Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 settembre 2015, n. 17988

Lavoro - Cigs - Illegittimità - Accertamento - Difetto di informativa sindacale

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza pubblicata il 16 dicembre 2009 la Corte d'appello di Roma, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 24 aprile 2007 con la quale era stata accolta la domanda di F.A. dipendente della S. s.p.a. ed intesa all'accertamento dell'illegittimità della CIGS disposta nei suoi confronti, con conseguente ordine di riammissione in servizio e condanna al pagamento delle differenze retributive. La Corte territoriale ha ritenuto l'illegittimità della procedura per difetto di informativa sindacale relativa all'individuazione dei lavoratori da porre in CIGS e dei criteri di rotazione citati negli accordi sindacali succedutisi dal 1998 anno in cui il dipendente era transitato alla S. da altra società venendo posto subito in CIGS. La stessa Corte territoriale ha inoltre ritenuto che tale illegittimità non è comunque sanata dagli accordi sindacali successivi in quanto le formule contenute negli accordi stessi sono estremamente generiche e non tengono conto della situazione concreta a cui dovrebbero essere applicabili gli accordi stessi.

La S. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo.

Resiste il F.con controricorso illustrato da memoria.

 

Motivi della decisione

 

Con l'unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 1, commi 7 ed 8 della legge 223 del 1991; omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che i criteri di rotazione al fine del collocamento dei lavoratori in CIGS sarebbero sufficientemente delineati negli accordi sindacali succedutisi e, comunque, dovrebbe considerarsi la particolare situazione del settore a cui era assegnato il F.nella cui zona non vi erano state affatto commesse per cui il lavoro era completamente fermo e nessuna rotazione poteva essere disposta, e le esigenze tecnico produttive di cui agli accordi sindacali erano chiare nel senso che nessun lavoratore poteva essere impiegato, e da ciò derivava la legittimità della mobilità in questione. E la valutazione sulla legittimità della mobilità non può prescindere dalla particolare situazione territoriale.

Il motivo è infondato.

Si rileva che nella giurisprudenza di legittimità - a partire da Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302 - si è consolidato l'orientamento secondo cui: "in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l'attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall'attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacati, ai fini dell'esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi (in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5), tale illegittimità potendo essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata".

È stato anche ripetutamente precisato che non è conforme alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all'individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere. Insieme con tali principi si è altresì affermato quello secondo cui la violazione dell'obbligo della suddetta comunicazione può essere sanata dalla sottoscrizione di un accordo sindacale, purché il contenuto di tale accordo sia idoneo a soddisfare le stesse finalità conoscitive e di esternazione cui sono preordinate le comunicazioni preventive. Tale non può considerarsi - diversamente da quanto affermato dalla ricorrente - l'accordo sindacale dell’8 gennaio 2002, applicabile nella specie e citato nel ricorso. Infatti, dalla relativa lettura si desume che l’individuazione dei lavoratori da sospendere avrà luogo sulla base delle effettive esigenza tecnico-produttive derivanti dalle attività eseguibili, e la rotazione non interesserà le unità sospese aderenti al provvedimento o in possesso dei requisiti di età o di contribuzione per raggiungere nel corso od al termine del periodo di CIGS e/o mobilità il diritto a pensione. Da tale testo emerge chiaramente non solo che nella premessa non viene menzionata alcuna informazione preventiva fornita alle OOSS e alla RSU in ordine all'adozione del criterio della rotazione ma anche che esso, nel suo complesso, è privo di un sufficiente grado di certezza in merito all'effettiva adozione del criterio della rotazione (privilegiato dal legislatore). Da esso, infatti, risulta soltanto la dichiarazione della società di effettuare la rotazione ad esclusione dei lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione. La Corte d'appello ha correttamente tratto dalla genericità delle espressioni contenute negli accordi applicabili, la conclusione della inidoneità a legittimare il collocamento in CIGS. L'evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in materia ha tuttora il suo fulcro nel principio, originariamente affermato da Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302, secondo cui in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall'attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell'esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.

Il suddetto principio si è, infatti, del tutto consolidato del tempo, trovando continue e molteplici conferme nella giurisprudenza di legittimità, anche recente (vedi, per tutte: Cass. 23 aprile 2004, n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass. 21 settembre 2011, n. 19235).

Inoltre, in applicazione del suddetto principio, è stato altresì precisato che:

a) per l'attuazione della finalità perseguita dal legislatore, la specificità dei criteri di scelta, che si possono definire generali in quanto rivolti ad una collettività di lavoratori, consiste nella idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 23 aprile 2004, n. 7720);

b) il provvedimento di sospensione dell'attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell'esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere (Cass. 28 novembre 2008, n. 28464);

c) ai fini della legittimità della sospensione della retribuzione per i lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria, l'azienda è tenuta a comunicare la individuazione dei lavoratori da sospendere e i motivi per i quali non vengono adottati i meccanismi di rotazione; la sussistenza di vizi procedimentali e la conseguente inefficacia dei provvedimenti aziendali può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n. 11660);

d) in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all'individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240);

e) tale ultima violazione non può ritenersi sanata dall'effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Rispetto alla suindicata giurisprudenza non si pongono in contraddizione - come chiarito da Cass. 28 novembre 2008, n. 28464 cit. - le sentenze nelle quali è stato precisato che gli accordi sindacali possono porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazioni previsti all'inizio della procedura di messa in cassa integrazione.

In tali sentenze, infatti, l'indicata affermazione è sempre stata effettuata sull'esplicito presupposto secondo cui - diversamente da quanto si è verificato nella fattispecie in esame - detti accordi, per il loro contenuto, facciano ritenere raggiunti i fini sottesi alle iniziali comunicazioni sia per quanto attiene la specificazione dei criteri di scelta da adottare sia per le modalità della loro concreta applicazione (vedi, in tal senso: Cass. 2 agosto 2004 n. 14721; Cass. 5 maggio 2004 n. 8353 (ndr Cass. 3 maggio 2004 n. 8353); Cass. 21 agosto 2003, n. 12307; Cass. 29 maggio 2006, n. 12719; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25892; Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851). Non va, del resto, dimenticato che, nella maggior parte delle sentenze da ultimo indicate, si fa espresso riferimento al principio - base affermato nella sentenza delle Sezioni unite n. 302 del 2000 e ci si limita a specificare che il suddetto principio si deve considerare rispettato anche quando, nonostante la mancanza delle comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 1 sia intervenuto un accordo tra datore di lavoro e sindacato, con il quale vengono concordati i criteri di individuazione del personale da porre in cassa integrazione, purché ciò avvenga nel rispetto delle condizioni in precedenza indicate, in quanto solo così la conclusione di validi accordi collettivi può portare a ritenere che la procedura abbia raggiunto comunque il suo scopo (vedi, in particolare: Cass. 2 agosto 2004 n. 14721; Cass. 5 maggio 2004 n. 8353; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25892; Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851, Cass. 21 settembre 2011, n. 19235, citate).

Ciò risponde alla medesima logica in base alla quale, mutatis mutandis, è stato affermato che, nella procedura di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4 qualora sia stato raggiunto l'accordo sindacale, i vizi della comunicazione di avvio della procedura non sono rilevanti ai fini della inefficacia dei licenziamenti intimati all'esito della procedura medesima, salvo che sia dimostrata l'idoneità dei vizi della comunicazione di avvio a fuorviare o eludere l'esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali (vedi, per tutte: Cass. 24 ottobre 2008, n. 25758).

In altri termini tutta la suddetta evoluzione giurisprudenziale ha la sua matrice comune nel generale principio secondo cui con la L. 23 luglio 1991, n. 223 sono stati previsti puntuali, complete e cadenzate procedimentalizzazioni dei provvedimenti datoriali di licenziamento collettivo, messa in mobilità e cassa integrazione - situazioni che, nonostante la loro diversità, sono poste dal legislatore sullo stesso piano, da questo punto di vista - introducendosi un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatane di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. Pertanto, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale delle diverse operazioni (arg. ex Cass. 3 marzo 2009, n. 5089; Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825; Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541).

È stato anche precisato che la suddetta impostazione non risponde ad un "vuoto formalismo", ma al rispetto della volontà del legislatore che ha posto a base dell'assetto normativo della L. n. 223 del 1991 (anche dopo l'emanazione della normativa regolamentare di cui al D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, vedi: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 5 ottobre 2011, n. 20391; Cass. 9 giugno 2009, n. 13240) la trasparenza dell'esercizio del potere privato del datore di lavoro di assumere "decisioni volte a incidere pesantemente sulla posizione" dei lavoratori (vedi, per tutte: Cass. 7 febbraio 2006, n. 2555 e Cass. 22 marzo 2010, n. 6841), richiedendo l'effettuazione di precise scansioni procedimentali, dirette a tutelare sia l'attività sindacale sia i diritti dei lavoratori (Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302; Cass. SU 27 giugno 2000, n. 461; Cass. 3 maggio 2004, n. 8353; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236).

Conseguentemente :

a) il criterio di scelta dei dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilità, determinato nel rispetto delle procedure previste dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5 non può essere successivamente disapplicato o modificato, travalicando gli ambiti originariamente previsti, non essendo consentito che in tale spazio temporale l'individuazione dei singoli destinatali dei provvedimenti datoriali venga lasciata all'iniziativa ed al mero potere discrezionale dell'imprenditore, in quanto ciò pregiudicherebbe l'interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale (Cass. 22 marzo 2010, n. 6841 cit.);

b) infatti, la cassa integrazione guadagni straordinaria viene autorizzata dal Ministero del Lavoro a seguito dell'approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni dell'impresa importanti l'esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l'attuazione del suddetto programma funzionale all'efficienza produttiva dell'impresa stessa, sicché nel corso della sua durata non è consentito - pena l'invalidità dell'intera procedura di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori - determinare, neppure con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto, un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere, con l'abbandono dei criteri inizialmente previsti nel programma e la contestuale adozione di altri diversi e privi di razionalità e congruità rispetto alla causa integrabile, potendosi operare un mutamento delle regole selettive solo a seguito di un decreto di proroga, volto ad accertare la compatibilità di tale cambiamento con la regolare esecuzione del programma stesso, ovvero a seguito di una distinta domanda di integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativo sulla base di un nuovo e distinto programma (Cass. 23 maggio 2008, n. 13377; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25140).

In questa situazione, ai fini dell'esame della presente fattispecie,non è necessario verificare, nel presente giudizio di cassazione, l'adeguatezza degli accordi sindacali in oggetto a porre rimedio alla mancata ottemperanza degli oneri di comunicazione previsti all'inizio della procedura di messa in cassa integrazione, in quanto la relativa una valutazione effettuata dal Giudice del merito non è censurabile in sede di legittimità, perché è assistita da una motivazione congrua e corretta dal punto di vista logico-giuridico. Si tratta, infatti, di motivazione che, sul punto interessato, risulta fondata su presupposti normativi (con riguardo all'interpretazione delle disposizioni legislative di riferimento e alla considerazione della relativa ratio) e giurisprudenziali corretti, incidenti sull'esame di elementi essenziali della complessa fattispecie sub judice (vedi, per tutte, in tal senso: Cass. 21 dicembre 2010, n. 25851 cit.). Ciò tanto più ove si consideri che nell'interpretazione dei contratti - ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune e quindi gli accordi intervenuti tra imprenditore e sindacati nel corso della procedura di consultazione ai fini dell'eventuale intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria - i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi - tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole - prevalgono su quelli interpretativi-integrativi (Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660; Cass. 8 novembre 2007, n. 23273; Cass. 16 gennaio 1996, n. 318; Cass. 5 marzo 1998, n. 2430). Nella specie anche tale principio risulta essere stato rispettato in quanto dalla lettura degli accordi citati non è possibile desumere - in applicazione del canone di stretta interpretazione letterale di cui si è detto - che la società abbia assunto il preciso impegno di rispettare, in via principale, il criterio della rotazione. È, infatti, evidente che il significato reso palese dalle parole usate è soltanto quello della adozione del criterio della rotazione come semplice eventualità, da attuare in funzione delle esigenze dell'impresa e oltretutto sulla base di parametri scarsamente determinati, certamente non quello della assunzione di tale criterio come regola certa, seppure derogabile. Né l’interpretazione sistematica" può portare ad una diversa conclusione, visto che nell'accordo non sono presenti ulteriori precisazioni né con riguardo all'assunzione dell'impegno della rotazione né in riferimento all'indicazione di adeguati criteri di scelta dei lavoratori da sospendere.

D’altra parte, i suddetti criteri - in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, nonché secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994 - devono essere tali da consentire al giudice di verificare che non vi siano state violazioni del principio di non discriminazione (di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15 e successive modificazioni) e del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) tra i lavoratori e quindi che la tutta procedura sia stata gestita in modo trasparente e affidabile (vedi, per tutte: Cass. 11 maggio 1999, n. 4666; Cass. 24 aprile 2007, n. 9866; Cass. 22 marzo 2010, n. 6841, Cass. 9 giugno 2011, n. 12544).

Ed è pacifico che siano da considerare generici - e, quindi, lesivi dell'obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7 - i criteri di scelta dei dipendenti interessati alla sospensione derivante dalla procedura della c.i.g.s. determinati, come nella specie, facendo esclusivo riferimento alle "esigenze tecnico-organizzative" (riferite, nello specifico, a un non meglio precisato "andamento della ristrutturazione e riorganizzazione" nonché ad altrettanto vaghe "richieste dei volumi produttivi attuali e necessari al mercato di riferimento"), senza ulteriori indicazioni precise delle posizioni lavorative sulle quali la scelta verrà poi concretamente operata in base alla formazione di una graduatoria rigida alla quale il datore di lavoro deve fare esclusivo riferimento, senza alcun margine di discrezionalità, onde consentire anche al singolo lavoratore di operare la prescritta valutazione della coerenza tra il criterio indicato e la selezione effettuata dei lavoratori da sospendere (arg. ex Cass. 26 giugno 2006, n. 14728; Cass. 10 maggio 2002, n. 6765; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1938).

La suddetta violazione - che, nella specie, è del tutto evidente - non può ritenersi sanata dall'eventuale effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, in quanto queste ultime si vengono a trovare in una situazione nella quale devono interloquire sul tema pur senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass. 12 dicembre 2001, n. 26587). La violazione delle indicate disposizioni sulla indicazione e sulla comunicazione alle organizzazioni sindacali di adeguati criteri di scelta del personale da sospendere e di adozione di meccanismi di rotazione nella sospensione - in assenza di comprovate ragioni di ordine tecnico e organizzativo giustificative dell'adozione di precisi meccanismi alternativi alla rotazione determinati ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 8 - comporta - in base a consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte - l’illegittimità del provvedimento concessorio dell'intervento di integrazione salariale e quindi l'illegittimità della sospensione operata dal datore di lavoro dei lavoratori stessi, i quali, vantando una posizione di diritto soggettivo, possono chiedere al giudice ordinario l'accertamento, previa disapplicazione incidenter tantum del provvedimento amministrativo di concessione della c.i.g.s., dell'inadempimento del datore di lavoro in ordine all'obbligazione retributiva alla stregua dell'ordinario regime previsto dall'art. 1218 cod. civ., essendo venuta meno, quale ragione d'esonero dalle conseguenze dell'inadempimento, l’elevazione al livello dell'impossibilità della prestazione delle situazioni di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione industriale (vedi, per tutte: Cass. 20 settembre 2011, n. 19618; Cass. 9 novembre 1998, n. 11263).

La ricorrente pretende, in sostanza, di legittimare ex post il contestato collocamento in CIGS in palese violazione dei principi sopra esposti che obbligano, si ripete, il datore di lavoro alla previa precisa comunicazione dei motivi di tale collocamento e dei precisi e concreti criteri di scelta dei lavoratori.

Il ricorso va dunque rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio da attribuirsi al procuratore del ricorrente dichiaratosi anticipatario.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge da attribuirsi all’avv. F.N.C..