Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 settembre 2015, n. 17773

Previdenza e assistenza - Pensione anzianità - Errato calcolo dell’Inps - Risarcimento al contribuente - Dovuto

Svolgimento del processo

 

La Corte di Appello dell'Aquila, in riforma della sentenza del Tribunale di Avezzano, rigettava la domanda di BF, proposta nei confronti, dell'INPS avente ad oggetto la condanna di controparte al risarcimento del danno derivatogli dalla mancata percezione del trattamento pensionistico, a causa dell'erronea comunicazione per eccesso da parte dell'Istituto del numero dei contributi accreditatogli. A base del decisum la Corte del merito poneva il fondante rilievo secondo il quale il prospetto contributivo, sul quale l'assicurato fondava la propria domanda, era costituito da una mera stampa di dati risultanti dall'archivio informatico dell'ente previdenziale privo di funzione certificativa e di sottoscrizione che, per il richiesto ausilio del P, non poteva indurre in errore il lavoratore circa l'effettiva valenza del documento per quanto riguardava le duplicazioni dei versamenti e la loro utilizzabilità. Né la Corte territoriale mancava di sottolineare che si trattava di dati ben conoscibili e riconoscibili dal lavoratore corrispondendo gli stessi al suo "vissuto". Avverso questa sentenza l'assicurato ricorre in cassazione sulla base di un’unica censura, illustrata da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata.

 

Motivi della decisione

 

Con l'unico motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt.1175, 1176, 1218, 1227, 2043 cc, 51 e 78 rd n. 1422 del 1924 nonché 54 della legge n. 88/89, pone il seguente interpello: 2. "se, nel caso in tre successivi estratti contributivi rilasciati in automatico, a richiesta dell'assicurato al fine di conoscere la durata del periodo di mobilità, durante il quale il datore di lavoro s'impegnava a garantire un trattamento integrativo, attribuiscano alle 26 settimane di contribuzione comprese tra il 1 luglio 1974 ed il 31 dicembre 1974 effettivi utili sia per il diritto che per la misura della pensione, anziché per la sola misura, l'ente previdenziale sia tenuto a rispondere del danno per violazione degli obblighi contrattuali, risentito dall'assicurato per aver aderito - a seguito di errate informazioni circa la circostanza della sua posizione contributiva - ad essere messo in mobilità, e per aver stipulato un accordo con il datore di lavoro che garantiva l'integrazione del trattamento di mobilità per 11 mesi, anziché 23 mesi necessari a perfezionare il requisito contributivo richiesto per l'accesso alla pensione di anzianità, perdendo, per la durata dei restanti 12 mesi, l'integrazione garantita dal datore di lavoro, commisurata alla differenza tra l'indennità percepita e la pensione maturanda".

La censura è fondata.

Ritiene il Collegio di dare continuità giuridica al principio espresso,con riferimento da una fattispecie simile a quella per cui è causa, dalla sentenza n.21454 del 21 settembre 2013 secondo cui nell’ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia fornito all'assicurato, mediante il rilascio di estratti conto assicurativi, contenenti risultanze di archivio e pur se privi di sottoscrizione, una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione di anzianità, il danno sofferto dall’interessato per la successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, è riconducibile non già a responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, in quanto fondata sull'inadempimento dell'obbligo legale gravante su enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.), di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall'art. 38 Cost.), fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativi. La buona fede quale criterio di comportamento opera, infatti, come osservato condivisibilmente da questa Corte nella citata sentenza del 2013, non soltanto in rapporti obbligatori di diritto privato ma anche in quelli tra pubblici poteri e cittadini. La stessa, invero, esprime un principio costituzionale non scritto ma ricavato dall'art. 3 cpv. Cost., e vincola la pubblica amministrazione a rispettare, così nell'esercizio dei poteri autoritativi come nell'ambito dei rapporti contrattuali, l’affidamento e l'attendibilità delle sue dichiarazioni. Sussiste perciò l'obbligo, a carico dell’Amministrazione, di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi indisponibili, tra l'altro fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative. Queste ultime, in particolare, non sono conformi a correttezza in quanto rese da enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, nonché incidenti su interessi al conseguimento e godimento di beni essenziali della vita, come quelli garantiti dall'art. 38 Cost. La provvisorietà o comunque incertezza dei dati raccolti deve distogliere l’ente pubblico dal comunicarli in qualsiasi forma, fino al sollecito perfezionamento dei necessari accertamenti. Il cittadino, che riceve un danno ingiusto da dichiarazioni non veritiere rese da una pubblica amministrazione, deve essere risarcito in misura diminuita ai sensi dell’art. 1227 cpv .c.c., qualora abbia trascurato le espressioni cautelative usate dalla medesima e idonee a far dubitare dell'esattezza dei dati esposti. Né a tale conclusione osta l'art. 54 della legge n. 88/89, come sostenuto dall'INPS nella orale discussione, operando tale norma sull'esclusivo versante del potere certificativo riconosciuto all'Istituto previdenziale e sul conseguente valore probante del certificato rilasciato nell'esercizio di siffatto potere, mentre nella specie viene in evidenza l’esercizio dei poteri autoritativi dell'INPS e la connessa attendibilità delle informazioni fornite e l'affidamento che su esse il cittadino ripone proprio perché provenienti dal soggetto pubblico cui è demandata la fondamentale funzione di assicurare la realizzazione della tutela previdenziale ed assistenziale costituzionalmente garantita come un diritto fondamentale della persona. La sentenza impugnata, espressione di un diverso principio va, pertanto, cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma la quale valuterà, altresì, il comportamento dell'assicurato sotto il profilo di cui al richiamato art. 1227 cpv. c.c.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Roma.