Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 gennaio 2016, n. 1350

Rapporto di lavoro - Sostituzione collega assente - Rifiuto - Diritto di sciopero - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

La società Poste Italiane convenne in giudizio il dipendente L.R., addetto al recapito presso l'UDR di Corvetto, chiedendo che venisse accertata la legittimità delle sanzioni disciplinari della sospensione per quattro giorni ed un giorno, irrogategli il 10.5 ed il 22.3.05, rispettivamente per inadempimento contrattuale -consistito nel rifiuto, per vari giorni consecutivi, di eseguire la prestazione lavorativa relativa alla copertura in zona di recapito di un collega assente, secondo i meccanismi operativi dell'areola- ed inoltre per essersi assentato arbitrariamente dal lavoro dopo aver richiesto ingiustificatamente un giorno di ferie.

In primo grado il convenuto R. aveva eccepito la irregolarità della procedura di contestazione disciplinare e nei merito la legittimità del suo rifiuto di effettuare quella che l'accordo 27.04.2004 aveva definito prestazione aggiuntiva, per avere egli esercitato il suo diritto di sciopero indetto dal sindacato di appartenenza Cobas PT CUB.

Il Tribunale respinse il ricorso, ritenendo che la sanzione era illegittima per violazione della procedura di contestazione, perché la società non aveva accolto la domanda del lavoratore di essere ascoltato alla presenza di un rappresentante sindacale e per averlo convocato non presso il posto di lavoro.

Avverso tele sentenza proponeva appello Poste Italiane s.p.a., lamentando l'erroneità della sentenza che avrebbe ritenuto viziato il procedimento disciplinare, non potendosi ritenere che la scelta della datrice di lavoro di ascoltare il dipendente presso l’ufficio del personale e non presso la sua sede di lavoro fosse illegittima.

Nel merito la società ribadiva le difese svolte in primo grado, sostenendo che il rifiuto del dipendente di consegnare la posta nella zona di adibizione di un collega facente parte della medesima area territoriale costituirebbe inadempimento contrattuale e non esercizio del diritto di sciopero. Insisteva per il resto per la riforma della sentenza impugnata.

Resisteva il R..

Con sentenza depositata il 20 marzo 2009, la Corte d'appello di Milano respingeva il gravame, compensando le spese del grado. Ritenevano i giudici di appello che, pur esclusa l'illegittimità del comportamento datoriale per aver fissato l'audizione personale in luogo diverso da quello di lavoro proprio del R. (presso la sede centrale, raggiungibile facilmente in metropolitana) e poco dopo la fine dell'orario di lavoro, la sanzione del 10.5.05 risultava illegittima, rientrando il rifiuto di svolgimento delle mansioni nell'ambito del legittimo esercizio del diritto di sciopero; così come risultava illegittima la sanzione del 22.3.05, essendo emerso che la richiesta di ferie da parte del R. era connessa alla sua necessità di presenziare ad una udienza in Tribunale, circostanza di cui la società Poste era informata.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Poste, affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria. Resiste con controricorso il R., contenente ricorso incidentale (subordinato) affidato a duplice censura, cui resiste Poste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Debbono pregiudizialmente riunirsi i ricorsi proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

1. -Con il primo motivo la società Poste denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c).

Lamenta che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto che il rifiuto del dipendente di consegnare la posta nella zona di adibitone di un collega facente parte della medesima area territoriale, non costituiva un inadempimento contrattuale, suscettibile pertanto di essere disciplinarmente sanzionato, mentre, ad avviso della società Poste, trattavasi di un rifiuto ingiustificato di svolgere la normale attività di portalettere, nell'ambito del normale orario di lavoro, neppure rilevando che tale rifiuto fosse stato giustificato dall'adesione all'agitazione sindacale proclamata dal sindacato di appartenenza (Cobas PT CUB).

2. - Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 40 Cost (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c). Lamenta che il rifiuto di svolgere l'ordinaria attività lavorativa non poteva considerarsi tutelato dal diritto di sciopero costituzionalmente garantito, posto che il rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente esigibili dal datore di lavoro in base all'accordo sindacale del 29.7.04, e precisamente la sostituzione di collega assente in altra zona di recapito, attuato senza perdita alcuna della retribuzione non può costituire legittimo esercizio del diritto di sciopero ex art. 40 Cost.

3. - I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.

Questa Corte ha già osservato che in tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga, come nel caso oggi in esame, una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta e il comportamento datoriale non è antisindacale (Cass. 12.1.2011 n. 548, Cass. 16.10.2013 n. 23528, Cass. 6.11.2014 n. 23672).

Nella sentenza da ultimo citata questa Corte ha poi rimarcato che il rifiuto di alcuni portalettere di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza, di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell'obbligo previsto dall'accordo sindacale del 29 luglio 2004, non costituisce astensione dal lavoro straordinario, né astensione per un orario delimitato e predefinito, ma rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute, sicché può dare luogo a responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente senza che il comportamento datoriale, di irrogazione delle sanzioni, sia qualificabile come antisindacale.

L'orientamento risulta in linea con quanto già affermato da questa Corte con sentenza 25 novembre 2003 n. 17995, ove venne evidenziato che il rifiuto, motivato dall'adesione ad analogo sciopero proclamato dal sindacato, si risolveva in realtà non già nell'illegittima richiesta di prestazioni lavorative oltre l’orario settimanale normale, ma nel rifiuto parziale ed illegittimo di prestazioni lavorative da rendersi all'interno dell'orario ordinario.

In tale contesto la Corte evidenziò con chiarezza che "il rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore...non costituisce esercizio legittimo del diritto di sciopero e può configurare una responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente", così rimarcando la necessità del rispetto di un limite interno, o definitorio, dello sciopero, consistente nell'astensione dal lavoro per l'autotutela dei propri interessi (nello stesso senso, del resto, la nota Cass. 30 gennaio 1980 n.711), sicché esso non può ravvisarsi nel rifiuto dell'esecuzione di una parte delle mansioni legittimamente esigibili dal datore di lavoro.

Avendo la Corte di merito in sostanza affermato che il rifiuto di svolgere le prestazioni in parola fosse giustificato dall'adesione all'agitazione, o sciopero, proclamata dal sindacato Cobas PT CUB, le prime due censure meritano accoglimento.

4. - Con il terzo motivo la società Poste denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

Lamenta la ricorrente che la Corte milanese ritenne erroneamente, in mancanza di prova contraria fornita dalla società, e violando cosi l'art. 2697 cc, che il R. avesse già svolto l'orario ordinario di 36 ore settimanali, ritenendo pertanto legittimo il suo rifiuto di eseguire una prestazione aggiuntiva, nonostante il lavoratore avesse chiaramente affermato (nella lettera di giustificazioni) non di aver rifiutato la prestazione richiesta perché in tal modo avrebbe superato l'orario settimanale ordinario, ma aderendo alle contestazioni mosse dal sindacato Cobas PT all'accordo del luglio 2014 (violando così gli artt 115 e 116 cp.c.). In ogni caso, anche qualora si fosse trattato (ma non lo era) di sciopero dello straordinario, tale circostanza (lo svolgimento già avvenuto del lavoro ordinario) avrebbe dovuto essere dimostrata dal lavoratore.

Il motivo risulta assorbito dalle precedenti considerazioni, posto che la Corte territoriale ha ritenuto, sulla scorta della disamina dell'accordo sindacale del 29.7.2004, che la prestazione richiesta era quella di cui al citato accordo, sicché essa rientrava nell'esercizio del diritto di sciopero proclamato dal sindacato Cobas PT.

La sentenza impugnata deve dunque cassarsi in relazione alle censure accolte e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte, con il rigetto della domanda inerente l'illegittimità della sanzione disciplinare del 10.5.2005.

5- Con il quarto motivo la società Poste denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), lamentando, con riferimento alla contestazione del 22 marzo 2005 (e sanzionata il successivo 22 aprile 2005), ritenuta sproporzionata dalla sentenza impugnata, laddove nessuna delle parti aveva lamentato e dedotto la violazione del principio di proporzionalità, discutendosi soltanto in ordine alla sua fondatezza.

Il motivo è infondato, avendo la Corte territoriale ritenuto l'assenza contestata al R. giustificata dalla necessità di presenziare ad una udienza in Tribunale, circostanza non contestata dalla società Poste, sicché il canone di cui all'art. 2106 c.c (pur effettivamente richiamato dalla sentenza impugnata) è stato dalla Corte territoriale utilizzato solo per escludere la legittimità della sanzione a fronte di un comportamento del lavoratore, che, seppure scorretto (avendo utilizzato un giorno di ferie non ancora autorizzato), non era tuttavia privo di giustificazione. Trattasi di accertamento di fatto non censurato dalla società ricorrente.

6. -Con il primo motivo del ricorso incidentale, il R. denuncia la violazione degli artt. 2106, 1175 e 1375 cc, e della "L. n.300\1970", oltre a contraddittoria ed omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c).

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente legittima la fissazione dell'audizione personale ex art. 7 L. n. 300\70 in luogo diverso da quello di lavoro e fuori dall’orario di lavoro stesso, in contrasto con i principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già affermato che deve escludersi che il lavoratore abbia diritto ad essere ascoltato a discolpa nel luogo dove svolge le proprie mansioni, e nel corso dell'orario di lavoro, non costituendo violazione del diritto di difesa la convocazione del lavoratore al di fuori del posto e dell'orario di lavoro (Cass. n. 18462 del 29/08/2014).

Ed ancora che, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, in caso di irrogazione di sanzione disciplinare, il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro; tuttavia, ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore per una certa data, questi non ha diritto ad un differimento dell’incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poiché l'obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un'esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (Cass. n. 7493\2011, Cass. n.9233\2015), dovendosi qui chiarire che la materia non può che essere regolata dai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (Cass. n. 23528 del 16/10/2013), e che, non esistendo un diritto del lavoratore di essere sentito durante l'orario di lavoro, il suo rifiuto di essere ascoltato personalmente fuori dell'orario di lavoro, ove non risponda ad un'esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (nella specie neppure dedotta), risulta in contrasto col canone di cui all'art. 1375  cc.

Risulta pertanto immune dalle censure mossele, la sentenza impugnata che ha escluso l'illegittimità del comportamento datoriale per aver fissato l'audizione personale in luogo diverso da quello di lavoro proprio del R. (presso la sede centrale, peraltro raggiungibile facilmente in metropolitana) e poco dopo la fine dell'orario di lavoro.

Con il secondo motivo il R. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. in relazione alla sanzione irrogata il 10 maggio 2005.

Deduce che la società aveva già annullato tale provvedimento, sicché difettava qualsivoglia suo interesse (che ex art 100 c.p.c. deve essere concreto ed attuale) ad ottenerne una pronuncia di legittimità nel presente giudizio, non rilevando peraltro se tale annullamento fosse stato spontaneo oppure disposto in attuazione di un decreto.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha infatti correttamente considerato che sussisteva l'interesse ad agire della società, essendo stato l'annullamento della sanzione disposto esclusivamente in esecuzione del decreto, avente efficacia esecutiva, emesso ex art. 28 S.L. dal Tribunale di Milano.

In base alle considerazioni sin qui svolte deve provvedersi come da dispositivo. La parziale reciproca soccombenza e l'esito complessivo della lite consigliano di lasciare immutata la statuizione sulle spese inerenti il giudizio di merito, e di compensare per metà quelle del presente giudizio di legittimità, nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi; accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il terzo e rigetta il quarto; rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, rigetta la domanda inerente l’illegittimità della sanzione disciplinare del 10.5.2005. Condanna il R. al pagamento della metà delle spese de! presente giudizio di legittimità, che si liquidano per l'intero in €.100,00 per esborsi, ed €3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Conferma la statuizione sulle spese inerenti la fase di merito.