Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2015, n. 22492

Tributi - Condono tombale ex art. 9, L. n. 289/2002 - Dichiarazione integrativa presentata ai fini del condono - Indicazione del codice riferibile ai parametri anziché agli studi di settore - Errore "scusabile e lieve"

 

Ritenuto in fatto

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della E. srl (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 38/28/2008, depositata in data 27/10/2008.

La controversia concerne l'impugnazione di un avviso di accertamento, avente ad oggetto IVA, IRPEG ed IRAP dovute per l'anno 2001, atto emesso (unitamente ad atti di contestazione, contenenti le sanzioni, separatamente impugnati dalla contribuente) a seguito della "mancata presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette e dell'IVA" (come da ricorso per cassazione dell'Agenzia delle Entrate), per gli anni 2000 e 2001, e del disconoscimento da parte dell'Ufficio erariale degli effetti di una domanda di condono presentata (in base ai parametri, con utilizzazione del "Codice 1", In luogo degli studi di settore, comportanti il "Codice 2", con versamento di un'imposta inferiore a quella dovuta se si fosse utilizzato il codice corretto) dalla società E., ex art. 9 L. 289/2002, quanto all'anno 2001.

Con la decisione impugnata è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente, limitatamente alle sole imposte dirette, dichiarando perfezionato il condono per l'anno in contestazione (2001), con annullamento dei relativi atti impositivi, e dichiarando invece dovuta l'IVA e le relative sanzioni.

In particolare, i giudici d'appello hanno sostenuto, nel respingere il gravame dell'Agenzia delle Entrate, che l'errore commesso dalla contribuente, nella dichiarazione integrativa presentata ai fini del condono - attraverso l'indicazione di un codice ("1") riferibile ai parametri anziché agli studi di settore (codice "2"), utilizzati (per indicare la congruità dei redditi dichiarati) nelle dichiarazioni dei redditi "a suo tempo presentate" -, deve ritenersi "scusabile e lieve", "manifesto e riconoscibile", cosicché l'Ufficio aveva il dovere di correggere la dichiarazione integrativa e far pagare la differenza dovuta, con gli interessi, ai fini del perfezionamento della sanatoria.

All'udienza pubblica del 15/09/2015 è intervenuto volontariamente il Fallimento della E. srl.

 

Considerato in diritto

 

1. Preliminarmente, in relazione al Fallimento della E. srl, intervenuto nel corso del presente giudizio di legittimità, deve ribadirsi che, nel giudizio di cassazione, dominato dall'impulso di ufficio, non sono applicabili le comuni cause di interruzione del processo previste dalla legge in generale (ex multis, Cass. S.U. 14385/2007; Cass. 21153/2010; Cass. 14736/2011; Cass. 8685/2012) e dall'art. 43 legge fall., quale modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, in particolare (Cass. 21153/2010). Il Fallimento è intervenuto volontariamente nel giudizio.

2. L'Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 7, 9 e 16 L. 289/2002, avendo la C.T.R. ritenuto scusabile e manifesto l'errore commesso dalla contribuente, nella compilazione, in sede di dichiarazione integrativa presentata ai fini del condono, della colonna "parametri" anziché di quella "studi di settore", senza tener conto del comma 15 dell'art. 9 L. 289/2002, in base al quale "la definizione automatica non si perfeziona se essa si fonda su dati non corrispondenti a quelli contenuti nella dichiarazione originariamente presentata".

Con il secondo motivo, la stessa ricorrente lamenta poi l'insufficiente motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione al fatto decisivo e controversi rappresentato dalla scusabilità dell'errore e dalla sua natura meramente materiale.

3. Le due censure, da trattare unitariamente, sono infondate.

L'accoglimento della tesi della ricorrente Agenzia delle Entrate implicherebbe l’assoluta impossibilità di procedere all'interpretazione di una proposta dichiarazione integrativa, in funzione della asserita rigidità della disciplina.

Occorre anzitutto, in generale, ribadire il principio, valido per qualsiasi ipotesi di condono fiscale, secondo il quale le dichiarazioni integrative (o, in genere, le dichiarazioni di volersi avvalere di una determinata definizione agevolata) non hanno natura di mere dichiarazioni di scienza o di giudizio, come tali modificabili; né costituiscono momenti del procedimento volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria, ma integrano atti volontari, frutto di scelta ed autodeterminazione da parte del contribuente, i cui effetti non sono rimessi alla volontà di quest'ultimo, ma sono previsti dalla legge, come conseguenza dell'osservanza di specifiche disposizioni che regolano ciascuna dichiarazione, la quale, una volta presentata, è irrevocabile e non può essere modificata dall'ufficio né contestata dal contribuente, se non per errore materiale, il quale deve essere manifesto e riconoscibile e consistere nella discordanza, immediatamente rilevabile dal testo dell'atto, tra l'intendimento dell'autore e la sua materiale esteriorizzazione e non può consistere in un ripensamento successivo alla dichiarazione (cfr., tra altre, Cass. n. 15172 del 2006 e, da ult. Cass. n. 3301 del 2014 e Cass. 15295/2015).

Questa Corte, sempre in tema di condono fiscale e di dichiarazione correlata, ha poi precisato (Cass. 3410/1997; Cass. 7172/2002 e Cass. 14955/2002; Cass. 14020/2007 e Cass. 25712/2007) che, in presenza di errori materiali riconoscibili, tali per cui sia possibile ricostruire con sicurezza l'effettivo contenuto della dichiarazione integrativa, solo apparentemente difforme nel testo redatto, la medesima dichiarazione è da considerarsi valida e produttiva di effetti in conformità a tale suo effettivo contenuto, che deve essere dunque vagliato e valutato dal giudice, unitamente alla riconoscibilità dell'errore materiale, in base ad indagini di fatto le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se adeguatamente motivate.

Tanto premesso, nella fattispecie, il motivo del ricorso, implicante violazione di norma di diritto, è essenzialmente imperniato sull'interpretazione del comma 15 dell'art. 9 L. 289/2002 invocato dalla ricorrente, in base al quale "la definizione automatica non si perfeziona se essa si fonda su dati non corrispondenti a quelli contenuti nella dichiarazione originariamente presentata".

Emerge, invero, dagli atti che la contribuente non aveva presentato la dichiarazione dei redditi con riferimento agli anni 2000 e 2001, mentre l'aveva presentata in relazione agli anni d'imposta 1998 e 1999, dichiarando, in tale sede, la congruità del reddito rispetto a studio di settore.

Ora, l'Amministrazione, nel ritenere invalida la definizione automatica presentata per l'anno 2001, rimarca la divergenza tra le predette dichiarazioni, relative agli anni 1998 e 1999, nelle quali la contribuente si dichiarava soggetta a studio di settore, e la dichiarazione integrativa presentata, nel 2003, ex art. 9 L. 289/2002, anche in relazione all'anno 2001, nella quale invece la stessa società aveva indicato il codice "1" (parametri) (per un mero errore di compilazione, nella prospettazione della E.).

Ne discende che il motivo, per come formulato,anche nel quesito di diritto, ex art. 366-bis c.p.c., non è comunque pertinente e decisivo, in quanto, nella fattispecie, non essendo stata presentata, dalla contribuente, la dichiarazione dei redditi per l'anno (qui in contestazione) 2001, non può invocarsi, da parte dell'Ufficio, ai sensi del comma 15 dell'art. 9 L. 289/2002 ed al fine di invalidare la definizione automatica, la non conformità della dichiarazione integrativa ai fini del condono rispetto a dichiarazioni dei redditi presentate in altri anni, precedenti.

Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla riconoscibilità e scusabilità dell'errore dedotto dal contribuente, appare congrua sul piano logico, con conseguente infondatezza del vizio dedotto di insufficiente motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c.

4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Le spese processuali, in considerazione delle peculiarità della fattispecie, vanno integralmente compensate tra le parti.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.