Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 ottobre 2015, n. 20071

Lavoro subordinato - Licenziamento per giusta causa - Insubordinazione del lavoratore nei confronti del superiore gerarchico - Legittima

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza dell’11 luglio 2014 la Corte d’appello di Torino, in accoglimento del reclamo proposto dalla M.A. Group s.p.a. avverso la sentenza del 28 marzo 2014 con la quale il Tribunale di Novara, accogliendo l’opposizione proposta da G.P. avverso l’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale ex art. 1, commi 48 e segg. della legge 92 del 2012, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato da detta società al G. in data 10 dicembre 2012, ha rigettato le domande proposte dal G. con il ricorso introduttivo del giudizio dichiarando la legittimità del licenziamento in questione,

La Corte territoriale ha considerato provati i fatti addebitati al G. consistenti in atti di insubordinazione nei confronti del superiore gerarchico concretizzatisi nell’avergli rivolto espressioni ingiuriose e minacciose in occasione di una discussione avuta per motivi di lavoro e con la quale il G., addetto al reparto di verniciatura, rappresentava irregolarità nelle relative operazioni da parte di altro dipendente addetto al medesimo reparto. La Corte territoriale ha considerato non attendibili le dichiarazioni scritte di altri dipendenti ed acquisite nel corso del giudizio, ed ha ritenuto probanti le dichiarazioni del superiore gerarchico presente all’episodio contestato ed oggetto del comportamento censurato. La stessa Corte d’appello ha pure considerato la gravità del comportamento del lavoratore e, in particolare, il suo comportamento intimidatorio verso il suo superiore gerarchico, le offese e minacce poste in essere, elementi ritenuti integranti la giusta causa di licenziamento.

Il G. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su sei motivi.

Resiste la M.A. Group s.p.a. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 1 comma 60 della legge 92 del 2012 per essere stata depositata oltre il termine di 10 giorni dall’udienza di discussione tenutasi il 19 giugno 2014.

Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966. In particolare si assume che l'istruttoria svolta non avrebbe dato certezza della sussistenza della giusta causa di licenziamento stante il contrasto delle deposizioni testimoniali acquisite e sottolineato dalla stessa sentenza impugnata.

Con il terzo motivo si assume l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal ruolo rivestito dal G. e dalle relative responsabilità professionali.

Con il quarto motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dall’interesse del teste R. a rendere dichiarazioni sfavorevoli al lavoratore.

Con il quinto motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dall’epoca della sottoscrizione delle dichiarazioni sottoscritte dai colleghi del G. Con il sesto motivo si assume violazione dell’art. 10 lett B CCNL metalmeccanici, e omesso esame di un fatto decisivo per ìl giudizio, costituito dalla possibilità di adottare una sanzione conservativa.

Il primo motivo è infondato. Il termine per il deposito della sentenza è ordinatorio e non incide sulla validità del procedimento, pur essendo sommamente auspicabile che esso vada rispettato. Il ricorrente comunque non ha precisato se e come il mancato rispetto del termine abbia eventualmente inciso sulla sua posizione e sulle sue difese.

Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo sono inammissibili riguardando tutti una valutazione degli elementi istruttori propospettandosene una rivisitazione inammissibile in sede di legittimità. Come viene costantemente ripetuto in questa sede, la valutazione delle prove e il conseguente accertamento dei fatti di causa, è riservata al giudice del merito, mentre, in sede di legittimità può solo verificarsi la motivazione su tale valutazione che, nel caso in esame, è logica e congrua. La Corte torinese, infatti, ha esaminato dettagliatamente le deposizioni dei testi escussi presenti all’episodio contestato, valutando anche quelle dei testi non presenti all’episodio motivando, in caso di contrasto di deposizioni, sulla maggiore attendibilità di quelle dei testi presenti al diverbio che ha dato luogo al licenziamento in esame.

Il sesto motivo è infondato.

Invero, la valutazione sulla gravità della condotta non può che essere di competenza del giudice del merito il quale nella fattispecie l’ha correttamente eseguita attraverso una motivazione, assolutamente congrua, come tale sottratta a censure di legittimità nel presente giudizio.

Va, infatti, ricordato che "in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa (come nella fattispecie), si sottraggono al riesame in sede di legittimità, (v., per tutte, Cass, sez. lav. 7 aprile 2011, n. 7948). A ciò va aggiunto che il ricorrente, in merito alla proporzionalità della sanzione, fa riferimento a previsioni contrattuali senza allegare e produrre il contratto stesso, per cui il motivo in esame ha anche profili di inammissibilità.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessive € 100,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.