Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 febbraio 2016, n. 2190

Diritto societario - Bilancio - Principio di chiarezza - Nota integrativa - Valutazione del giudice - Delibere di approvazione del bilancio - Bilanci approvati e successivamente dichiarati nulli - Nullità derivata delle delibere successive

 

Svolgimento del processo

 

(...) e (...) agivano nei confronti della (...) s.r.l. e, premesso di essere stati soci a far data dalla costituzione della società sino ad acquisire quote pari al 25% del capitale sociale, impugnavano:

1) le delibere di approvazione del bilancio alle date del 31/12/2000 e del 31/12/2001, assunte rispettivamente l'11/6/2001 e il 18/3/2002, facendo valere: a) l'inesistenza, per la mancata convocazione e perché falsamente i verbali descrivevano come totalitaria la partecipazione dei soci; b) la nullità, per essere i bilanci redatti in contrasto con le disposizioni inderogabili di legge per le appostazioni all'attivo, omesse o non rispondenti alla reale consistenza, e per la presenza nel passivo di voci non classificate o non riscontrabili;

2) genericamente, tutte le delibere successive alla data di approvazione del bilancio al 31/12/2000, che già recava perdite superiori al limite dettato dall'art. 2447 c.c., senza che fosse seguita dall'immediata convocazione da parte dell'amministratore, onde impedire gli effetti di cui all'art. 2448 n. 4 (nel testo applicabile ratione temporis);

3) la delibera del 9/10/2003, di approvazione del bilancio chiuso al 31/12/2002, che, sulla base della situazione patrimoniale al 30/9/2002, aveva eliminato le perdite e portato il capitale sociale ad euro 440.000, perché la relativa convocazione era stata recapitata agli attori il 3 ottobre, senza rispettare i termini di cui agli artt. 2441 c.c. e 2446 c.c.

I sigg. T. chiedevano pertanto caducarsi le delibere indicate, previa sospensione ex art. 2378 c.c.

La società, nel costituirsi, eccepiva il difetto di legittimazione attiva, non avendo i (...) esercitato l'opzione per la sottoscrizione dell'aumento di capitale deliberato il 9/10/2003, l'applicabilità del disposto ex art. 2434 bis c.c., terzo e primo comma, quanto alle impugnative delle delibere di bilancio relative agli esercizi 2000 e 2001, e nel merito l'insussistenza delle ragioni di nullità dei detti bilanci e di annullabilità della delibera del 9/10/2003.

II Tribunale, con sentenza depositata il 24/2/2006, dichiarava la nullità dei bilanci impugnati e per l'effetto la caducazione di tutti i successivi atti assembleari che nei primi trovavano presupposto, compensando le spese.

La sentenza veniva impugnata in via principale dalla soc. (...) ed in via incidentale condizionata dai (...).

La Corte d'appello di Catania, con sentenza del 9/3- 11/6/2011, ha respinto l'appello principale della (...), assorbito l'incidentale condizionato dei (...) ed ha condannato la società appellante alle spese.

Nello specifico, la Corte territoriale, ritenuto tempestivamente fatto valere dagli attori sin dall'atto di citazione, pagina 6, il mancato appostamento tra i crediti del finanziamento dei soci di 850 milioni in conto aumento di capitale deliberato il 12/2/2000, ha considerato la valenza specifica ed autonoma del principio di chiarezza nella redazione del bilancio, ex art. 2423, 2° comma, c.c.(testo ante riforma), da cui la nullità dei bilanci degli esercizi 2000 e 2001; ha a riguardo ritenuto infondato l'assunto dell'appellante, secondo cui si era trattato di un mero impegno dei soci verso l'Agenzia Sviluppo (...), n quota parte di un finanziamento pubblico non ancora erogato, alla stregua del chiaro contenuto testuale della delibera assembleare del 12/2/2000, e come confermato dallo stesso comportamento successivo della società, che aveva appostato nel bilancio relativo all'esercizio del 2002 tale credito tra le attività; ha escluso l'applicazione del disposto ex art. 2434 bis c.c., 1° comma, stante l’art. 223 sexies disp.att.c.c., ed ha respinto l'eccezione di carenza di interesse dei (omissis) alla declaratoria di nullità del bilancio, stante la violazione del principio di legge posto nell'interesse anche dei terzi estranei alla compagine sociale, e quindi giustificato dall' interesse generale.

La Corte catanese ha respinto anche la censura relativa alla riscontrata violazione da parte del Tribunale del principio di chiarezza in relazione alla voce "fatture da ricevere", sempre rilevando la natura autonoma del principio di chiarezza, che impone di fornire indicazioni complementari anche nel bilancio in forma abbreviata ex art. 2435 bis c.c., stante che la deroga normativa di semplificazione alla disciplina comune del bilancio "non tocca il conto economico, sicché anche la nota integrativa non può far regredire lo standard informativo che ad esso si correda".

E nella specie, tale voce, di rilevante entità (lire 1.124.000.000) e genericamente appostata, in mancanza altresì di qualsiasi specificazione o chiarimento nella nota integrativa, violava il principio di chiarezza.

Dalla nullità di detta delibera, secondo la Corte d'appello, conseguiva la nullità delle successive delibere di approvazione dei bilanci e, segnatamente, anche della successiva deliberazione di aumento e riduzione del capitale "in quanto funzionalmente subordinata ai bilanci approvati e successivamente dichiarati nulli."

Ricorre avverso detta pronuncia la società, con ricorso affidato a sei motivi.

Si difendono con controricorso i sigg. (...).

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1.1. - Col primo motivo, i ricorrenti denunciano che gli attori non hanno impugnato in citazione le delibere di approvazione dei bilanci relativi agli esercizi 2000 e 2001 per l'omessa contabilizzazione della deliberazione di apporto di mezzi propri del 19/2/00, e deducono che gli attori, a pag.6, punto 16 della citazione, hanno menzionato detta deliberazione solo per evidenziare l'impugnazione per l’omessa convocazione, senza far valere alcun collegamento con i bilanci 2000 e 2001.

2.1. - Il motivo è infondato.

Col motivo, la parte ha inteso far valere il vizio processuale in cui sarebbe incorsa la Corte del merito, nel ritenere che gli attori avessero fatto valere sin dall'atto di citazione l'omessa contabilizzazione della posta in questione e non già, tardivamente, solo in comparsa conclusionale.

E secondo la ricorrente, il punto della citazione al quale ha fatto riferimento la Corte del merito per ritenere la tempestiva deduzione della causa petendi in oggetto non conterrebbe affatto alcun riferimento a questa.

Si rende applicabile il principio espresso dalle S.U. nella pronuncia 8077/2012, recentemente ribadito nella pronuncia resa a sezione semplice, 25308/2014, secondo cui, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell'atto introduttivo del giudico per indeterminatezza dell'oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito.

Ciò posto, premesso che la denuncia è ammissibilmente formulata con riferimento ai passaggi in tesi rilevanti dell'atto di citazione di primo grado, va rilevato che in detto atto introduttivo i sigg. (...) hanno fatto valere anche la domanda di cui si tratta, allegando i fatti rilevanti sub paragrafi 16 (l'impegno dei soci nell'assemblea del 19 febbraio 2000) e 19 (la mancata iscrizione nei bilanci della posta); nel resto, si tratta di valutare ed interpretare la domanda complessivamente, considerando le deduzioni della parte e le conclusioni assunte.

1.2. - Col secondo motivo, la società ricorrente si duole dei vizi ex art. 360 nn.3 e 5 c.p.c.; deduce a riguardo che le deliberazioni assembleari che prevedono impegni dei soci a versare mezzi propri in futuro aumento di capitale, tanto più se rivolte a terzi come nel caso, non devono necessariamente essere contabilizzate in bilancio quali crediti della società verso i soci, da cui la violazione da parte della Corte del merito dell'art. 2424 c.c.; ritiene altresì che la sentenza impugnata sia incorsa anche in vizio di motivazione, per non avere spiegato o sufficientemente chiarito perché "pur a fronte della terminologia usata" il contenuto testuale deponesse per l'impegno dei soci verso la società.

1.3.- Col terzo motivo, la ricorrente deduce che la deliberazione di apporto di mezzi propri del 19/2/00 è stata dichiarata inesistente dal Tribunale di Catania, sez.dist. di Belpasso, con la sentenza del 27/4/2005, intervenuta in pendenza del giudizio di primo grado, quindi sono da ritenersi regolari i bilanci 2000 e 2001 che non menzionano detta delibera, e la Corte del merito non ha in alcun modo motivato su detto motivo d'appello.

 

2.2. - I due motivi di ricorso, strettamente collegati, vanno valutati unitariamente e presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.

La Corte del merito non è incorsa nella prospettata violazione dell'art. 2424 c.c. nel ritenere l'indicazione fra le poste contabili delle "deliberazioni di impegno dei soci all'apporto di mezzi propri", atteso che la stessa ha qualificato il contenuto della delibera del febbraio 2000 come "finanziamento soci in conto futuro aumento di capitale" e non come delibera di "impegno al finanziamento", come vorrebbe la ricorrente.

Nel pervenire a detta qualificazione, la Corte catanese ha parte della Corte del merito dell'art.2424 c.c.; ritiene altresì che la sentenza impugnata sia incorsa anche in vizio di motivazione, per non avere spiegato o sufficientemente chiarito perché"pur a fronte della terminologia usata"il contenuto testuale deponesse per l'impegno dei soci verso la società.

La Corte del merito non è incorsa nella prospettata violazione dell'art.2424 c.c. nel ritenere l'indicazione fra le poste contabili delle "deliberazioni di impegno dei soci all'apporto di mezzi propri", atteso che la stessa ha qualificato il contenuto della delibera del febbraio 2000 come "finanziamento soci in conto futuro aumento di capitale" e non come delibera di "impegno al finanziamento", come vorrebbe la ricorrente.

Nel pervenire a detta qualificazione, la Corte catanese ha posto l'accento sul contenuto testuale della delibera ed ha evidenziato come tale contenuto fosse stato confermato dallo stesso comportamento della società, che nel bilancio dell'esercizio 2002 aveva appostato tale credito tra le attività.

Di contro a detta interpretazione, la ricorrente, si limita a contestare l'inciso relativo alla "terminologia usata" che, secondo la parte, deporrebbe per il riconoscimento dell'assunzione dell'impegno verso l'Agenzia di Sviluppo, e non censura in alcun modo il riferimento della Corte d'appello anche al comportamento successivo della società. La doglianza della ricorrente sul punto è pertanto sostanzialmente inammissibile.

Quanto alla censura avanzata nel terzo motivo, anche a ritenere la questione fatta valere come motivo d'appello a pag.10 dell'atto di citazione in secondo grado, la stessa è da ritenersi infondata, atteso che della posta in oggetto i bilanci degli anni 2000 e 2001 avrebbero dovuto in ogni caso tenere conto, almeno come posta sub iudice, né, ancora, si comprenderebbe come mai la stessa sia stata poi inserita nel bilancio del 2003.

1.4. - Col quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2423, 2424 e 2427 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che, in relazione alla voce "fatture da ricevere", sol perché di rilevante entità (nella specie, lire 1.124.000.000), la nota integrativa dovesse fornire, anche nel caso di bilancio in forma abbreviata, ulteriori informazioni, senza indicare quali.

Secondo la parte, inoltre, la Corte catanese è incorsa anche nel vizio motivazionale, non avendo in alcun modo considerato che la (...) in atto d'appello aveva evidenziato la sussistenza nel bilancio di tutti gli elementi idonei a rendere "intellegibile" la posta in oggetto.

2.3. - Il motivo è fondato, nei limiti di quanto si viene ad esporre.

La Corte d'appello ha ritenuto che anche nel caso di bilancio in forma abbreviata ex art. 2435 bis c.c., come quello di specie, la nota integrativa deve rispettare lo standard informativo proprio e che, a ragione della rilevante entità della voce e della generica appostazione come "fatture da ricevere", in mancanza di qualsiasi chiarimento o specificazione della nota integrativa, dovesse ritenersi violato il principio di chiarezza, da cui la nullità del bilancio sulla scorta dell'orientamento delle S.U., di cui alla pronuncia 27/2000.

Ciò posto, si osserva che l'art.2435 bis c.c. al secondo comma dispone che, nel bilancio in forma abbreviata, "lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell'articolo 2424 con lettere maiuscole e numeri romani...nelle voci CII dell'attivo e D del passivo devono essere separatamente indicati i crediti e i debiti esigibili oltre 1'esercizio successivo"; al terzo comma, che "nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal numero 10) dell'articolo 2426 e dai numeri 2, 3, 7, 9, 10, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 dell'art. 2427; le indicazioni richieste dal numero 6) dell'articolo 2427 sono riferite all'importo globale dei debiti iscritti in bilancio"(il numero 6 dell'art. 2427 dispone che la nota integrativa debba indicare "distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e debiti di durata residua superiore a cinque anni, e dei debiti assisiti da garanzie reali su beni sociali, con specifica indicazione della natura delle garanzie").

Secondo le norme riportate, pertanto, per i debiti, raggruppati in unica posta sotto la voce D, occorre la sola separata indicazione di quelli esigibili oltre l'esercizio successivo, né la ricorrente ha dedotto la sussistenza di debiti per i quali sarebbero state necessarie specifiche informazioni nella nota integrativa.

La Corte di merito ha peraltro ritenuto la necessità di informazioni ulteriori rispetto a quelle delle specifiche disposizioni di legge, rifacendosi si deve ritenere al disposto di cui all’art. 2423 comma 3, c.c., che per la redazione del bilancio dispone che: " Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le indicazioni complementari necessarie allo scopo."

Detta norma, all'evidenza, costituisce una clausola generale, che, in quanto determinativa di obblighi ulteriori rispetto alle specifiche disposizioni normative, finalizzati alla "rappresentazione corretta e veritiera" del bilancio, deve essere utilizzata dal Giudice in modo controllato, e quindi dandone adeguata e congrua motivazione, spiegando le ragioni per le quali l'osservanza delle precipue disposizioni di legge, che fissano lo standard minimo prescritto, nel caso non consentano di avere la chiara rappresentazione del bilancio, in funzione della finalità di informazione dei soci e dei terzi della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società, da cui la necessità di informazioni supplementari. Nella specie, come si è già detto, la Corte d'appello, nell'applicare sia pure implicitamente l'art. 2423, 3° comma, c.c., ha fatto riferimento all'entità della voce ed alla generica appostazione (fatture da ricevere). Ora, detto ultimo riferimento è erroneo, atteso che il raggruppamento dei debiti sotto la voce D in unica posta rispetta il dettato di legge ex art. 2435 bis c.c. (e tra l'altro, la società ha suddiviso i debiti in ulteriori sottovoci); resta pertanto il solo riferimento all'entità della voce, che deve ritenersi insufficiente a dar conto del ricorso alla clausola generale di cui si è detto.

Resta assorbito l'esame dell'ulteriore profilo della censura, in relazione alla mancata considerazione delle informazioni contenute nella nota integrativa.

1.5. Col quinto mezzo, la ricorrente denuncia, sotto il profilo dei vizi ex art. 360 nn.3 e 5 c.p.c., la dichiarazione di nullità delle deliberazioni successive e della delibera di ricapitalizzazione del 19/3/02.

La ricorrente rileva che i sigg. (...) avevano chiesto la nullità delle altre deliberazioni, diverse da quelle impugnate, "per violazione del disposto art. 2449 c.c.", norma che riguarda i poteri dei liquidatori dopo lo scioglimento e quindi la sentenza che ha dichiarato la nullità derivata ha violato il 112 c.p.c., è incorsa anche nel vizio di motivazione, perché non si comprende se siano state dichiarate nulle tutte le delibere successive o la sola delibera di ricapitalizzazione del 9 ott. 2003, né la Corte d'appello ha dato conto dei rilievi dell'appellante svolti nelle pagine 15-16 dell'appello, ed è incorsa anche in extrapetizione, dato che la delibera del 19/3/2002 non è stata impugnata.

1.6. - Col sesto motivo, la ricorrente si duole del vizio di motivazione, per non avere il Giudice del merito statuito sul motivo d'appello relativo alla delibera di ricapitalizzazione del marzo 2002, avendo la (...) alle p.21-23 dell'atto d'appello eccepito che detta delibera non trovava fondamento nei bilanci 2000 e 2001, dichiarati nulli, ma nel bilancio 2002.

2.4. - I due motivi, in quanto collegati, vanno valutati unitariamente e sono da ritenersi fondati nei limiti di quanto di seguito rilevato.

Le plurime doglianze avanzate dalla ricorrente intendono sostanzialmente censurare la pronuncia per la nullità derivata di tutte le delibere successive di approvazione dei bilanci, delle quali la Corte d'appello indica "segnatamente" la deliberazione di aumento e di riduzione del capitale del 9/10/2003," in quanto funzionalmente subordinata ai bilanci approvati e successivamente dichiarati nulli."

E' sufficiente a riguardo rilevare che il Giudice d'appello, al quale era stata devoluta la questione relativa alla pronuncia di nullità delle delibere successive sulla base del mero richiamo al principio della nullità derivata, è incorso nel palese vizio di motivazione, per non avere indicato né le delibere colpite dalla nullità derivata né sotto quali profili i vizi dei bilanci 2000 e 2001 avessero influito sul contenuto delle successive ulteriori delibere, né, specificamente con riguardo alla delibera di ricostituzione del capitale dell'ottobre 2003, per non avere chiarito se ed in quale misura la situazione patrimoniale in base alla quale è stata assunta detta deliberazione avesse risentito dei bilanci ritenuti nulli.

4.1.- Conclusivamente, vanno accolti i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso, respinti gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d'appello di Catania in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato.

Al Giudice del merito spetterà inoltre la decisione sulle spese del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso, respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Catania in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.