Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 febbraio 2016, n. 4653

Tributi - Reati tributari - Dichiarazione infedele - Soglie di punibilità - Favor rei - Rilevazione d’ufficio

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa ha proposto ricorso nei confronti dell'ordinanza del 31/07/2015 con cui lo stesso Tribunale ha annullato il decreto di sequestro preventivo relativo a beni mobili registrati, denaro, obbligazioni, fondi di investimento, gestioni patrimoniali e depositi a risparmio sino alla concorrenza di euro 359.352,08 per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000.

2. Lamenta con un unico motivo la violazione di legge. Premesso che le presunzioni legali tributarie, benché non costituenti prova del reato tributario, rilevano comunque sul piano indiziario, deduce che le verifiche della Guardia di Finanza hanno evidenziato una pluralità di violazioni delle norme tributarie e che l'indicazione anche dei versamenti di importo modesto costituisce un indizio più che significativo della commissione del reato, tenuto conto che ai fini del provvedimento cautelare è necessaria e sufficiente la configurabilità del reato ancorata alle risultanze degli accertamenti svolti non versandosi in fase di giudizio; di contro, le giustificazioni fornite dall'indagato in assenza di qualsivoglia documentazione di riscontro, sono state ritenute incoerenti e generiche; di qui la corretta conclusione per cui l'entità delle movimentazioni ingiustificate per le quali è stata prodotta alcuna documentazione, è già di per sé sola connotata dalla gravità indiziaria sufficiente ai fini dell'adozione del provvedimento di sequestro. Quanto alle modalità di accertamento adottate dalla guardia di finanza, rileva che la stessa ha specificato, dandone atto nel processo verbale di constatazione, che ai fini Iva l'art. 51, comma 2, del d.p.r. n. 633 del 1972 prevede che i dati e gli elementi attinenti ai rapporti all'operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del n.7 e dell'art. 52 ultimo comma o dell'articolo 63 comma 1, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 54 e 55 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili; conseguentemente, i versamenti quantificati e non giustificati vengono considerati quali compensi ai fini delle imposte dirette e quali prestazioni di servizi senza emissione di documenti fiscali ai fini Iva. I canoni utilizzati dagli operanti sono stati posti alla base di tutti gli accertamenti operati e le presunzioni legali previste dalle norme tributarie possiedono un valore indiziario perché ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele il giudice può fare legittimamente ricorso agli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza anche ai fini della determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, pur dovendo il proprio esame estendersi a valutare ogni altro eventuale indizio acquisito. Nella specie la soglia del quadro indiziario richiesta per l'adozione della misura è stata ampiamente raggiunta perché, risolvendosi le presunzioni tributarie in dati di fatto aventi valore indiziario, esse ben possono essere posto a fondamento del provvedimento cautelare reale.

3. In data 11/01/2016 ha presentato memoria il Difensore dell'indagato rappresentando in primis il mancato raggiungimento della soglia di punibilità di euro 150.000 figurante nell'art. 4 cit. come modificato dall'art. 4 del d.lgs. n. 158 del 2015 e chiedendo l'inammissibilità del ricorso giacché volto a denunciare il merito della motivazione dell'ordinanza impugnata.

 

Considerato in diritto

 

4. Il ricorso è inammissibile.

Va infatti evidenziato che, ancor prima di dovere considerare ex officio l’indubbia rilevanza, nella specie, della circostanza, relativa al fumus del reato, rappresentata dalla sopravvenuta più favorevole modifica, in data 22/10/2015 (per effetto dell'art. 4 del d.lgs. del 24/09/2015, n. 158), dell'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 nel senso dell'innalzamento della soglia di punibilità di cui al comma 1 lett. a) sino ad euro 150.000 (soglia non raggiunta, nella specie, dagli importi Iva contestati come omessi e pari ad euro 83.696,64 per l'anno 2010, ad euro 133.179,25 per l'anno 2011 e ad euro 142.476,44 per l'anno 2012), va constatato che il ricorso si caratterizza essenzialmente per una censura rivolta alla motivazione del provvedimento impugnato di cui non si condivide, in particolare, la lettura degli elementi fattuali.

Infatti, a fronte dell'analitica e argomentata spiegazione dell'ordinanza impugnata sul punto della inidoneità degli elementi assunti dalla Guardia di Finanza (e recepiti dal G.i.p. nel provvedimento di sequestro preventivo) ad assurgere a presunzioni tributarie secondo quanto previsto in particolare dall'art.32 del d.P.R. n. 600 del 1973 (di cui viene correttamente ribadita dall'ordinanza l'operatività sul piano indiziario nell'ambito cautelare reale : cfr. Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254853), segnatamente con riguardo ai versamenti di modestissimo importo, alla non considerazione apodittica della giustificazione di altri versamenti presentata dall'interessato, e alla non congruità di altri addebiti, il P.M. ricorrente ha contrapposto, in termini esattamente inversi e rivelatori di una mera divergenza quanto alla lettura e alla valutazione di questi stessi elementi, la piena idoneità di questi ultimi "a fondare la misura richiesta" e a ribadire (ciò che, come detto, lo stesso Tribunale ha però pacificamente considerato in premessa) la valenza in campo cautelare delle presunzioni tributarie.

Sennonché, evidentemente, una tale impostazione appare anzitutto contrastare con il principio, direttamente discendente dall'art. 325, comma 1, c.p.p. secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è consentito solo per violazione di legge; né, in ragione di quanto appena detto sopra, può ritenersi (ciò che consentirebbe la proponibilità del ricorso per violazione dell'art. 125 c.p.p.) che la motivazione del provvedimento impugnato sia nella specie del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (tra le altre, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso del P.M.