Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 settembre 2015, n. 17768

Lavoro - Distacco - Mansioni di direttore generale - Qualifica dirigenziale - Riconoscimento

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Roma, lo X., dipendente della società T.A.S.I., chiedeva il riconoscimento del suo diritto alla qualifica di dirigente di primo livello dal febbraio 2000, o in subordine dal mese di luglio 2001, con condanna della società convenuta all'adibizione delle relative mansioni, oltre che al pagamento delle conseguenti differenze retributive in base al c.c.n.l per i dirigenti da imprese industriali, ed al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale.

Il Tribunale rigettava la domanda. Proponeva appello il lavoratore.

Resisteva la società.

Con sentenza depositata il 30 luglio 2013, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava il diritto dello X. all'inquadramento quale dirigente con decorrenza 22.4.2001 e condannava l'appellata al pagamento delle relative differenze retributive secondo le previsioni del c.c.n.l. dei dirigenti di aziende industriali con decorrenza 22.1.2001, oltre rivalutazione monetaria sui singoli crediti ed interessi in misura legale, nonché ad attribuirgli mansioni corrispondenti alla categoria dirigenziale. Compensava integralmente tra le parti le spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato ad unico motivo, poi illustrato con memoria.

Resiste lo X. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Deve pregiudizialmente respingersi l'eccezione di inammissibilità del presente ricorso, per essere in tesi la sua notifica inesistente, in quanto effettuata presso i procuratori costituiti, ma presso un domicilio diverso da quello risultante dall'intestazione della sentenza impugnata.

Deve infatti osservarsi che tale vizio non comporta l'inesistenza ma la nullità della notifica che dunque ben potrebbe essere rinnovata (da ultimo, Cass. ord. n. 22079 del 17/10/2014). Deve poi rimarcarsi che la tempestiva costituzione dello X. in questo giudizio sana ogni possibile vizio della notifica del ricorso (da ultimo, Cass.ord. n. 2726 del 11/02/2015; Cass. n. 15236 del 03/07/2014).

Venendo pertanto al merito si osserva.

1. -La società ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2103, 2095 e 2697 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

Lamenta che la Corte di merito non considerò adeguatamente che le mansioni di direttore generale, formalmente attribuite al lavoratore dalla società ellenica H.C.S.A. (ove lo X. venne distaccato da A.), non potevano comportare il riconoscimento della qualifica (categoria) dirigenziale ex art. 2103 c.c. nei confronti di essa ricorrente, non essendo stato provato l'effettivo svolgimento di mansioni dirigenziali da parte del lavoratore distaccato, né essendovi omogeneità di tali presunte mansioni con quelle svolte in precedenza presso la distaccante (direttore tecnico, con compiti di studio e sviluppo di specifici programmi). Evidenzia che l'esercizio di tali più ampi poteri (di direttore generale) non emergevano, a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, neppure dalle delibere della H.C.S.A., prima ancora che provato in punto di fatto, sotto tale ultimo profilo anzi smentito dalle testimonianze escusse.

2. - II ricorso è in parte inammissibile e per il resto infondato.

Giova premettere che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. II discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

Nella specie è evidente che, almeno in larga parte, la censura in esame (recante la violazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) è diretta a contestare un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, sottoponendo peraltro inammissibilmente a questa Corte una nuova valutazione delle stesse. Ed invero vengono contestati accertamenti di fatto compiuti dalla Corte di merito (circa la riferibilità anche ad A. delle mansioni svolte dallo X. in Grecia; circa la natura dirigenziale dei compiti affidati al lavoratore; il concreto svolgimento di tali mansioni, ritenuto dalla Corte di merito confermato anche dalla reiterazione degli ampi poteri rappresentativi e decisionali da parte di H.C.S.A., nonché dalle testimonianze raccolta, di cui del resto la stessa ricorrente si limita a fornire una diversa, e generica, ricostruzione, pag. 18 ricorso).

Occorre peraltro evidenziare che l'esercizio dei poteri di direttore generale, emergevano, come evidenziato dalla Corte di merito ed a differenza di quanto ritenuto dalla ricorrente, dalle delibere della H.C.S.A., e del resto la stessa società T.A. ammette, a pag. 18 del ricorso, che vi fu una formale nomina dello X. quale direttore generale della società nel gennaio 2001.

La censura si risolve dunque in larga parte nella denuncia di un vizio motivo, possibile, in base al novellato testo di cui al n. 5 del primo comma dell'art. 360 c.p.c. (applicabile nella specie ratione temporis) solo in caso di omesso esame circa un punto decisivo della controversia.

Deve infatti rilevarsi che la doglianza inerente il vizio di motivazione non rispetta il novellato n.5 del comma 1 dell'art. 360 c.p.c., limitato, per le sentenze impugnate pubblicate dall'11 settembre 2012, all'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio dall'art. 54, comma 1, lett.b) del d.l. n. 83\12, convertito in L. 7 agosto 2012 n. 134.

A tal riguardo le sezioni unite di questa Corte hanno affermato che "..Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà quindi indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso" (Cass. sez.un. 7.4.14 nn. 8053\4, Cass. sez.un. 22 settembre 2014 n. 19881).

Nella riformulazione dell'art. 360, n. 5 c.p.c. è scomparso dunque ogni riferimento letterale alla "motivazione" della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione, non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall'art. 132 c.p.c., n.4, la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione".

Pertanto, l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sé, su un fatto storico decisivo, e si esaurisce dunque nella mancanza assoluta di motivi o nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (Cass. sez.un. n.8053\14).

Nella specie è evidente che il fatto storico consiste nello svolgimento di mansioni dirigenziali da parte dello X., circostanza ampiamente esaminata dalla Corte di merito alla luce delle risultanze istruttorie.

3. -Per completezza espositiva può poi evidenziarsi che, salvo il caso, non dedotto nella specie, in cui il distacco faccia sorgere un distinto ed autonomo rapporto con l'impresa distaccataria (su cui cfr. Cass.5.11.13 n. 24770, Cass. 6.6.13 n. 14314), il distacco del lavoratore (legislativamente disciplinato solo con l’art.30 del d.lgs. n. 276\03, inapplicabile ratione temporis, pur avendo in precedenza il legislatore ad esso talvolta fatto riferimento, cfr. art. 8, comma 3, D.L. 20 maggio 1993, n. 148, conv. in L. 19 luglio 1993, n. 236, e quindi con il D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 7, comma 2, conv. in L. 9 agosto 2013, n. 99, in caso di distacco di personale tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa, D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, ex art. 3, comma 4-ter, conv. in L. 9 aprile 2009, n. 33, parimenti irrilevante nella specie) non comporta una novazione soggettiva e l'insorgenza di un nuovo rapporto con il beneficiario della prestazione lavorativa (cfr. per tutte Cass. sez.un. ord. 11.12.07 n. 25839), ma solo una modificazione nell’esecuzione dello stesso rapporto, nel senso che l’obbligazione del lavoratore di prestare la propria opera viene (temporaneamente) adempiuta non in favore del datore di lavoro ma in favore del soggetto presso il quale il datore medesimo ha disposto, nel suo interesse (ex aliis, Cass. 25.11.10 n. 23933), il distacco del dipendente (Cass. 21.11.13 n.26138, Cass. 6.6.13 n. 14314), cui sono delegati temporaneamente i connessi poteri direttivi e disciplinari (id est, i poteri funzionali all'inserimento del lavoratore distaccato nella propria struttura aziendale, Cass. 22.3.07 n.7049).

Come recentemente affermato da questa Corte (sent. 22.1.2015 n.1168, Cass. 15.5.12 n. 7517), la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all'assunzione del lavoratore e l'effettivo beneficiario della prestazione (distacco o comando) è consentita proprio nella misura in cui continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante, nel senso che il distacco realizzi uno specifico interesse imprenditoriale che consenta di qualificare il distacco medesimo quale atto organizzativo dell'impresa che lo dispone, restando questa evidentemente responsabile del rapporto, così come, deve precisarsi, dell'esercizio del potere direttivo temporaneamente delegato (nei limiti chiariti) all'impresa distaccataria.

Ne consegue che, laddove si tratti, come nel caso di specie, di distacco con permanenza in capo al datore di lavoro distaccante del potere direttivo e di determinare la cessazione del distacco stesso (nonché di disporre il licenziamento del lavoratore distaccato, Cass. 22.3.07 n. 7049), in caso di adibizione del dipendente a mansioni superiori presso il distaccatario, in capo al distaccante si verificheranno le conseguenze di cui all’art. 2103 cod.civ. (Cass. 17.2.04 n.3097, Cass. 5.4.06 n.7971), a differenza di quanto accade in caso di comando in materia di pubblico impiego (dr. da ultimo, Cass. 29.8.14 n. 18460).

Deve infatti chiarirsi che, essendo il distacco disposto nell'interesse del datore di lavoro distaccante, persistendo il rapporto di lavoro, sia pur con le modificazioni dette, con il lavoratore distaccato, con permanenza in capo al distaccante del generale potere direttivo, grava su quest'ultimo l'onere di vigilare sulla esecuzione del rapporto di lavoro presso il distaccatario. Ne consegue che le modifiche soggettive e funzionali del rapporto, in particolare quanto alle mansioni del lavoratore ed al suo inquadramento, disposte dal distaccatario, non possono non incidere sul rapporto di lavoro in essere unicamente tra il lavoratore distaccato e l'impresa distaccante, restando il rapporto di lavoro disciplinato dalle regole applicabili al datore distaccante (Cass. 6.6.13 n.14314).

4. -Quanto poi alla omogeneità delle mansioni svolte presso la distaccataria (su cui cfr. Cass. 20.6.90 n.6181, Cass. n. 15.7.09 n. 16476), non può ritenersi che le mansioni di direttore generale non siano omogenee rispetto alle mansioni di direttore tecnico, trattandosi di mansioni lato sensu manageriali, e rilevando sotto tale profilo solo l'eventuale svolgimento di mansioni assolutamente diverse da quelle assegnate al dipendente presso la distaccante.

5. - II ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non sussistono poi i presupposti per la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., di cui del resto lo stesso controricorrente istante non fornisce alcun elemento di valutazione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.3.500,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.