Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 febbraio 2016, n. 3297

Lavoro - Aspettativa successiva al periodo di malattia - Superamento del periodo di comporto - Non sussiste - Periodo "neutro"

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 481/2012, depositata il 29 ottobre 2012, la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza n. 588/2008 del Tribunale di Verona, respingeva la domanda di (...) diretta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole da (...) per superamento del periodo di comporto per sommatoria con lettera in data 11/4/2006.

La Corte territoriale riteneva, a sostegno della propria decisione, che i periodi di aspettativa per malattia fruiti dalla lavoratrice (in particolare, siccome rilevante ai fini del computo, quello dall'1/2 al 30/11/2005) non dovessero essere calcolati non solo come giorni di malattia ma neppure per la determinazione del limite "esterno" del comporto, pari a 1080 giorni, e ciò alla stregua delle previsioni della norma collettiva in materia (art. 32 c.c.n.I. elettrici) e in conformità alla ratio dell'istituto dell'aspettativa.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la (...) affidato ad unico motivo; ha resistito (...) con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con unico motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. nonché, violazione e falsa applicazione dell'art. 32 del c.c.n.I. per i lavoratori addetti al settore elettrico del 24 luglio 2001, con particolare riferimento ai commi 2° e 3° concernenti il diritto alla conservazione del posto per effetto di una pluralità di episodi morbosi ed a quello concernente la concessione di un periodo di aspettativa non retribuita con decorrenza dell'anzianità di servizio, rilevando come dal tenore letterale delle norme collettive richiamate, e tenuto conto della natura e delle finalità dell'istituto dell'aspettativa, emerga confermato l'assunto per il quale nel computo dei giorni che consentono il superamento del comporto, e quindi la risoluzione lecita del rapporto di lavoro per malattia, non possono essere computati i periodi di aspettativa concessi dal datore di lavoro a richiesta del dipendente.

Il ricorso non può essere accolto.

Esso, infatti, sotto un primo e preliminare profilo, appare inammissibile, sostanziandosi nella riproposizione delle ragioni difensive presentate nel giudizio di appello, a contrasto del gravame e a presidio della decisione, favorevole alla ricorrente, del Tribunale di Verona; né consentono una diversa valutazione i riferimenti alla Sentenza qui impugnata contenuti nelle pagine 6, ultimo capoverso, 7 prima parte, e 11 del ricorso, per la loro evidente genericità e perché, pur là dove (unicamente) menzionano un'affermazione del giudice di appello, lo fanno in termini del tutto privi di collegamento con il complessivo percorso logico-interpretativo dal medesimo seguito, ancora e comunque muovendosi nell'ambito dei discorsi argomentativi del primo giudice e avendo così presenti non già le esigenze di una critica di legittimità alla sentenza impugnata ma quelle di una difesa della decisione di primo grado.

Tale formulazione non è in linea con i requisiti di contenuto del ricorso per cassazione e, in particolare, con il requisito di cui all'art. 366, comma primo, n. 4 c.p.c., quale risulta costantemente interpretato e applicato da questa Corte.

Al riguardo deve invero ribadirsi il principio secondo il quale "la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l'inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all'art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l'esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate" (Cass. 3 agosto 2007, n. 17125).

Il ricorso appare, in ogni Caso, infondato.

Con la recente sentenza 12 febbraio 2015, n. 2794, questa Corte di legittimità ha infatti stabilito, con riferimento ad una clausola collettiva analoga a quella dedotta nel presente giudizio, che "nel caso di concessione di un periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia ... il relativo periodo non può essere commutato nell'arco temporale dei trentasei mesi previsti" dalla disciplina collettiva "ma va considerato come periodo ‘neutro’, sicché il datore di lavoro può legittimamente esercitare i diritti di recesso ove, al termine dell'aspettativa, il lavoratore non rientri in servizio o si assenti nuovamente per malattia, e l'assenza, sommata alle precedenti, superi il periodo cosiddetto ‘interno’ entro l'arco temporale esterno, da calcolarsi escludendo il periodo di aspettativa".

Tale principio deve qui essere confermato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.