Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 dicembre 2015, n. 24904

Lavoro - Contratto a tempo indeterminato part-time - Mansioni di netturbino - Appalto - Licenziamento - Mancato rinnovo del contratto da parte del Comune - Passaggio delle maestranze dall’impresa cessante a quella subentrante - Accertamento

 

Fatto e diritto

 

La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 19 novembre 2015, ai sensi dell'art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell'art. 380 bis c.p.c.:

"M. G. era assunto alle dipendenze dell’E. dall’11.5.2000 con contratto a tempo indeterminato pari time, con mansioni di netturbino, ed inquadrato nel I livello del ccnl Nettezza Urbana.

Dal febbraio 2003, il predetto era inquadrato dalla Ditta E. nel 11 livello del ccnl e tale assegnazione rimaneva immutata sino alla data di cessazione del rapporto di lavoro, in seguito a licenziamento disposto dalla ditta quale conseguenza del mancato rinnovo del contratto da parte del Comune di Bojano, che, in data 24.11.2005, stipulava con il Consorzio Ecologico Molisano un contratto di appalto per l’affidamento dei servizi di igiene urbana sul territorio comunale. Quest’ultimo provvedeva all’assunzione di tutti i dipendenti della ditta E. s.r.l., ad eccezione del G. e di altri tre dipendenti.

Il Tribunale di Campobasso era adito dal G. per l’accertamento dell’inadempimento del COEM in ordine alla illegittimità della procedura di subentro nell’appalto, non attuata in violazione degli artt. 6 e 7 del ccnl del 30.4.2003, e per la conseguente declaratoria del diritto del predetto al passaggio diretto alle dipendenze del COEM ed al risarcimento economico pari alle mancate retribuzioni non percepite.

Il ricorso veniva respinto sul rilievo della mancanza in capo al G. di un diritto soggettivo all’assunzione diretta alle dipendenze dell’impresa subentrante e la decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Campobasso del 26.11.2013, con la quale il gravame proposto veniva rigettato.

Rilevava la Corte che la fattispecie non realizzava un trasferimento di azienda ma un passaggio di gestione, con la conseguenza che non sussisteva alcun diritto per i lavoratori dell'impresa cessata di mantenere il posto di lavoro presso quella subentrante nell’appalto, salvo che ciò non fosse stato previsto da apposita normativa collettiva. L’art. 6 ccnl di riferimento, nello specifico, non sanciva a carico dell’impresa subentrante alcun obbligo in tal senso, prevedendo, piuttosto, il diverso obbligo di attivare un confronto sindacale per la verifica della possibilità di un passaggio immediato delle maestranze dall’impresa cessante a quella subentrante. Aggiungeva il giudice del gravame che tale obbligo era confermativo dalla inesistenza del diritto soggettivo invocato e che nel caso di specie il lavoratore appellante non risultava incluso nell’elenco dei lavoratori transitati, senza considerare che l’art. 6 ccnl del 2008, non applicabile ratione temporis, introduceva un diritto nuovo prima non previsto.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il G., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, il Consorzio. Con il primo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del ccnl 30.4.2003 relativo ai dipendenti di imprese e società esercenti servizi ambientali, rilevando che, come comprovato anche dalle risultanze documentali, ed in particolare dalla nota n. 19495 del 26.10.2005 a firma del Segretario Regionale della Funzione Pubblica CGIL Molise, risultava espressamente che, nonostante i solleciti, la procedura ex art. 6 del ccnl citato non era stata mai attuata e che la impresa subentrante aveva arbitrariamente escluso esso ricorrente dall’elenco dei lavoratori da assumere alle proprie dipendenze, senza discuterne la posizione, anche nella prospettiva di rinvenire possibili soluzioni di impiego alternative e di ricorso a strumenti di mobilità, con lo stesso lavoratore e con le organizzazioni sindacali, come era dato evincere dalla nota sopra richiamata e da quella n. 13604/12.1. della Direzione Provinciale del Lavoro. Era, pertanto, palese la violazione, da parte della Corte di appello, delle norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Con il secondo motivo, il lavoratore lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, attesa la mancata valutazione della nota a firma del Segretario regionale della Funzione Pubblica CGIL, che dimostrava inequivocabilmente che l’incontro tra le rappresentanze sindacali, le strutture territorialmente competenti e l’impresa subentrante, come previsto dalla normativa contrattuale, non era mai avvenuto.

Deve rilevarsi la inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso.

L’art. 366, n. 6, c.p.c. prescrive che il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, "la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda". Ciò postula, secondo il costante, consolidato insegnamento di questa Corte che, dovendo provvedersi alla individuazione di detti atti con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di cassazione (cfr. Cass. 8569/13; 4220/12; 6937/10), il ricorrente, anche in unione a quanto previsto dall'art. 369, comma secondo, n. 4 c.p.c. che sanziona in termini di improcedibilità il ricorso, il cui deposito non sia accompagnato pure dal deposito degli atti processuali, dei documenti e degli accordi collettivi su cui si fonda, sia chiamato ad assolvere un duplice onere processuale. Ove, invero, egli intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, il requisito in parola si intende soddisfatto, allorché il ricorrente produca il documento agli atti e ne riproduca il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il suo esatto contenuto. (2861/14; 2427/14; 2966/11). In altri termini, occorre non solo che la parte precisi dove e quando il documento asseritamente ignorato dai primi giudici o da essi erroneamente interpretato sia stato prodotto nella sequenza procedimentale che porta la vicenda al vaglio di legittimità; ma al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte (v. Cass. 761/14; 24448/13; 22517/13), occorre altresì che detto documento ovvero quella parte di esso su cui si fonda il gravame sia puntualmente riportata nel ricorso nei suoi esatti termini (Cass. 3748/14; 15634/13).

L'inosservanza anche di uno soltanto di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art. 366, primo comma, n. 6 e rende il ricorso conseguentemente inammissibile (cfr. Cass. 14216/13; 23536/13; 23069/13).

Quanto alla censura che investe più specificamente l’interpretazione dell’art. 6 del ccnl, è sufficiente osservare, in conformità a quanto più volte ribadito da questa Corte, che l'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (nel testo sostituito dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l'integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell'esercizio del sindacato di legittimità sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale (cfr. Cass., s. u. 23 settembre 2010 n. 20075; conf. Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358). Più di recente, è stato, poi, osservato che, in tema di giudizio per cassazione, l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall'art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi, (cfr. Cass., s. u., 3.11.2011 n. 22726). Tali ultime prescrizioni non risultano soddisfatte nella specie, non risultando in ricorso precisato in quale sede della produzione di parte sia reperibile il contratto collettivo nonché le note sui quali si fondano i rilievi tendenti a contrastare l’interpretazione fornitane dal giudice del gravame.

Va, poi, evidenziato, con riferimento al secondo motivo, che, in ogni caso, l’intervento di modifica del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un'ulteriore sensibile restrizione dell'ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.

Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito come, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta)". Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame, atteso che la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale appaiono manifestamente illogici o contraddittori.

La citata sentenza n. 8053/14 delle S.U di questa Corte ha chiarito, riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una questi facti, che il nuovo testo dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., consente tale denuncia nei limiti dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o

dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

In proposito, è stato altresì evidenziato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sent. cit.). Il "fatto storico" censurabile ex art. 360 n. 5 c.p.c. non può, dunque, identificarsi con la pretesa omessa valutazione di un documento (nota . n. 19495 del 26.10.2005) che, oltre a non essere stato depositato o indicato con riferimento ai termini di relativa produzione nei gradi di merito, non è neanche riportato quanto al suo contenuto per consentirne la valutazione in termini di decisività ai fini di causa.

Per tutte tali considerazioni si propone il rigetto del ricorso".

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla richiamata giurisprudenza di legittimità, rilevando che le argomentazioni di cui alla relazione siano tali da condurre alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dare atto dell’appIicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.