Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2015, n. 22500

Tributi - Cessione d’azienda - Separata vendita di opificio e terreno - Alternatività imposta di registro e IVA

 

Svolgimento del processo

 

In esecuzione di obbligo a contrarre assunto con preliminare di vendita, la società V.S. n.c. di V.V. & C., (di seguito, per brevità, V.) con scrittura privata autenticata trasferì alla O. S.r.l. (O.) la proprietà di un opificio industriale e di un appezzamento di terreno siti nel Comune di Andria al prezzo convenuto nel preliminare (€ 1.549.370,70 oltre IVA).

Con la stessa scrittura la V. trasferì alla O. il ramo d’azienda commerciale avente come attività il commercio di articoli di abbigliamento, scarpe e cappelleria, in esso incluso il marchio "Bellavista" al prezzo di € 12.000,00.

Con avviso di rettifica e liquidazione l’Agenzia delle Entrate - Ufficio di Barletta elevò il valore del ramo d’azienda ceduto ad € 1.561.371,00 ritenendo compresi nella cessione del ramo d’azienda ceduto gli immobili trasferiti in virtù del medesimo atto, liquidando le maggiori imposte ritenute dovute di registro, ipotecaria e catastale sul maggior valore equivalente al corrispettivo dichiarato che l’Ufficio riteneva quindi erroneamente assoggettato ad IVA nella scrittura intervenuta tra le parti.

L’atto impositivo fu impugnato per difetto di motivazione, violazione degli artt. 20 e 21 del D.P.R. n. 131/1986 e carenza del presupposto impositivo ai fini dell’imposta di registro e delle imposte ipocatastali, dalla società O. dinanzi alla CTP di Bari, che accolse parzialmente il ricorso, escludendo la debenza della sanzioni pecuniarie irrogate, condannando l’Amministrazione al rimborso dell’IVA eventualmente versata dalla ricorrente, e confermando nel resto la legittimità dell’atto impositivo.

La sentenza fu oggetto di appello principale da parte della contribuente e di appello incidentale da parte dell’Amministrazione.

L’adita CTR della Puglia, con sentenza n. 62/3/09, depositata il 9 giugno 2009, rigettò l’appello principale della contribuente, ritenendo che sulla base del tenore letterale della scrittura, ove era scritto che "la cessione comprende inoltre l’immobile di cui si farà parola", fosse precluso interpretare la volontà delle parti nel senso che esse intesero trasferire l’opificio separatamente dal ramo d’azienda e non come parte integrante dello stesso. Detta pronuncia accolse invece parzialmente l’appello incidentale dell’Ufficio, escludendone la condanna al rimborso dell’IVA nei confronti dell’acquirente O. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate in forza di due motivi.

La società intimata resiste con controricorso col quale propone altresì ricorso incidentale affidato a cinque motivi.

La società ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente principale Agenzia delle Entrate deduce "illogica e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio: con riferimento all’art. 360, n. 5 c.p.c.", assumendo che la motivazione addotta a fondamento della ritenuta non applicabilità delle sanzioni, cioè il ritenere "opinabile l’interpretazione dell’atto (e quindi il suo assoggettamento a Registro ovvero ad IVA)" si pone irrimediabilmente in contrasto con l’ulteriore affermazione, contenuta nella decisione impugnata, laddove essa ha invece correttamente rilevato che il chiaro tenore letterale della scrittura, nella clausola come sopra riportata, impedisse d’interpretare la volontà delle parti nel senso che esse avessero inteso trasferire l’opificio separatamente dal ramo d’azienda.

2. Con il secondo motivo l’Amministrazione finanziaria censura la sentenza impugnata per "violazione e falsa applicazione dell’art. 71 del D.P.R. n. 131/1986: con riferimento all’art. 306" (recte 360) "n. 3 c.p.c.", assumendo che, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso l’applicazione delle sanzioni, essa si sarebbe posta in contrasto con detto art. 71 del D.P.R. n. 131/1986, che prevede che "se il valore definitivamente accertato dei beni o diritti... ridotto di un quarto, supera quello dichiarato, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggiore imposta dovuta" norma che avrebbe dovuto trovare applicazione, una volta accertata dalla stessa sentenza la legittimità dell’accertamento del valore in € 1.561.371,00 a fronte del dichiarato valore di € 12.000,00 del ramo d’azienda ceduto.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società contribuente deduce "violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché degli artt. 40, comma 1 TUR e 2, commi 1 e 3 lett. b) D.P.R. n. 633/1972 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.", lamentando che, nel fare applicazione del criterio d’interpretazione letterale, la decisione impugnata si sia limitata ad estrapolare una singola clausola, senza quindi, come necessario, interpretare le clausole le une per mezzo delle altre nel quadro d’interpretazione sistematica dell’atto negoziale e, quindi, in caso d’insufficienza dei suddetti canoni d’interpretazione, accertare la volontà delle parti sulla base del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del negozio.

4. Con il secondo motivo dell’impugnazione incidentale la società lamenta "insufficiente motivazione sopra un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c.".

Essendo fatto controverso e decisivo per la decisione del giudizio l’inclusione o meno dell’opificio industriale e del terreno nel ramo aziendale oggetto di trasferimento dalla V. alla O., la ricorrente incidentale censura la carenza motivazionale della decisione impugnata laddove ha affermato che "la società alienante iniziò la costruzione dell'opificio perché intendeva utilizzarlo per lo svolgimento della sua attività imprenditoriale", atteso che ben può configurarsi un opificio industriale non inserito nell’organizzazione economica di un ramo aziendale e che, di conseguenza, la presenza di un opificio e di un terreno non implica necessariamente che tali beni costituiscano elementi costitutivi del ramo d’azienda trasferito tra le stesse parti, tra le quali sono stati trasferiti contestualmente questi stessi beni.

5. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.". A giudizio della contribuente la decisione impugnata sarebbe incorsa in detta violazione laddove ha ritenuto non rilevante ai fini della ricostruzione della volontà negoziale delle parti la circostanza che l’acquirente abbia poi utilizzato l’opificio in questione per un’attività imprenditoriale diversa da quella oggetto del ramo d’azienda pure contestualmente trasferito.

Detta statuizione, secondo la ricorrente incidentale, si porrebbe in violazione dell’art. 1362 2° comma c.c., che fa obbligo al giudice di merito di valutare il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto ai fini della ricostruzione dell’effettiva intenzione perseguita dai contraenti, la qual cosa emerge in maniera ancor più chiara qualora si tenga conto che la stessa Commissione ha ritenuto "opinabile" l’atto concluso dai contraenti, sì da escludere in radice che l’intenzione dei contraenti potesse essere ricostruita solo in forza del "senso letterale delle parole" adoperate nell’atto stesso.

6. Con il quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia "'omessa motivazione sopra un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.". Posto sempre che il fatto controverso e decisivo per la decisione del giudizio è costituito dall’inclusione o meno dell’opificio industriale nel ramo aziendale oggetto di trasferimento dalla V. alla O., la società acquirente rileva la carenza motivazionale della decisione impugnata per avere essa totalmente omesso di esaminare le prove documentali prodotte da essa contribuente nel secondo grado di giudizio, quali indicate in dettaglio nel controricorso, volte a dimostrare l’autonomia dell’immobile rispetto al complesso di beni organizzati costituenti il ramo d’azienda ceduto.

7. Infine, con il quinto motivo, speculare al primo motivo addotto a sostegno del ricorso principale, la ricorrente incidentale denuncia ancora "contraddittoria motivazione sopra un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.", per avere da un lato la decisione impugnata ritenuto che dalla semplice lettura dell’atto registrato e, quindi dal suo tenore letterale, si evincesse chiaramente che le parti intesero trasferire l’opificio separatamente dal ramo d’azienda e non come parte integrante dello stesso, e dall’altro, contraddittoriamente, nel giustificare la ritenuta non applicabilità delle sanzioni irrogate dall’Ufficio, qualificato come "opinabile" l’interpretazione dell’atto medesimo.

8. Preliminarmente va dato atto che alla presente controversia, avente ad oggetto impugnazione di sentenza della CTR di Bari depositata anteriormente al 4 luglio 2009, è ancora applicabile, ratione temporis, il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., sebbene abrogato dall’art. 47 1° comma lett. d) della L. n. 69/2009, in virtù della disciplina transitoria prevista dall’art. 58 5° comma della stessa legge.

8.1. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso principale, come pure eccepito dalla società controricorrente con specifico riferimento ad uno dei diversi profili d’inammissibilità dedotti, deve essere ritenuto inammissibile. La censura, infatti - nel denunciare, sotto il profilo della contraddittorietà, il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che ha, in maniera inconciliabile, secondo la ricorrente principale, affermato da un lato che sulla base del solo tenore letterale dell’atto fosse chiara l’intenzione dei contraenti di ricomprendere l’opificio ed il terreno nel ramo d’azienda trasferito, salvo poi motivare dall’altro la non debenza delle sanzioni irrogate dall'Ufficio con la natura opinabile dell’interpretazione dell’atto stesso - risulta priva del c.d. momento di sintesi con la chiara indicazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio, richiesto ai sensi del succitato art. 366 bis c.p.c., quale omologo, con riferimento al caso di cui all’art. 360 1° comma n. 5 c.p.c., al quesito di diritto previsto da detta norma per le altre ipotesi di ricorso per cassazione disciplinate dall’art. 360 c.p.c.

Ne consegue, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. civ. sez. unite 1° ottobre 2007, n. 20603; Cass. civ. sez. IlI ord. 7 aprile 2008, n. 8897; Cass. civ. sez. V 8 marzo 2013, n. 5858), l’inammissibilità del motivo in esame, avuto riguardo alla funzione propria attribuita dal menzionato art. 366 bis c.p.c. al c.d. momento di sintesi, volto a circoscrivere puntualmente i limiti della relativa censura e quindi a far emergere in modo immediato la rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ai fini della decisione, in senso favorevole al ricorrente.

9. Il secondo motivo, con il quale la ricorrente Amministrazione finanziaria si duole, come si è visto, della violazione e falsa applicazione dell’art. 71 del D.P.R. n. 131/1986, è anch’esso inammissibile, come eccepito dalla controricorrente, non essendo correlato alla ratio decidendi dell’impugnata sentenza, che ha escluso, nella fattispecie in esame, l’applicabilità delle sanzioni, sul presupposto della sussistenza di obiettive condizioni d’incertezza dipendenti dalla natura opinabile dell’interpretazione dell’atto medesimo.

La censura per violazione di legge avrebbe quindi dovuto essere rapportata, se del caso, ove ritenuta sussistente, alla dedotta violazione dell’art. 8 del D. Lgs. n. 546/1992 che, in relazione a quanto altresì previsto dall’art. 6 del D. Lgs. n. 472/1997 e dall’art. 10 comma 3° della L. n. 212/2000, consente alla Commissione tributaria di dichiarare non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie, quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce e, quindi, nella fattispecie, all’ambito di applicazione del principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro di cui all’art. 40 del D.P.R. n. 131/1986, in ragione della ritenuta opinabilità delle conclusioni riferite alla correttezza della non assoggettabilità ad IVA del trasferimento dell’opificio e del terreno, ove da intendere ricompresi nel trasferimento del ramo d’azienda.

Nel giudizio di merito in effetti la controversia non ha in alcun modo riguardato la portata applicativa dell’art. 71 del D.P.R. n. 131/1986, né tantomeno la decisione resa dalla CTR all’esito del grado d’appello ha avuto quindi modo di pronunciarsi su di essa.

Il ricorso principale, risultando inammissibili per le ragioni dinanzi esposte entrambi i motivi ai quali esso è stato affidato, deve essere quindi rigettato.

10. Il primo motivo addotto dalla controricorrente a sostegno del proprio ricorso incidentale, come innanzi (par. 3) riassunto, deve ugualmente essere dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza.

La società contribuente, muovendo essa stessa dal c.d. principio di ordinazione gerarchica (o gradualismo gerarchico) tra le regole legali di ermeneutica contrattuale quali elencate negli artt. 1362 - 1371 c.c., quale più volte affermato dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. civ. sez. I 13 dicembre 2006, n. 26690; Cass. civ. sez. IlI 28 agosto 2007, n. 18180), sostiene che - nell’ambito dell’applicazione del criterio primario, quello dell’interpretazione letterale, di cui al 1° comma dell’art. 1362 c.c., cui la Commissione tributaria si riferisce nel momento in cui ritiene preclusa ogni possibile diversa ricostruzione dell’intenzione delle parti contraenti sulla base della clausola dalla decisione espressamente richiamata (la cessione comprende inoltre l’immobile di cui si farà parola") - la CTR avrebbe dovuto non interpretare in maniera atomistica la clausola suddetta, ma leggerla nel contesto dell’interpretazione sistematica di tutte le clausole contrattuali, per mezzo delle quali le parti hanno manifestato la propria volontà negoziale.

La decisione impugnata, invece, estrapolando dal relativo contesto la clausola succitata, avrebbe contravvenuto al canone ermeneutico quale risultante dal combinato disposto degli artt. 1362 1° comma c.c. e 1363 c.c., violando in maniera consequenziale anche il principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro nella tassazione del trasferimento dell’opificio e del terreno che, in quanto oggetto di cessione separata, ancorché contestuale, rispetto al trasferimento del ramo d’azienda, correttamente doveva ritenersi soggetta ad IVA.

Questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. civ. sez. lav. 15 novembre 2013, n. 25278; Cass. civ. sez. IlI 28 luglio 2005, n. 15798) ha costantemente affermato il principio secondo cui la parte che con il ricorso per cassazione intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto e le modalità nei quali il giudice di merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole che consentano d’individuare l’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa.

Tale principio - applicabile anche al controricorso, giusta la norma di rinvio dell’art. 371 2° comma c.p.c.all’art. 366 c.p.c.- cui va in questa sede data continuità, porta inevitabilmente alla declaratoria d’inammissibilità del motivo, atteso che la ricorrente incidentale si è limitata a denunciare la contrarietà dell’operazione interpretativa condotta dal giudice di merito, con riferimento al canone dell’interpretazione sistematica, ma omettendo totalmente di trascrivere il restante contenuto negoziale della scrittura.

Tale lacuna appare nella fattispecie ancor più grave anche con riferimento al fatto che la scrittura con la quale nel contempo si è trasferito il succitato compendio immobiliare ed il ramo d’azienda rispetto al quale la controricorrente deduce la non appartenenza tanto dell’opificio quanto del terreno, si assume essere stata sottoscritta tra le parti in adempimento delle obbligazioni assunte in virtù di preliminare di vendita, ragione per la quale l’indagine sull’effettiva volontà delle parti avrebbe dovuto tener conto anche del contratto preliminare quale fonte della relativa obbligazione.

L’omissione, nel controricorso, della trascrizione del contenuto delle clausole negoziali che il giudice di merito avrebbe dovuto interpretare, secondo quanto disposto dagli art. 1362 1° c.c. e 1363 c.c., sempre nell’ambito del criterio prioritario d’interpretazione letterale, le une per mezzo delle altre, preclude alla Corte la possibilità di verifica della fondatezza del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto così come formulato dalla società controricorrente con il primo motivo di ricorso incidentale.

11. Le considerazioni svolte nel paragrafo che precede ed il relativo approdo - nel quadro dell’impostazione seguita dalla stessa controricorrente in punto di affermazione del criterio di gradualismo gerarchico tra le regole legali di ermeneutica contrattuale - che portano a ritenere esaustivo il prioritario criterio d’interpretazione letterale così come applicato dal giudice di merito e cioè in senso preclusivo della possibilità d’intendere l’effettiva intenzione delle parti nel senso di ritenere il trasferimento della proprietà dell’opificio e del terreno separatamente rispetto alla cessione del ramo d’azienda, svuotano di autonomo rilievo i motivi nn. 2, 3 e 4 addotti dalla controricorrente a sostegno del proprio ricorso incidentale, come sopra riportati, che presuppongono l’insufficienza del solo criterio d’interpretazione letterale ai fini della ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti e che devono quindi ritenersi inammissibili per sopravvenuta carenza d’interesse.

12. Ad analoga conclusione deve pervenirsi in relazione al quinto ed ultimo motivo di ricorso incidentale, che come si è già accennato, si pone in modo del tutto speculare, in senso opposto, al primo motivo di ricorso principale della ricorrente Amministrazione, già dichiarato inammissibile per mancanza del c.d. momento di sintesi.

Nel momento in cui, alla stregua delle osservazioni che precedono, deve ritenersi definitivamente accertata la sufficienza dell’applicazione del criterio prioritario d’interpretazione letterale così come applicato dal giudice di merito nella ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti contraenti, nel senso di comprendere nel trasferimento del ramo d’azienda anche l’opificio ed il terreno, priva di ogni rilievo e dunque d’interesse diventa la censura di contraddittorietà della motivazione in parte qua con l’affermata natura "opinabile" dell’interpretazione del negozio posto in essere dalle parti ai fini della giustificazione della ritenuta non applicabilità delle sanzioni, statuizione anch’essa ormai definitiva in conseguenza della ritenuta inammissibilità del primo motivo del ricorso principale della ricorrente Amministrazione.

13. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale e dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.