Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 novembre 2015, n. 22642

Contratto a tempo determinato - Nullità - Genericità della causale - Valutazione - Prova

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata in data 17/12/09 la Corte d'Appello di Campobasso ha confermato la pronuncia del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da V. A. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine finale apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 15-12-2001 al 31-1-2002, e la condanna della società al risarcimento del danno dal dì della messa in mora.

La Corte distrettuale, nel pervenire a tali conclusioni, osservava, per quel che in questa sede interessa; a) che il primo giudice aveva acclarato la genericità della causale apposta al contratto di lavoro de quo, soggetto, ratione temporis, alla disciplina di cui al d.lgsl. n. 368/2001; b) che la allegazione relativa alla "inesatta rilevazione da parte del primo giudice della reale causale inserita nel contratto di lavoro a termine" era rimasta sfornita di prova, non avendo la parte appellante - su cui gravava il relativo onere provveduto alla produzione del contratto di lavoro inter partes.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso sostenuto da tre motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.

L'intimata non ha svolto attività difensiva.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo ed il secondo motivo di censura, che possono esaminarsi congiuntamene stante la connessione che li connota, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.1 d.lgl. 368/2001 e degli accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione all'art. 360 comma 1 nn. 3-4 c.p.c.

La società stigmatizza l'argomentare dei giudici del gravame per aver ritenuto che la causale utilizzata da Poste Italiane s.p.a. fosse quella prevista dall'art. 25 c.c.n.l. 2001, e che detta clausola autorizzatoria non poteva ritenersi utilizzabile al fine di sorreggere il contratto de quo. Deduce per contro che il richiamo recato in contratto ai successivi accordi collettivi intervenuti, esprimeva il permanere di circostanze di fatto, oggettivamente accertabili, che conferivano un contenuto di concretezza alla formula generica di cui all'art. 1 d.lgsl. 368/01.

1.2 La ricorrente critica inoltre la decisione della Corte distrettuale laddove ha evidenziato il mancato rispetto dei canoni di trasparenza indicati dalla Corte Costituzionale nei suoi arresti giurisprudenziali, anche laddove predicano la necessità di indicare il nominativo del lavoratore sostituito (vedi C. Cost. n. 214 del 2009) laddove l'assunzione venga disposta per soddisfare esigenze di carattere sostitutivo.

1.3 I motivi sono inammissibili, in quanto inconferenti rispetto alla pronuncia impugnata.

Invero, come riportato nello storico di lite, l'iter motivazionale percorso dai giudici del gravame era modulato esclusivamente sul tema della mancata dimostrazione da parte appellante, della reale causale sottesa al contratto inter partes, articolandosi nella mera conferma in mancanza di valido motivo di impugnazione, della sentenza di prime cure che aveva accertato la genericità della causale apposta al contratto de quo ai sensi dell'art. 1 d.lgsl. n. 368/01, per esser la società venuta meno all'onere di depositare documentazione atta a dimostrare "le ragioni poste (per iscritto) dalla datrice di lavoro a base dei contratti di lavoro in parola" rendendo "quindi, non possibile effettuare la valutazione...di legittimità della causale dei contratti di lavoro a termine...".

La ricorrente, per contro, omettendo di censurare specificamente detta statuizione, ha affermato che secondo la Corte territoriale "La causale utilizzata da Poste Italiane s.p.a. è quella prevista dall'art. 25 del c.c.n.l. del 2001. Tale contratto, tuttavia, veniva a scadenza il 31 dicembre 2011...Essa dunque, ha cessato di avere la sua efficacia a quella data e la clausola autorizzatoria non è più utilizzabile per sorreggere il contratto...".

1.4 Le articolate censure, come formulate, vulnerano i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, in base ai quali (vedi ex aliis, Cass. 3-8-07 n.17125, cui adde Cass. 18-2-11 n.4036) la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al "decisum" della sentenza impugnata comporta l'inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all'art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l'esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate.

2. Con il terzo mezzo di impugnazione, la società ricorrente, denunziando omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia nonché violazione di legge, censura la decisione per avere ritenuto, quale conseguenza sanzionatoria della nullità del termine, la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non facendo applicazione del principio generale in tema di nullità parziale di cui all'art. 1419 cod. civ, secondo il quale la nullità della clausola contenente il termine importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità. Deduce infatti di avere compiutamente dimostrato che senza la apposizione del termine non avrebbe concluso il contratto in controversia.

2.1 II motivo è privo di fondamento.

Invero, la statuizione della Corte territoriale, si pone in linea con il consolidato orientamento espresso da questa Corte alla cui stregua "la disposizione dell'art. 1419, secondo comma, cod. civ., a norma della quale la nullità di singole clausole contrattuali non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, impedisce che al risultato dell'invalidità dell'intero contratto possa pervenirsi in considerazione della sussistenza di un vizio del contratto, avente ad oggetto la clausola nulla in rapporto alla norma imperativa destinata a sostituirla, poiché l'essenzialità di tale clausola rimane esclusa dalla stessa prevista sua sostituzione con una regola posta a tutela di interessi collettivi di preminente interesse pubblico (vedi Cass. 29-9-05 n.19156).

3. Infine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 50, 6 e 7. Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest'ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass., 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004, n. 4070).

3.1 In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, deve essere sussistente ed altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4 gennaio 2011, n. 80; Cass., 15 luglio 2014, n. 16139). Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie, non essendo stata oggetto di specifico motivo di censura, la statuizione emessa in tema di effetti risarcitori scaturenti dalla nullità della clausola illegittima.

In definitiva, il ricorso va respinto.

Nessuna statuizione va emessa in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Nulla per le spese.