Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 dicembre 2015, n. 24909

Rapporto di lavoro - Trasferimento - Cessazione del ramo d’azienda - Solidarietà di cedente e cessionario

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, integrata come segue e non infirmata dalla memoria depositata dalla società.

2. La Corte d’Appello di Ancona, decidendo con sentenza del 21.1.2014, respingeva il gravame svolto da Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’inefficacia, nei confronti dell’attuale parte intimata, della cessione del ramo d’azienda concluso con M.P.F. s.p.a. e, per l'effetto, la persistenza del rapporto di lavoro tra le parti originarie.

3. La Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza di legittimità sulla cessione del ramo d’azienda (Cass. 8262/2010), rilevava l’incoerenza della dotazione dell’attività economica oggetto del trasferimento.

4. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a tre motivi.

5. Il lavoratore intimato ha resistito con controricorso.

6. Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

7. Parte ricorrente denuncia violazione di plurime norme di diritto: si duole che la Corte territoriale non abbia ravvisato una tacita accettazione alla risoluzione del rapporto di lavoro nel lungo tempo trascorso (6 anni e nove mesi) tra la cessione e il ricorso (primo motivo); abbia ritenuto l'interesse ad agire del lavoratore (secondo motivo); critica gli argomenti posti a fondamento della ritenuta illegittimità della cessione (terzo motivo).

8. Il primo motivo, con il quale si lamenta, in realtà, un asserito vizio della motivazione in punto di fatto, è inammissibile per l’assorbente rilievo che, in virtù del combinato disposto del nuovo testo degli artt. 360 e 348-ter c.p.c.. applicabili ratione temporis. il motivo previsto dall’art. 360 c.p.c.- n. 5, non è spendibile - al di fuori dei casi di cui all'art. 348-bis c.p.c., comma 2, lett a) - in ipotesi di doppia pronuncia conforme di merito, come avvenuto nella presente controversia.

9. Come è noto il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 ("decreto sviluppo"), convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 ha introdotto, con l’art. 54, una duplice modifica alla disciplina del ricorso per cassazione e al catalogo dei motivi dell’impugnazione di legittimità.

10. La prima consiste in una nuova versione del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., in base alla quale una sentenza può essere impugnata per cassazione "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

11. La seconda consiste nell’esclusione della possibilità di ricorrere ai sensi del n. 5 dell’art. 360 del codice di rito in caso di "sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado" (così la formula usata dal Legislatore trasposta nell’uso corrente, per brevità, nell’endiadi "doppia conforme").

12. Le Sezioni unite della Corte, con le sentenze nn. 8054 e 8053 del 2014 hanno già rimarcato, in motivazione, "la non felice collocazione topografica" tra le norme preposte alla regolamentazione dell’appello, della disposizione di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c., volta a regolamentare non il giudizio di appello, sebbene le condizioni (e i limiti) di ricorribilità per cassazione avverso una sentenza d’appello, "che avrebbe avuto forse maggior senso prevedere come comma aggiuntivo all’art. 360 cod. proc. civ." (cosi Cass., SU, 8054 e 8053 del 2014, cit.).

13. Con l’interpolazione nel codice di rito dell’art. 348-ter, quarto e quinto comma, il catalogo dei vizi deducibili in Cassazione è stato ridotto, per le sentenze d’appello che confermino la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata ("doppia conforme"), ai soli motivi previsti ai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., con esclusione, quindi, del motivo previsto al n. 5 ("per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti").

14. Va, peraltro, aggiunto, come già ritenuto da questa Corte di legittimità, che "la soppressione del controllo di legittimità in caso di c.d. doppia conforme su questioni di fatto, risulta funzionale all’obiettivo dell’accelerazione dei tempi di definizione della controversia, immutate restando le garanzie costituzionali di base del diritto di azione"; "tale ratio è del tutto condivisibile e conforme al principio costituzionale di effettività della tutela del diritto mediante l’azione in giudizio: in quanto, conclamato essendo il carattere limitato delle risorse destinabili dall’ordinamento alla domanda di giustizia, sovente esasperata nell’attuale contesto storico, quella stessa effettività è garantita soltanto mercé l’oculata e razionale gestione di quelle risorse e la loro attivazione con adeguato coinvolgimento dell’interessato" (cosi Cass., sez. sesta-3, n.26097/2014).

15. Nondimeno deve rimarcarsi che solo il ricorso per cassazione per violazione di legge è assistito da garanzia costituzionale (art.111 Cost.).

16. Tanto premesso, le due novelle al codice di rito, pur introdotte dalla medesima fonte normativa, camminano, tuttavia, su binari differenziati, quanto al discrimine temporale per l’efficacia della modifica legislativa e dei limiti alla ricorribilità in cassazione.

17. L’entrata in vigore della nuova versione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. è disciplinata dall’art. 54, comma 3, della citata legge n. 134 del 2012, che così dispone: "la disposizione di cui al comma 1, lett. b), (quella appunto che ha modificato il n. 5 dell’art. 360) si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto", il che significa alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012 in poi.

18. L’esclusione dell’impugnazione, per il vizio previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., della sentenza "doppia conforme" è

disciplinata, invece, dal comma 2 dell’art. 54 cit, a mente del quale la predetta modifica si applica "ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".

19. Ebbene, il discrimine temporale è sempre il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto n.134, il che significa dall’11 settembre 2012 in poi, ma diverso è l’atto processuale da prendere in considerazione ai fini della verifica del regime impugnatorio applicabile ratione temporis.

20. Per l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c. ciò che rileva è la pubblicazione della sentenza impugnata; per l’esclusione della ricorribilità ex art. 360 n. 5 c.p.c. ciò che rileva è la data del deposito del ricorso, per i giudizi di gravame introdotti con ricorso, ovvero la data in cui sia stata richiesta la notificazione della citazione in appello, per il gravame introdotto con citazione (cfr., fra le altre, Cass., SU, nn. 8054, 8053, 11309 del 2014; Cass. nn. 27181, 26860, 5528 del 2014; v., inoltre, Cass. n.23021/2014 e n.22142/2015, in tema di applicazione del rito Fornero; v., infine, Cass., sez, sesta-L n. 902 del 2015).

21. Ne consegue l’applicabilità, ratione temporis, dell’art. 348-bis, ultimo comma, cod. proc. civ., al ricorso in esame avverso sentenza di appello che, decidendo sul gravame depositato in epoca successiva al ridetto discrimine temporale dell’11 settembre 2012, ha confermato la decisione di primo grado.

22. Ulteriore conseguenza del delineato regime impugnatorio, alla stregua dell’art 348-ter ultimo comma c.p.c., nella specie applicabile, è che il ricorrente in cassazione, per evitare la delibazione di inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (cfr., da ultimo, Cass. 14416/2015; inoltre, ex multis, Cass. 5528/2014), ciò che nel ricorso all’esame non è stato fatto.

23. Il secondo motivo, per quanto inammissibile perché svolto non evocando argomenti addotti dalla sentenza impugnata, non merita comunque accoglimento, come già ritenuto da questa Corte (ex multis, Cass. 8756/2014), posto che deve riconoscersi l’interesse concreto ed attuale del lavoratore, in un contesto di incertezza non eliminabile se non attraverso il ricorso alla giurisdizione, all'individuazione del soggetto con il quale deve ritenersi intercorrere il suo rapporto di lavoro.

24. La Corte territoriale si è, pertanto, correttamente conformata al principio secondo cui sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e perciò l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso; né questo interesse è escluso dalla solidarietà di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’art. 2112 c.c., la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto "esistenti" al momento del trasferimento e non quelli futuri, onde ben può considerarsi l’esistenza di un pregiudizio a carico del ceduto nel caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile (v. Cass. n.8756 cit).

25. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia esclusivamente la violazione di legge (art. 2112 c.c.) ma in realtà investe di censure la motivazione della sentenza impugnata dolendosi, fra l’altro, che non sia stata fatta un’adeguata valutazione dell’idoneità dei beni ceduti a consentire lo svolgimento di un’attività d’impresa.

Valgono, pertanto, i rilievi già formulati nei paragrafi 8 e seguenti che precedono.

27. In definitiva il ricorso deve rigettarsi.

28. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

29. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

30. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

31. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1 -bis.