Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MILANO - Sentenza 08 febbraio 2016, n. 762

Tributi - Accertamento fiscale - Rettifica della rendita da motivare - Accertamento catastale che non riporta un’adeguata motivazione - Illegittimo - Il giudice adito è tenuto a riscontrare la presenza di tutti gli elementi necessari per comprendere l’iter seguito dall’ufficio per la rettifica, a prescindere dall’eventuale difesa adottata dal contribuente

 

Svolgimento del processo

 

1) (...) ricorreva nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Brescia, avverso avvisi di rettifica di rendite catastali dichiarate con mod. DOFCA; le rettifiche riguardavano altrettanti impianti di produzione dell’energia elettrica (invasi, dighe, manufatti, fabbricati di servizio) siti nel Comune censuario di Edolo; la Ricorrente deduceva: *carenza assoluta di motivazione degli atti rettificativi; **carenza di prova ,in violazione dell’art. 2697cc.; *** illegittima inclusione delle opere idrauliche fra i beni suscettibili di attribuzione di una rendita catastale; ****infondatezza, nel merito .delle rendite catastali come determinate dall'Ufficio; a sostegno di quest’ultima deduzione produceva perizia di stima quantificante i valori degli immobili oggetto di rettifica di rendita; chiedeva, infine, l’annullamento degli atti impugnati; la C.T.P. di Brescia, con sent. n.° 40/05/13, respingeva i ricorsi sul presupposto che: *in ordine al primo motivo di grava me,’’...quanto all’assenza di motivazione è ormai pacifico che sia sufficiente l’indicazione dei dati oggettivi utilizzati dall’Ufficio per giungere alla determinazione dell’accertato per assolvere al dovere di motivazione, inoltre, dal tenore e dallo sviluppo della difesa della ricorrente si può facilmente ritenere che l’obbligo sia stato abbondantemente rispettato"; **in ordine ai successivi motivi di gravame, stante il fatto che la Ricorrente svolgeva, nei suddetti immobili, attività d’impresa di produzione di energia elettrica, tutti erano da considerare strumentali e, pertanto, tutti, dovevano essere dotati di rendita che, inoltre, era stata correttamente quantificata dall’Agenzia; la Ricorrente interpone appello chiedendo la riforma della sentenza di prime cure; il Giudice a quo .infatti, avrebbe errato nel ritenere infondati i motivi di gravame che vengono tutti riproposti in questa sede; in particolare l’Appellante evidenzia come, contrariamente a quanto statuito dalla sentenza appellata, la motivazione degli atti impugnati debba ritenersi del tutto omessa, posto che la stessa si sostanzia nella seguente .testuale, affermazione "Gentile contribuente quest’ufficio ha accertato il reddito degli immobili descritti nel prospetto che risultano a lei intestati"; aggiunge l’Appellante che: "Segue, poi, un prospetto nel quale l’Ufficio applica, ai dati di superficie delle singole opere costituenti la centrale oggetto di accertamento di una serie di valori indicati in maniera del tutto apodittica in assenza di una seppur minima motivazione e prova"; chiede, infine, in riforma dell’appellata sentenza, che il Giudice adito annulli gli atti impugnati; l’Agenzia si costituisce in giudizio con controdeduzioni con cui chiede la conferma della sentenza di prime cure; all’udienza dibattimentali le Parti si riportano ai loro scritti difensivi.

 

Motivi della decisone

 

2- I passi della "motivazione" degli atti impugnati, correttamente riportati dall’Appellante, escludono che gli stessi fossero dotati "di" motivazione, cioè di quel minimo "apparato narrativo" con cui l’Agenzia doveva descrivere l’iter logico attraverso il quale era giunta ad accertare le maggiori rendite; il tutto in modo tale da consentire alla Ricorrente di svolgere, eventualmente, le proprie doglianze onde evidenziare gli errori di fatto e di diritto in cui fosse incorsa l’Agenzia; il Giudice a quo ha pertanto errato quando ha "presupposto" la presenza di "dati oggettivi utilizzati dall’Ufficio"(ma poi: quali avrebbero dovuto/potuto essere questi dati oggettivi?) invero assolutamente inesistenti in motivazione, concretizzandosi la stessa nei soli passi riportati in narrativa; il Giudice a quo ha anche errato quando, esplicitando la convinzione che "se la Ricorrente si è difesa vuol dire che l’atto era motivato", ha qualificato lo stesso come "provocatio ad opponendum" infatti ,ci dice la Cassazione che "....ciò significa che l'atto impositivo, avendo carattere di provocatio ad opponendum, offriva sufficienti elementi perché il contribuente potesse svolgere efficacemente le proprie difese. Questa è una visione induttiva del ruolo della motivazione, che pur leggendolo in funzione dell'esercizio del diritto di difesa finisce per legittimare un possibile, ma inammissibile, giudizio ex post della sufficienza della motivazione argomentata dalla difesa comunque svolta in concreto dal contribuente piuttosto che un giudizio ex ante argomentata sulla rispondenza degli elementi enunciati nella motivazione a consentire ex se l’esercizio effettivo del diritto di difesa. In realtà, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo "persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum deleatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all'interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa" (Cass. 12 luglio 2006, n. 15842; v. in senso conforme Cass. 21 novembre 2006, n. 25064; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23009)" (Cass.sent.2013/21564 in motivazione); insomma la valutazione in ordine alla presenza nell’atto impugnato di una adeguata motivazione và fatta dal Giudice ex ante indipendentemente, cioè, dal fatto che il Ricorrente sia riuscito, o meno, a svolgere un’adeguata difesa in sede di gravame; in conclusione i motivi di appello, sul punto, sono fondati; rimangono assorbiti gli ulteriori motivi; la sentenza va, pertanto, riformata con annullamento degli atti impugnati; le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

In riforma dell’appellata sentenza, annulla gli atti impugnati in prime cure; le spese di entrambi i gradi di giudizio si liquidano in € 3000(tremila), più oneri di legge, a carico dell’agenzia delle Entrate.