Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 febbraio 2016, n. 3716

Lavoro - Dipendente Rai - Contribuzione - Inpgi - Omissione - Natura giornalistica dell’attività svolta - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 29 maggio 2012, ha respinto l'appello avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento dell'opposizione proposta dalla Rai s.p.a., aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma nei confronti della RAI ed in favore dell'INPGI - Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "G.A.", per il pagamento della complessiva somma di € 786.625, a titolo di contributi e sanzioni relativi a dodici lavoratori, in ragione della asserita natura giornalistica della loro attività.

Costoro, ad eccezione di E.C., avevano partecipato alla realizzazione del programma "La vita in diretta", utilizzando le strutture aziendali e ricevendo direttive dagli autori e dal conduttore della trasmissione. La C., invece, aveva curato la progettazione e la gestione dei siti internet delle trasmissioni "Linea verde" e "Il Fatto", seguendone la realizzazione attraverso riunioni con gli autori e con i responsabili dei programmi e mantenendo rapporti, quale referente giornalistico unico, con la società incaricata della manutenzione tecnica dei siti.

La RAI, opponendosi all'ingiunzione di pagamento, aveva dedotto di avere stipulato contratti di collaborazione (per alcuni aventi ad oggetto attività di consulenza nella impostazione dei programmi, per altre l'attività di presentatore/presentatrice) ed aveva contestato sia la natura giornalistica dell'attività, sia la qualificazione dei rapporti posti alla base della pretesa dell'Istituto.

La Corte d'appello di Roma, nel confermare la sentenza di primo grado, ha precisato che il verbale redatto dal funzionario del servizio ispettivo dell'ente previdenziale - dal quale aveva tratto origine il decreto ingiuntivo - non era sufficiente a far ritenere fondata la pretesa del predetto Istituto, posto che le dichiarazioni dei lavoratori erano state acquisite con la tecnica del questionario, mentre, diversamente da quanto avvenuto in sede ispettiva, i testi assunti dal Tribunale nel corso dell'istruttoria avevano puntualmente descritto le modalità dei rapporti in contestazione e le attività dei soggetti per i quali l'Istituto aveva richiesto i contributi assicurativi.

Dalle dichiarazioni di tali testi e dal compendio istruttorio acquisito doveva escludersi la natura subordinata della prestazione, atteso che questa presuppone che il prestatore di lavoro sia inserito nell'organizzazione aziendale e sia assoggettato ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro; che il medesimo si tenga stabilmente a disposizione dell'editore, per eseguirne le istruzioni, anche negli intervalli tra una prestazione e l'altra; che l'attività del prestatore di lavoro abbia prevalentemente finalità informativa e non di mero intrattenimento, finalità che non poteva essere desunta dal fatto che i programmi fossero condotti da un giornalista professionista.

Inoltre dalla istruttoria non era emerso quale fosse il contenuto dei servizi realizzati dai soggetti interessati e neppure quali fossero le caratteristiche del programma, le quali non potevano essere ritenute, come indicato nell'atto di gravame, "fatto notorio", posto che questo, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile.

Per la cassazione di questa sentenza l'INPGI ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Resiste con controricorso la RAI. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. L'INPS, al quale il ricorso è stato notificato, ha rilasciato procura al difensore, che ha partecipato alla discussione.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 34 della legge 3 febbraio 1963, n. 69.

Deduce che la Corte territoriale ha rigettato la pretesa di esso ricorrente sulla base di una complessiva valutazione del materiale probatorio assolutamente non condivisibile, dando prioritario rilievo alla natura dei programmi e non già alle mansioni effettivamente svolte. Inoltre ha erroneamente ritenuto che in una trasmissione non giornalistica non è possibile che sia svolta attività giornalistica, non considerando che ciò che rileva è il fatto dello svolgimento di un'attività di raccolta, elaborazione, commento della notizia e la sua comunicazione agli utenti attraverso la televisione, restando irrilevante che le trasmissioni non siano state registrate come testata giornalistica, posto " che l'attività giornalistica può essere svolta non solo nei telegiornali, ma anche nei "programmi sicuramente comparabili". Dare rilievo per il rigetto della pretesa dell'INPGI - come ha fatto la Corte territoriale - alla circostanza che la trasmissione non sia "giornalistica in senso stretto", viola, ad avviso del ricorrente, la disposizione sopra citata e inficia il complessivo ragionamento posto alla base della decisione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. l'omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Illustra il ricorrente il contenuto dei singoli contratti di collaborazione prodotti in giudizio dalla RAI, rilevando che le clausole contrattuali, correttamente valutate unitamente agli altri elementi acquisiti al processo, avrebbero dovuto portare all'accertamento della subordinazione.

Trascrive inoltre in ricorso, per ciascuna posizione oggetto di recupero contributivo, le circostanze dedotte nella memoria difensiva del giudizio d'appello, le risultanze della prova testimoniale riferite a ciascun lavoratore e sottopone nuovamente le predette risultanze probatorie al vaglio di questa Corte, concludendo che tutti i giornalisti per cui è controversia "hanno prestato la loro attività lavorativa alle dipendenze della RAI occupandosi, in modo stabile e regolare, di produrre "informazione" nei diversi ambiti loro affidati e secondo le peculiarità strutturali dei programmi alla cui realizzazione hanno collaborato svolgendo le proprie prestazioni con i caratteri propri della subordinazione".

3. Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha escluso la natura giornalistica delle mansioni con riferimento alle posizioni dei lavoratori oggetto di accertamento non soltanto sulla base di considerazioni attinenti alla natura dei programmi ai quali i medesimi hanno partecipato, ma valutando anche in concreto le mansioni svolte dai suddetti lavoratori così come emerse dalle risultanze istruttorie.

Ha osservato la Corte territoriale che, tenuto conto della circostanza che i soggetti coinvolti nell'accertamento non hanno mai operato nell'ambito dei servizi televisivi qualificati giornalistici in senso proprio, sarebbe stato onere dell'INPGI dimostrare la finalità informativa e non di mero intrattenimento del programma, finalità che non può essere desunta dal solo fatto che lo stesso fosse condotto da un giornalista professionista.

Ha altresì rilevato la Corte anzidetta che dalla istruttoria non era emerso quale fosse il contenuto dei servizi realizzati dai lavoratori in questione e neppure quali fossero le caratteristiche del programma, non desumibili, peraltro, dal "fatto notorio", in quanto quest'ultimo, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio va inteso in senso rigoroso e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile.

Alla stregua di tali argomentazioni, destituito di fondamento si palesa l'assunto posto alla base del motivo in esame, avendo la Corte di merito posto alla base della decisione una serie di elementi che l'hanno indotta a ritenere che tra le parti fosse intercorso un rapporto di collaborazione e non già di subordinazione.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorrente, senza individuare il passaggio della sentenza impugnata viziato da motivazione insufficiente o contraddittoria ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella versione precedente a quella attuale, si è limitato a ripercorrere le risultanze della prova testimoniale e documentale, per desumere che "se la Corte avesse valutato tutte le posizioni sopra esaminate, anche con riferimento al corredo probatorio orale, in una ad una corretta valutazione degli indici rivelatori della subordinazione inseriti nei documenti contrattuali, l'esito del giudizio sarebbe stato indubbiamente diverso".

In tale ottica, il ricorrente ha prospettato una diversa lettura delle risultanze probatorie, riproponendo in questa sede le medesime censure cui il giudice d'appello ha dato adeguata risposta e chiedendo sostanzialmente un riesame della vicenda, senza considerare che il ricorso per cassazione - come ripetutamente osservato da questa Corte - non introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata e che non è consentito alla Corte di cassazione riesaminare e valutare il merito della causa ovvero effettuare nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto.

Va richiamata al riguardo, tra le tante, Cass. 21 gennaio 2015 n. 959, secondo la quale il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più idonee ed attendibili alla formazione dello stesso. Inoltre l'osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non richiede che il giudice di merito dia conto dell'esame di tutte le prove raccolte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. E', infatti, necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica e adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi ed i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito. In altre parole, il giudice di merito non ha l'obbligo di soffermarsi e dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito, potendo invece egli limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente.

Sotto tale profilo, dunque, la censura del ricorrente di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base della valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri. Il che esula dai poteri del giudice di legittimità.

Discende da tutto quanto precede che la decisione della Corte territoriale - che ha valutato gli aspetti della vicenda, con argomentazioni coerenti, logiche e prive di vizi, quali risultano dalla parte espositiva e dalle argomentazioni sub n. 3 - non appare censurabile.

In conclusione il ricorso deve essere respinto.

5. Per il criterio legale della soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento, a favore della RAI, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, mentre vanno compensate le spese tra il ricorrente e l'INPS, nei cui confronti non è stata proposta domanda.

Sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna l'Istituto ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore della RAI - R.I., in € 100,00 per esborsi ed € 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Compensa le spese fra ricorrente ed INPS.

Ai sensi all'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.