Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 novembre 2015, n. 22543

Assunzione a tempo determinato - Nullità - Esigenze aziendali - CCNL - Legittimità

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 503/06 il Tribunale di Bologna, dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato il 16.10.97 fino al 31.1.98 e poi prorogato fino al 30.4.98 tra P.I. S.p.A. e G.N. e convertito il rapporto lavorativo in uno a tempo indeterminato, condannava detta società a ripristinare la funzionalità del rapporto reinserendo il lavoratore nel posto e nelle mansioni svolte e a pagargli le retribuzioni maturate dal 1.11.03, detratto l’aliunde perceptum.

Con sentenza depositata in data 8.10.09 la Corte d’appello di Bologna, in totale riforma della pronuncia di prime cure, rigettava la domanda di G.N., che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

P.I. S.p.A. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1 - Il primo motivo denuncia vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ravvisato nel caso di specie una risoluzione per mutuo consenso del rapporto in ragione del tempo trascorso fra la scadenza del termine apposto al contratto stipulato il 16.10.97 e la proposizione dell'azione giudiziaria (avvenuta con ricorso depositato il 29.9.04).

Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 23 legge n. 56/87 in relazione all'art. 1 legge n. 230/62, per avere la Corte territoriale trascurato che per la validità del termine apposto ai sensi dell'art. 8 CCL 26.11.94 deve pur sempre sussistere un nesso di causalità, ancorché mediato, fra l’assunzione a tempo determinato del singolo lavoratore e le esigenze connesse alla fase di riorganizzazione dell'azienda, nesso causale la cui prova, gravante sulla società, non è stata assolta, risultando - anzi - pacifico che il ricorrente è stato adibito a mansioni di addetto al reparto stampe del CMP di Bologna che non hanno nulla di innovativo o sperimentale e, pertanto, non sono state in alcun modo coinvolte nel processo di riorganizzazione.

2 - Il secondo motivo - da esaminarsi dapprima perché concerne una questione potenzialmente dirimente - è infondato. Il contratto di lavoro in oggetto è stato stipulato ai sensi dell’art. 8 CCL 26.11.94, come integrato dall’accordo aziendale 25.9.97. A tale riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2.3.2006 n. 4588 è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 legge n. 56/87, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230/62, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori (giurisprudenza costante: v., ex aliis, Cass. 15.10.11 n. 21355; Cass. 4.8.2008 n. 21063; cfr., altresì, Cass. 20.4.2006 n. 9245; Cass. 7.3.2005 n. 4862; Cass. 26.7.2004 n. 14011). La copertura autorizzatoria prevista dall’autonomia collettiva è stata prevista fino al 30.4.98, cioè fino a data coincidente con la durata del contratto a tempo determinato fra le odierne parti, al quale - dunque - è stato legittimamente apposto un termine.

3 - Il rigetto del secondo motivo di ricorso in virtù dell'accertata validità del termine apposto al contratto di lavoro assorbe la disamina del primo motivo di censura, la cui eventuale fondatezza non basterebbe all'accoglimento della domanda dell'odierno ricorrente.

3 - In conclusione il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.