelli di altre forme pensionistiche pubbliche o private" (art. 3 Statuto).

Al fine dell'iscrizione al Fondo gli interessati devono, fra l'altro, risultare iscritti, entro una certa data, nella sezione A del Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI) di cui al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 e devono avere un "mandato agenziale" in corso.

Ne sono quindi esclusi i subagenti assicurativi.

Anzi va sottolineato che per i subagenti assicurativi la persistente esclusione dalla previdenza complementare del settore è contemplata da tutti gli Accordi Nazionali Imprese/Agenti succedutisi nel tempo, ove sempre è stata contenuta una norma che espressamente ha escluso la loro applicabilità ai subagenti, comunque denominati, operanti per le agenzie di assicurazioni in gestione libera, anche se gestite interinalmente dalle Imprese di assicurazione.

15. - Ma le evidenziate diversità tra le due figure dell'agente di commercio e dell'agente assicurativo, da un lato, e tra il subagente assicurativo e il subagente o l'agente di commercio, dall'altro lato, non consentono di porre a confronto - ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 3 Cost. - la disciplina rispettivamente prevista in materia di previdenza complementare o integrativa.

Anzi, al riguardo va sottolineato come appaia del tutto ragionevole che il regime di previdenza complementare per i subagenti assicurativi sia stabilito con le medesime modalità con le quali è previsto quello degli agenti assicurativi, nascendo tale forma di tutela dalla categoria professionale di appartenenza e dal tipo di attività svolto, che sono le medesime per agenti e subagenti.

Mentre attribuire ai subagenti assicurativi - oltretutto obbligatoriamente e, quindi, non su loro richiesta - una forma di tutela previdenziale integrativa, propria di una categoria professionale differente, come preteso dall'E. nel periodo considerato, appare poco coerente con il principio di uguaglianza e anche con quello di ragionevolezza, dando luogo ad un regime del tutto atipico e "fuori sistema".

Va, infatti, sottolineato che, nonostante la tendenza ad estendere gli ambiti soggettivi della tutela previdenziale a tutti i produttori di reddito da lavoro qualunque sia la categoria di appartenenza, tuttavia l'attuazione completa di tale obiettivo, in linea generale, è pur sempre affidata alla discrezionalità del legislatore, perché presuppone l'adozione di scelte di politica sociale ed economica (vedi, per tutte: Corte cost. sentenza n. 173 del 1986). Inoltre nella specie, tali scelte - riguardando forme di previdenza complementare (FPA) o integrativa (E.) - hanno la loro base in accordi collettivi di categoria e, quindi, risultano essere state concepite come particolarmente aderenti al tipo di attività materialmente svolto dagli assicurati, secondo valutazioni delle Parti contraenti.

16. Da ultimo va ricordato che i subagenti assicurativi da molto tempo sono inclusi obbligatoriamente nel sistema INPS per la pensione IVS (gestione commercianti) - al pari tutti gli altri agenti e subagenti, sulla sola base dello svolgimento di una attività di agenzia (in senso ampio) svolta in modo abituale e prevalente e senza alcun rilievo alla distinzione dei ruoli (rispettivamente di agente o subagente) - e sono, quindi, dotati di una tutela previdenziale ai sensi dell'art. 38 Cost.

Pertanto, il fatto che la categoria professionale di appartenenza non consenta loro di iscriversi al Fondo di categoria certamente non contrasta con il suddetto parametro costituzionale e comunque non ha alcun rilievo nella presente controversia, perché certamente non autorizza l'E. a chiederne la contribuzione, in mancanza di un fondamento legislativo adeguato ai sensi dell'art. 23 Cost.

17. - Nella descritta situazione appare evidente che all'art. 343, comma 6, del Codice delle Assicurazioni non possa che essere attribuito carattere meramente "ricognitivo", tenendo conto - come prescrive l'art. 12 delle Preleggi - dell'intenzione del legislatore alla stregua dei criteri di interpretazione logico-sistematica e teleologica, che trae conferma anche dall'interpretazione genetica della norma stessa, quale si desume dal luogo in cui è inserita sia nell'ambito complessivo del suddetto Codice sia nell'ambito dello stesso art. 343. Il comma 6 in discorso stabilisce che: "le persone fisiche di cui al presente articolo e quelle iscritte nel registro degli intermediari di assicurazione e di riassicurazione non sono soggette agli obblighi previsti a carico degli agenti di commercio in materia di previdenza integrativa".

La norma è collocata alla fine di un articolo - inserito tra le norme transitorie del Codice - nel quale il legislatore si è preoccupato di precisare gli effetti della nuova normativa con riferimento agli "intermediari assicurativi" (dicitura di provenienza comunitaria) già iscritti all'Albo degli agenti o mediatori (sostituito dal RUI) od operanti.

In questo contesto, è stato anche alla fine precisato che tutte le persone fisiche prese in considerazione dai commi precedenti nonché tutte quelle iscritte nel neo-istituito RUI non sono soggette agli obblighi previsti a carico degli agenti di commercio in materia di previdenza integrativa.

Poiché è indubbio che tutti gli agenti di assicurazione e riassicurazione contemplati nell'art. 343 cit. e quelli ora tenuti all'iscrizione al RUI anche prima dell'entrata in vigore del codice non erano assoggettati alla previdenza E. è evidente che la norma ha effettuato una mera ricognizione al riguardo, nel senso che essa, dopo aver dettato (nei commi 1-5) la normativa transitoria per i soggetti presi in considerazione, al fine di completare la descrizione del regime da applicare a coloro che già erano iscritti all'Albo degli agenti o mediatori od erano già operanti, si è limitata a ribadire il loro non assoggettamento alla previdenza dell'E., probabilmente anche nella consapevolezza delle iniziative intraprese dalla Fondazione per i subagenti assicurativi.

È, pertanto, evidente che, a differenza dei precedenti commi dell'art. 343, il comma 6 cit. non ha né valore transitorio né contenuto innovativo, limitandosi a "fotografare l'esistente" e, quindi, semplicemente ad esplicitare un precetto normativo già operante perché derivante dal complesso normativo fin qui descritto.

Ne discende che: 1) da un lato, l'operatività anche per il passato della sottrazione dell'obbligo dell'iscrizione all'E. dei subagenti assicurativi già operanti al momento dell'entrata in vigore del codice non nasce dalla anzidetta norma ma dall'insieme delle altre di cui si è detto, a partire dall'art. 23 Cost.; 2) dall'altro lato, sarebbe del tutto improprio considerare la disposizione in discorso di natura interpretativa - e, attraverso tale configurazione, attribuire ad essa effetto retroattivo - in quanto, pur essendo ovviamente la ricognizione in essa contenuta riferita anche al passato, tuttavia la norma non solo non è strutturata come interpretativa, ma neppure avrebbe potuto esserlo visto che sarebbero mancati i presupposti per l'emanazione di una simile norma quali indicati dalla Corte costituzionale (vedi, per tutte: sentenza n. 217 del 2015).

Infatti, per gli agenti di assicurazione già operanti era del tutto pacifica la sottrazione all'assicurazione E. - univocamente risultante da tutta la normativa legislativa e collettiva del settore - mentre per i subagenti di assicurazione tale sottrazione risultava dai principi fondamentali della materia, a partire dall'art. 23 Cost., ma non vi era alcuna norma specifica, di significato più o meno equivoco, che potesse consentire una loro inclusione nel sistema E. e che, quindi, potesse legittimare un intervento legislativo volto ad imporre, con effetto retroattivo, una scelta ermeneutica in senso opposto.

18. - Per completezza va precisato che non ha alcuna rilevanza - al fine di supportare la tesi dell'E. circa il carattere innovativo del suddetto art. 343, comma 6, cit. - la citata nota 10 giugno 2006, della Direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro. Infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte, le note ministeriali, al pari delle disposizioni dei regolamenti interni e degli statuti degli enti pubblici in genere, non hanno valore di norme giuridiche per la generalità dei consociati, esaurendo la loro efficacia ed operatività nell'ambito dell'attività interna degli enti da essa interessati (arg. ex Cass. 24 ottobre 1998, n. 10581; Cass. 20 maggio 1998, n. 5038; Cass. 2 gennaio 1986, n. 21; Cass. 7 maggio 1984, n. 2778; Cass. 17 maggio 1965, n. 926).

Questo vale quindi anche per l'anzidetta nota ministeriale, pur dovendosi ribadire, per precisione, che l'interpretazione ivi data all'art. 343, comma 6, cit. - quale norma innovativa con effetto solo per il futuro - si pone in contrasto con l'art. 23 Cost.

19. - Da ultimo, va specificato che la affermata infondatezza della tesi della Fondazione - considerata nel suo insieme e in ogni suo passaggio argomentativo - rende del tutto irrilevanti i prospettati dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 343, comma 6, in oggetto, per asserito contrasto con gli artt. 76, 3 e 38 Cost.

Comunque, da quanto fin qui si è detto, emerge con chiarezza che ognuno dei suddetti profili di incostituzionalità è palesemente destituito di fondamento. Infatti: a) il prospettato contrasto con l'art. 3 Cost. è del tutto da escludere ove si consideri che le categorie di persone la cui disciplina della previdenza integrativa viene posta a confronto - cioè i subagenti assicurativi rispetto sia agli agenti assicurativi sia agli agenti degli altri settori - sono categorie non paragonabili, ai fini che qui interessano; b) la presunta violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost. - derivante dal fatto che la norma priverebbe i subagenti assicurativi di una tutela previdenziale integrativa prima esistente - a parte ogni altra considerazione sull'esistenza della copertura assicurativa INPS e sulla natura meramente integrativa della previdenza E., è basata su un presupposto erroneo che è quello di attribuire all'art. 343, comma 6, valore innovativo; c) sullo stesso presupposto sbagliato è fondata anche la prospettata violazione dell'art. 76 Cost. che, quindi, non è del pari neppure ipotizzabile.

III - Conclusioni

20. - La Corte d'appello di Roma, con congrua e logica motivazione, nella sentenza impugnata si è attenuta a tutti i suindicati principi.

Pertanto, il ricorso della Fondazione E. deve essere respinto.

La natura delle questioni trattate, la difformità delle soluzioni adottate dai Giudici del merito e l'assenza, finora, di un orientamento della giurisprudenza di legittimità sulle questioni stesse, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.