Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 novembre 2015, n. 23622

CIGS - Comunicazione di apertura della procedura - Criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere - Modalità di rotazione

Svolgimento del processo

Con sentenza 4 maggio 2009, la Corte d’appello di Torino respingeva l'appello di F.G.A.(già F.A.) s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che l'aveva condannata, in accoglimento della domanda della sua dipendente F.S., al risarcimento del danno subito per l'illegittima collocazione in CIGS per il periodo 9 dicembre 2002 - 18 aprile 2003, in misura pari alla differenza tra la normale retribuzione del suddetto periodo ed il percepito a titolo di CIGS.

Ribadita, secondo la propria consolidata giurisprudenza (con richiamo in particolare a precedente relativo a fattispecie di comportamento antisindacale), la persistenza dell'obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei "criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché delle modalità di rotazione", a norma dell'art. 1, settimo comma l. 223/1991 in quanto non abrogato né espressamente né implicitamente dall'art. 2, quinto comma d.p.r. 218/2000 (finalizzato alla semplificazione, in esecuzione della legge delega 59/1997, dei procedimenti amministrativi, senza alcuna pertinenza ai rapporti tra privati), la Corte territoriale riteneva la genericità e l'indeterminatezza dei criteri (consistenti nelle "esigenze tecniche, organizzative e produttive" e nelle "esigenze professionali") indicati nella comunicazione iniziale del 31 ottobre 2002 (riguardante anche la posizione di F.S., operaia presso l'unità di lastratura del modello M. nello stabilimento di Rivalta), pertanto viziante la regolarità dell'intera procedura e la legittimità del provvedimento ministeriale di autorizzazione della CIGS, non sanata (né sanabile, per la consumazione della situazione di illegittimità) dai successivi accordi sindacali del 18 marzo 2003 e del 22 luglio 2003, comunque non validamente formati; né tanto meno dal verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002, costitutivamente inidoneo.

Con atto notificato il 21 aprile 2010, F.G.A. s.p.a. ricorre per cassazione con sei motivi, cui resiste F.S. con controricorso e con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 20 l. 59/1997 in riferimento all'art. 1 l. 223/1991 e al d.p.r. 218/2000, nonché dell'art. 15 prel. c.c. riguardo al rapporto tra il d.p.r. 218/2000 e l'art. 1 l. 223/1991, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea negazione dell'esclusiva disciplina della procedura di autorizzazione della CIGS in virtù del citato d.p.r. (regolante la sua semplificazione, in attuazione della delega permanente conferita al Governo dall'art. 20 l. 59/1997 di più ampia delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi), con la conseguente abrogazione della precedente normativa, esigente la comunicazione datoriale di avvio della procedura con la specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e delle modalità di rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione (art. 1, settimo e ottavo comma l. 223/1991), per l'introduzione, dopo la sola tempestiva comunicazione alle OO.SS. del datore di lavoro richiedente l'intervento di integrazione salariale (senza altra indicazione), dell'esame congiunto della situazione aziendale con le parti sociali.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2 d.p.r. 218/2000, in riferimento al verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea valutazione probatoria (siccome irrilevante, in spregio all'attestazione di regolarità dell'intera procedura di CIGS in esso contenuta) del suddetto verbale e vizio di omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in ordine alla comunicazione del Ministero 4 agosto 2003, di conferma del corretto svolgimento del suddetto esame congiunto tra le parti.

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, settimo comma l. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma l. 164/1975 e 2 d.p.r. 218/2000, in riferimento al contenuto della lettera di apertura della procedura, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea esclusione della sufficiente specificazione, nei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere in CIGS e della loro rotazione, delle "esigenze tecniche, organizzative e produttive, avuto riguardo alle esigenze professionali e funzionali ", come indicati nella lettera di comunicazione di apertura della procedura 31 ottobre 2002, senza necessità di più analitico dettaglio, anche per valorizzazione della successiva fase di esame congiunto della situazione aziendale con le parti sociali; ribadita, in subordine, l'esaustività della comunicazione, anche in denegato riferimento alla sequenza procedimentale, ormai superata, prevista dagli artt. 1, settimo comma l. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma l. 164/1975 e pure ritenuto l'obbligo di comunicazione dei criteri di scelta.

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, settimo comma l. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma l. 164/1975 e 2 d.p.r. 218/2000, in riferimento alla posizione soggettiva del lavoratore e vizio di omessa motivazione in ordine ad essa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per difetto di verifica in concreto, senza alcuna attività istruttoria, dell'illegittimità della scelta della lavoratrice resistente.

Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1 l. 223/1991 e 2 d.p.r. 218/2000, nonché degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1375 e 2697 c.c., in riferimento all'efficacia degli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per averne la Corte territoriale escluso la possibilità di legittima disciplina dei criteri di scelta e di rotazione dei lavoratori in fase di gestione della CIGS, con loro efficacia sanante di eventuali vizi della procedura o del provvedimento di sospensione in CIGS, anche alla luce di richiamati precedenti di legittimità in materia e di licenziamenti collettivi.

Con il sesto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1362, secondo comma c.c. e vizio di omessa motivazione in ordine ad essa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per erroneamente ritenuta non regolare stipulazione degli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003, sotto il profilo della rituale formazione della volontà delle r.s.u., in riferimento alle modalità sia di convocazione, sia di deliberazione collegiale.

Dato atto della rinuncia della controricorrente, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., alla pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso per la formazione di giudicato, nell'ambito di procedimento antisindacale ai sensi dell'art. 28 l. 300/1970, sulla pronuncia di illegittimità del provvedimento di sospensione in C.i.g.s., questa Corte osserva quanto segue.

I mezzi illustrati investono questa Corte dell'esame di quattro questioni, così declinabili nel rispetto del loro gradato ordine logico-giuridico: a) rapporto tra il d.p.r. 218/2000 e l'art. 1 l. 223/1991, nel senso dell'avvenuta abrogazione o meno delle disposizioni della seconda legge ad opera di quelle della prima, con la conseguenza della non necessaria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione nella comunicazione di avvio della procedura di CIGS, suscettibile di differimento all'esito dell'esame congiunto tra imprenditore e OO.SS. della crisi aziendale e delle esigenze di organizzazione della produzione; b) requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, in ordine ai suddetti criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della loro rotazione; c) eventuale efficacia sanante, in caso di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, di regolarità della stessa; d) verifica concreta della posizione del singolo lavoratore.

La questione sub a) è oggetto del primo motivo, di denuncia della violazione e falsa applicazione dell’art. 20 l. 59/1997 in riferimento all'art. 1 l. 223/1991 e al d.p.r. 218/2000, nonché dell'art. 15 prel. c.c. per erronea negazione dell'esclusiva disciplina della procedura di autorizzazione della CIGS in virtù del citato d.p.r., con la conseguente abrogazione della precedente normativa (di specificazione nella comunicazione datoriale di avvio della procedura dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e delle modalità di rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione).

Esso è infondato.

L'insegnamento di questa Corte è ormai attestato nell'escludere alcuna incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218 e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223, limitandosi la disciplina regolamentare ad imporre all'imprenditore, che intenda chiedere l'intervento straordinario di integrazione salariale, l'obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attenendo unicamente alla fase amministrativa di concessione dell'integrazione, senza nulla dire sul contenuto concreto della comunicazione, né dettando alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta: senza pertanto incidere sugli obblighi di rilevanza collettiva stabiliti dall'art. 1, settimo e ottavo comma legge n. 223 citata. E così pure esso è fermo nel negare che la normativa regolamentare abbia spostato l'informazione sui criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello immediatamente successivo dell'esame congiunto: posto che, così opinando, il contenuto dell'art. 2 del d.p.r. 218/2000 non soddisferebbe l'esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, comportando solo l'alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d'informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato.

Sicché, in proposito appare sufficiente, per la piena adesione ad esso prestata, richiamare il seguente principio di diritto, assolutamente consolidato (così anche da ultimo: Cass. 11 marzo 2015, n. 4886 e, con affermazione ai sensi dell'art. 360bis, primo comma c.p.c.: Cass. 9 giugno 2015, n. 11957), secondo cui:

"In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la L. n. 223 del 1991, art. 1 prescrive al comma settimo da parte del datore di lavoro, a seguito della sua ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro un preciso onere, va osservata come tutte le restanti disposizioni della suddetta L. n. 223 del 1991, volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l'entrata in vigore del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà), atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale" (Cass. n. 28464 del 2008; adde: Cass. n. 13240 del 2009; successivamente conformi, Cass. nn. 2155, 2156, 2157, 4151, 4152 del 2011, oltre Cass. nn. 25949, 25229, 25047, 23492, 23491, 23454, 23399, 15879, 15741 del 2014; Cass. nn. 25100, 22540, 22247, 21814 del 2013)".

Correttamente ha pertanto deciso sul punto la Corte territoriale, che a tale principio si è uniformata.

La seconda questione, relativa ai requisiti di specificità della comunicazione di richiesta di apertura della procedura, è oggetto del terzo motivo, di violazione e falsa applicazione degli artt. 1, settimo comma l. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma l. 164/1975 e 2 d.p.r. 218/2000, in riferimento al contenuto della lettera 31 ottobre 2002, per erronea esclusione della sufficiente specificazione, nei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere in CIGS e della loro rotazione, delle "esigenze tecniche, organizzative e produttive, avuto riguardo alle esigenze professionali e funzionali", come in essa indicati.

Anch'esso è infondato.

Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale ai requisiti suindicati investe il merito in ordine al contenuto dell'atto negoziale, sicché è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate.

Ed infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell'idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 1, settimo comma l. 223/1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l'inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459). E con particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che l'aggettivazione "non individua una specie nell'ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione", atteso che "un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta" (Cass. 1 luglio 2009 n. 15393

, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass. s.u. 11 maggio 2000, n. 302).

La terza questione, riguardante l'efficacia sanante, nell'ipotesi di inidoneità dei suddetti requisiti, di accordi sindacali raggiunti in corso di procedura e dell'attestazione di sua regolarità, con verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro, è oggetto del secondo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2 d.p.r. 218/2000, per erronea valutazione probatoria del verbale del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002 e vizio di omessa motivazione sulla comunicazione del Ministero 4 agosto 2003, di conferma del corretto svolgimento del suddetto esame congiunto tra le parti), del quinto (violazione e falsa applicazione degli artt. 1 l. 223/1991 e 2 d.p.r. 218/2000, nonché degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1375 e 2697 c.c., in riferimento all'efficacia degli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003, per negazione della loro efficacia sanante di qualsiasi vizio della procedura o del provvedimento di sospensione in CIGS) e del sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1362, secondo comma c.c. e vizio di omessa motivazione in ordine ad essa, per erroneamente ritenuta non regolare stipulazione degli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003): per tale ragione congiuntamente esaminabili.

Essi sono infondati.

Anche qui occorre premettere che la valutazione di adeguatezza, nell'accordo sindacale, della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione si risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spettante in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità (Cass. 29 maggio 2014, n. 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705): nel caso in esame travalicati, in riferimento ad una decisione immune da incoerenze o contraddizioni logiche.

In ogni caso, questa Corte intende ribadire, per intima convinzione, la recente affermazione secondo cui, in riferimento "alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell'ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate " (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Quanto alle attestazioni ministeriali di corretto svolgimento della procedura ed in particolare del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro 5 dicembre 2002, esse difettano di rilevanza, posto che, ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di rotazione debbano essere indicati ab initio nella comunicazione di avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta che quell'indicazione è avvenuta solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto (Cass. 8 giugno 2015, n. 11754; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587).

L'ultima questione, riguardante la verifica concreta della posizione del singolo lavoratore, è oggetto del quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1, settimo comma l. 223/1991, 5, quarto, quinto e sesto comma l. 164/1975, 2 d.p.r. 218/2000 e vizio di motivazione, per difetto di un tale accertamento di illegittimità della scelta), parimenti infondato.

Ed infatti la ritenuta genericità, per inidoneità dei criteri previsti dall'art. 1, settimo comma l. 223/1991, della comunicazione datoriale 31 ottobre 2002, di avvio della procedura di autorizzazione della CIGS, ravvisata da questa Corte in esito all'esame del terzo mezzo (per tale ragione respinto), esclude la possibilità di verificare la corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25949).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario, secondo la sua richiesta.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna F.G.A. s.p.a. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 3.000,00 per  compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.