Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 settembre 2015, n. 36929

Reati fiscali - Dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture false - Sequestro delle quote di società di persone - Sussiste in caso di quote liberamente cedibili

 

Ritenuto in fatto

 

1. F.C. ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza emessa in data 9 dicembre 2014 con la quale il tribunale della libertà di Lecco ha rigettato l'appello cautelare che il ricorrente aveva proposto avverso l'ordinanza con la quale il Gip presso il medesimo tribunale aveva rigettato la richiesta di revoca, anche parziale, del decreto di sequestro preventivo emesso nei suoi confronti, avendo colpito, tra l'altro, le quote di sua proprietà nella società F.I. S.a.S., della quale egli era socio accomandatario.

Al ricorrente si contesta in via cautelare il reato previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 per avere, in qualità di legale rappresentante della società CRT S.r.l. e P.P. S.r.|., presentato negli anni tra il 2009 ed il 2013, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, dichiarazioni fraudolente, avvalendosi di fatture emesse dai fornitori E.S. S.r.l, R.T.G. S.r.l., B.R.T. S.r.l., R.P. Srl per operazioni parzialmente inesistenti In quanto i corrispettivi erano indicati in misura largamente superiore a quelli effettivamente versati, in modo che CRT S.r.l. sottraeva a tassazione un imponibile di oltre euro 4.222.000, evadendo conseguentemente l'iva per euro 884.635,24, mentre R.P. S.r.l. sottraeva a tassazione un imponibile di poco meno di euro 4.000.000, evadendo conseguentemente l'iva per euro 810.686,31.

Nel rigettare l'appello cautelare, il tribunale della libertà ha ricordato come il ricorrente avesse evidenziato che, in un precedente procedimento conclusosi con sentenza di assoluzione, era stato dimostrato che egli aveva acquistato dai suoi fornitori (società che curano il marketing di alcune squadre di corse automobilistiche) degli spazi pubblicitari rivendendoli ai propri clienti (sponsor), nell'ambito di operazioni commerciali sicuramente esistenti e dalle quali erano stati realizzati utili economici regolarmente dichiarati e tassati.

Tuttavia, secondo il Collegio cautelare, il Gip, quanto alla provvisoria imputazione elevata nel presente procedimento, aveva ampiamente motivato l'esistenza del fumus, desumendolo dai numerosi elementi di fatto evidenziati dal pubblico ministero (e ampiamente documentati negli atti allegati dallo stesso pubblico ministero in sede di riesame) dai quali era emerso che il ricorrente aveva utilizzato fatture per corrispettivi largamente superiori a quelli effettivi, come comprovato, a titolo esemplificativo, dalla presunta esistenza dei fornitori delle fatture stesse, a cui pure risultavano corrisposti dei supposti corrispettivi anche dopo la loro cessazione, e ciò indusse il Gip a ritenere pienamente soddisfatto il presupposto della configurabilità del reato per il quale si procede.

Sotto altro concorrente profilo, il tribunale cautelare ha osservato come il ricorrente abbia diffusamente trattato la questione della non "pignorabilità" delle quote di società di persone, seguendo un iter argomentativo che non tiene conto della peculiarità del sequestro preventivo "per equivalente", che è invece finalizzato, a differenza di un normale "titolo esecutivo", non solo a colpire il patrimonio proprio dell'indagato, ma anche i beni, di cui il reo abbia la disponibilità, per un valore corrispondente al prezzo o profitto del reato.

Siccome il concetto di disponibilità non include solo i beni di cui l'indagato sia titolare ma tutti I bervi, anche se intestati a terze persone, di cui egli possa disporre "come se" fossero propri, il tribunale cautelare ha ricordato come lo stesso ricorrente avesse dichiarato che lo scopo della società F.I. s.a.s. fosse quello di "mantenere il patrimonio, la compagine e la gestione sodate all'interno di uno stretto regime famigliare", ossia di gestire l'ente direttamente, anche perché l'altro socio altro non era se non la moglie separata dell'indagato.

Egli pertanto, oltre a disporre delle proprie quote, disponeva.in realtà di tutto l'ente. A tale primo elemento di valutazione, il tribunale ne ha aggiunti altri, mutuati dal regime espropriativo regolato dal codice di procedura civile, i cui principi sono stati ritenuti applicabili al caso di specie.

Infine, il Collegio cautelare ha osservato che escludere le quote delle società di persone dal novero dei beni sequestrabili avrebbe come logica conseguenza quella di indurre ogni soggetto che senta la necessità di "nascondere" un patrimonio di origini illecite a rivestirli con la qualifica di "quote".

2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il difensore, articola due complessi motivi di gravame, sostenuti con memoria depositata in data 18 giugno 2015, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale) con conseguente illegittimità del sequestro per carenza del fumus boni iuris sul rilievo che l’accusa fonda sulla erronea asserzione che le fatture delle società fornitrici siano parzialmente false perché "gonfiate" rispetto alle forniture effettivamente eseguite nei confronti delle due società amministrate dall'indagato. Tale asserzione è tuttavia sfornita, secondo il ricorrente, di qualsiasi supporto probatorio a parte una valutazione del tutto soggettiva degli inquirenti basata sulle movimentazioni di "cassa" delle società.

2.2. Con il secondo motivo di gravame il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale) con conseguente illegittimità del sequestro delle quote della F.I. di F.C. e C. s.a.s. sul rilievo, insuperabile in ambito civile, della generale insequestrabilità delle quote di società di persone e, a maggior ragione, di quelle dell’accomandatario nelle società in accomandita, laddove f soci non abbiano previsto la libera accessibilità delle quote.

E' stata presentata memoria con la quale in sostanza si solleva un motivo nuovo.

Si assume che il decreto del gip sarebbe illegittimo ab origine perché non avrebbe disposto il sequestro diretto del profitto presso la società ma esclusivamente quello per equivalente.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è Infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono,

2. Il primo motivo non è consentito in quanto con esso il ricorrente denuncia nella sostanza un vizio di motivazione del provvedimento impugnato, censura non ammessa in sede di controllo di legittimità.

Occorre partire dalla premessa che, sulla base dell'espresso richiamo operato dall'art. 325 cod. proc. pen. all'art. 322-bis cod. proc. pen., vale anche per l'appello cautelare reale il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte in materia di ricorso per cassazione contro i provvedimenti coercitivi reali, secondo il quale l'Impugnazione è ammessa solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).

Come si è in precedenza anticipato (v. sub 1 del ritenuto in fatto), il tribunale cautelare ha preso specificamente in considerazione la tesi difensiva secondo la quale l'indagato avrebbe acquistato dai suoi fornitori (società che curano il marketing di alcune squadre di corse automobilistiche) degli spazi pubblicitari rivendendoli ai propri clienti (sponsor), nell'ambito di operazioni commerciali affermate esistenti e dalle quali sarebbero stati realizzati utili economici regolarmente dichiarati e tassati.

Tuttavia il Collegio cautelare ha ritenuto di configurare il fumus criminis sulla base dei numerosi elementi di fatto (già esaminati in sede di riesame del provvedimento cautelare) dai quali era emerso che il ricorrente aveva utilizzato fatture per corrispettivi largamente superiori a quelli effettivi, come comprovato, a titolo esemplificativo, dalla presunta esistenza dei fornitori delle fatture stesse, a cui pure risultavano corrisposti dei supposti corrispettivi anche dopo la loro cessazione.

A ciò il ricorrente obietta che - qualora esistesse la possibilità di individuare, nel meccanismo descritto dagli inquirenti, violazioni di natura fiscale nel giro d'affari nel quale sono state ritenute coinvolte le società del ricorrente - dette violazioni sarebbero attribuibili alle squadre-corse o alle società che curano il marketing degli spazi pubblicitari, con ciò fornendo una ricostruzione alternativa della vicenda processuale e denunciando cosi un presunto travisamento del fatto che, traducendosi in un vizio di motivazione non radicale, non è ammissibile nel giudizio di legittimità avverso le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 322-bis cod. proc. pen.

Allo stesso modo, analoghi sono i rilievi (v. pag. 12 e 13 del ricorso) circa il fatto che se i racing teams avessero ottenuto i pagamenti per le prestazioni di servizio svolte a favore dei clienti finali delle società del ricorrente, ciò avrebbe significato che de facto le fatture pagate dal ricorrente stesso fossero munite di una effettiva controprestazione in servizi oppure che se il sinallagma fosse stato incontestabilmente provato, occorreva verificare presso coloro che avessero svolto ì servizi fatturati se questi li avessero in effetti fatturati a loro volta, a chi e a quale prezzo oppure che, se tale indagine non fosse stata compiuta, essa si sarebbe potuta compiere anche nel caso in cui il "fornitore" delle società del ricorrente fosse stato una società di pura mediazione, magari nel frattempo "svanita".

Si tratta, con tutta evidenza, di censure fattuali non consentite in sede di controllo di legittimità del provvedimento.

3. Di ben altro spessore è invece il secondo motivo di gravame con il quale, sulla base di diffuse argomentazioni, in precedenza riassunte, il ricorrente esclude che le quote di società di persone possano essere attinte dalla misura cautelare del sequestro preventivo per equivalente.

3.1. La tesi fonda sul rilievo che, in tema di misure cautelari e di impignorabilità di quote di società di persone, la giurisprudenza è pervenuta alla conclusione di ampliare t casi in cui la pignorabilità (e quindi anche l'assoggettabilità a misure cautelari reali in ambito penale) sia consentita in ossequio al principio del "favor creditoris" in virtù della logica di favore per la libertà della tutela degli scambi sottesa da tutto l'impianto normativo.

Sicché, nel tempo, si è passati dall'assunto di una assoluta impignorabilità delle quote di società di persone, fondata essenzialmente sulla loro "immaterialità" e sull'idea che esse raffigurino comunque una mera rappresentazione "astratta" della suddivisione "prò indiviso" dell'adesione ad un unico soggetto economico e giuridico, all'idea della generale pignorabilità anche delle quote di società in nome collettivo e di società in accomandita semplice, a condizione che esse siano state in qualche modo "oggettivate", ossia rese liberamente cedibili dalla volontà di tutti i soci, situazione nella specie non sussistente.

L'espropriabilità delle quote delle società di persone "liberamente" trasferibili è quindi generalmente riconosciuta, sul rilievo che, In tal caso, viene a mancare la ragione che, nelle previsioni del legislatore, ne giustifica l'inesprobiabilità, in deroga al principio, sancito in via generale dall'articolo 2740 codice civile, secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con "tutti" i suoi beni.

Il ricorrente sottolinea che, secondo la giurisprudenza più recente, la pattuizione statutaria circa la libera cedibilità varrebbe ex se a rendere le quote personal* di società non di capitali beni comunque autonomamente valutabili e quindi pignorabili, con la conseguenza che in mancanza di ciò, sia In ambito civile che in ambito penale, le quote di società di persone sarebbero insuscettibili di apprensione coattiva.

Il ricorrente inoltre si confronta con la sentenza n. 34247 del 13 aprile 2012, di questa Sezione, con la quale è stata ammessa, a determinate condizioni, la sequestrabilità delle quote di società di persone, evidenziando come le argomentazioni in essa contenute non sarebbero tali da superare il principio, già compiuto in ambito civile, della generale insequestrabilità delle quote di società di persone e, a maggior ragione, di quelle dell'accomandatario nelle società in accomandita, se i soci non abbiano previsto la libera accessibilità delle quote stesse, violando ogni contraria interpretazione gli articoli 2087, 2252, 2284, 2322, 2270, 2305, 2318, 2322, comma 2, codice civile in riferimento agli articoli 240 e 322-ter codice penale nonché agli articoli 3, 41 42 della Costituzione.

3.2. Questa Corte, come lo stesso ricorrente ricorda, ha affermato il principio di diritto, al quale occorre dare continuità, secondo cui la quota di una società di persone e, in particolare, la quota del socio accomandatario in una società in accomandita semplice, se non liberamente cedibile secondo le pattuizioni statutarie, non può essere, in quanto tale, sottoposta a sequestro penale in costanza del rapporto societario perché l'intuitus personae sul quale si fonda l'esistenza della società verrebbe meno al venire meno della sostanziale qualità di socio in capo al soggetto che amministra la società stessa e che assume su di sé il rischio d'impresa, provocando un danno agli altri soci, quali soggetti terzi del tutto estranei alle ragioni del sequestro. Tuttavia, quando la quota sia stata resa liberamente cedibile dalla volontà di tutti i soci o, in mancanza, quando essa resti, anche dopo il sequestro, in uso al socio che ne sia nominato custode, la stessa può essere assoggettata a sequestro penale, anche per equivalente, e confiscata, dovendo, in questi casi, l'oggetto del sequestro identificarsi nella quota che spetterà al socio all'esito della liquidazione della società (Cass., n. 34247 del 13/04/2012, Brisca Smagra, non mass.).

La Corte è pervenuta a tale conclusione sul rilievo che - dal sistema delineato dagli articoli 2252 (secondo cui il contratto sociale può, nelle società di persone, essere modificato solo con il consenso di tutti i soci), 2284 (secondo cui, nelle società di persone, in caso di morte del socio, gli altri soci devono liquidare la relativa quota o sciogliere la società), 2322 (secondo cui, nella società in accomandita semplice, solo la quota del socio accomandante e non quella del socio accomandatario è trasmissibile per causa di morte o cedibile con il consenso della maggioranza dei soci) - emerge che la quota di una società di persone e, in particolare, la quota del socio accomandatario in una società in accomandita semplice non può essere, in quanto tale, sottoposta a sequestro (Cass. civ., sez. 1, n. 15605 del 07/11/2002, Rv. 558296).

Infatti, la "quota" ha, nell’ambito della società di persone, una valenza diversa da quella che possiede nella società di capitali, perché non è un'entità dotata di una sua oggettività, ma rappresenta soltanto la misura della partecipazione del socio ai diritti e agli obblighi relativi al rapporto sociale, intrinsecamente legata alla persona del socio stesso.

Ne consegue che il sequestro della quota del socio accomandatario deve essere escluso, perché l’intuitus personae sul quale si fonda l'esistenza della società verrebbe meno al venire meno della sostanziale qualità di socio in capo al soggetto che amministra la società e che assume su di sé il rischio d'impresa. Si verificherebbe, in altri termini, un danno per soggetti terzi del tutto estranei alle ragioni del sequestro, quali gli altri soci.

Il rapporto sociale in questione è però disciplinato anche dagli artt. 2270 e 2305 cod. civ., che, pur impedendo al creditore particolare del socio di sostituirsi a questo nella posizione di socio, lo autorizzano a far valere le sue ragioni sulla quota spettante al socio stesso all’esito della liquidazione. Da tali disposizioni si desume che la quota del socio, pur non potendo essere sequestrata in costanza del rapporto societario, può, tuttavia, essere sottoposta ad esecuzione forzata all'esito della liquidazione della società.

Né a tale conclusione può opporsi che, prima della liquidazione della società, il patrimonio di quest’ultima e, di riflesso, le quote dei soci potrebbero sostanzialmente perdere di valore, perché un tale rischio non costituisce una conseguenza specifica della tipologia del sequestro disposto, essendo immanente ad ogni misura cautelare l’eventualità di non riuscire ad assicurare, in concreto, gli effetti del provvedimento definitivo.

3.3. Al cospetto di tale ineccepibile interpretazione - conforme al regime civilistico, adeguata alle esigenze penalistiche e, in ultima analisi, costituzionalmente orientata nella misura in cui opera il bilanciamento degli interessi tra le ragioni dei soci estranei al reato e le finalità di politica criminale sottese alla confisca di valore, rendendo perciò l'interpretazione stessa immune da qualsiasi rilievo di costituzionalità - la radicale impostazione del ricorrente non può quindi essere condivisa nella sua assolutezza perché elude del tutto le ragioni della tutela penalistica che, sebbene vadano contemperate con la natura giuridica del bene oggetto del sequestro penale, non possono, sulla base di una sovrapposizione non ammissibile, essere ritenute del tutto recessive rispetto al regolamento civilistico dell’istituto.

A questo proposito, va ricordato che le quote sociali, anche nelle società di persone, costituiscono beni nel senso dell'art. 810 cod. clv. in quanto suscettibili dì formare oggetto di diritti e vanno ascritte residualmente alla categoria dei beni mobili a norma del successivo art. 812 ultimo comma, atteso che alla quota fanno capo (insieme con i relativi doveri) tutti i diritti nei quali si compendia lo status di socio, non riducibili a mere posizioni creditorie (Cass, civ., Sez. 2, n. 934 del 30/01/1997, Rv. 502138).

Va anche ricordato che il principio dell’autonomia patrimoniale ha valenza soltanto in ambito civilistico e non si estende automaticamente alla sede penale.

Nella logica penalistica, infatti, la sola condizione - per la quale i beni, e dunque anche quelli formalmente intestati a persone diverse dall'indagato, possono essere aggrediti - è quella della disponibilità, di fatto, da parte dell'imputato, anche attraverso terzi.

L’accertamento di tale ineludibile presupposto, ove adeguatamente motivato, è frutto di una valutazione di merito che sfugge al sindacato di legittimità.

Peraltro, nel caso di specie, la ritenuta disponibilità in capo al C della quota non è contestata ed il sequestro della quota del socio accomandatario - in base a quanto emerge dagli atti e dal testo del provvedimento impugnato - è avvenuto senza che sia stato nominato un amministratore della quota stessa, con la conseguenza che l’intuitus personae su cui si fonda il patto sociale non è venuto meno per il solo fatto del sequestro.

Né la funzione cd. "prenotativa" dello Stato su beni suscettibili di confisca può ritenersi, come sbrigativamente assume il ricorrente, estranea all'oggetto della cautela penale, dovendosi considerare che, In siffatti casi, gli effetti della confisca retroagiscono certamente al momento del sequestro, secondo la ratio dell'art. 2906 cod. civ. che estende al creditore sequestrante la tutela riservata al creditore pignorante (Cass. civ., Sez. 3, n. 3348 del 21/04/1990, Rv. 466780 e Cass. civ., Sez. 1, n. 2718 10/01/2007, Curatela fall. Tecnomarmi Export di A. Rosito sas, non mass.). Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.