Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 settembre 2015, n. 17516

Interposizione fittizia di manodopera - Obbligo contributivo - Committente ed appaltatore - Responsabilità

 

Svolgimento del processo

 

La S.p.A. C.I. (già C. s.r.l.) ha proposito opposizione avverso la cartella esattoriale con la quale le era stato chiesto il pagamento, a favore dell’INPS, della somma di € 47.886,56 a titolo di contributi e sanzioni.

La pretesa contributiva treava origine da un verbale ispettivo dal quale era emerso che il contratto di appalto di manodopera stipulato dalla società con la cooperativa I. - erano stati da questa avviati alla società sei lavoratori per opere di pulizia e facchinaggio - in realtà configurava una interposizione fittizia di persone e che, conseguentemente, i lavoratori dovevano ritenersi alle dipendenze non già della cooperativa ma della società, con i relativi obblighi contributivi.

L'opposizione è stata respinta dal giudice di primo grado e tale decisione è stata confermata con sentenza depositata il 5 febbraio 2009 dalla Corte d’appello di Brescia, la quale ha ritenuto che dalle risultanze istruttorie era emerso che i lavoratori forniti dalla cooperativa prestavano la loro attività con attrezzatura della committente ed erano sottoposti alle direttive e al controllo dei responsabili di quest’ultima; che l’orario di lavoro dei soci della cooperativa era uguale a quello svolto dai dipendenti della società; che non vi era alcun rischio economico a carico della società cooperativa, da cui formalmente dipendevano i lavoratori avviati alla committente; che ricorreva quindi una ipotesi evidente di interposizione fittizia di manodopera, con conseguente obbligo della società opponente del pagamento dei relativi contributi; che era infondato al riguardo il motivo di gravame con il quale era stato sostenuto che l’INPS avrebbe dovuto tener conto dei contributi versati dal datore di lavoro fittizio, i quali dovevano essere detratti dal complessivo ammontare dovuto.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la società sulla base di quattro motivi. L’INPS ha rilasciato procura al difensore, il quale ha partecipato alla discussione.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, denunciando falsa applicazione dell’art. 1180 cod. civ., la ricorrente deduce che il pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro apparente ha valenza satisfattiva.

Aggiunge che, pur risultando che i soci lavoratori avevano una regolare posizione previdenziale e che la cooperativa aveva provveduto al pagamento dei relativi contributivi, la Corte di merito ha ritenuto che tale pagamento non avesse effetto estintivo, totale o parziale, della pretesa contributiva.

2. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 24 D. Lgs. n. 46 del 1999, la ricorrente lamenta che l’INPS, nell’iscrivere a ruolo il credito, ha omesso di precisare le modalità di determinazione dello stesso e di tenere conto dei versamenti mensili ricevuti dalla società cooperativa a titolo di contributi per i lavoratori in questione.

3. Con il terzo motivo, denunciando insufficiente motivazione, la ricorrente rileva che la Corte d’appello, erroneamente valutando le risultanze della prova testimoniale, ha ritenuto fondata la pretesa dell’INPS, nonostante per quattro dei sei lavoratori non fosse stata fornita alcuna prova circa la natura subordinata del rapporto intrattenuto con essa ricorrente. Nessun teste, infatti, aveva fatto riferimento alla posizione dei predetti quattro lavoratori né essi erano stati nominativamente indicati. Peraltro dall’istruttoria non era emerso un chiaro riferimento ad elementi di vera e propria subordinazione dei soci lavoratori nei confronti della S.p.A. C., subordinazione che non poteva discendere dagli atti di coordinamento organizzativo connaturati alla posizione del committente.

4. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando omessa motivazione, lamenta che la sentenza impugnata ha tratto elementi decisivi per il giudizio dalle deposizioni dei soci lavoratori, nonostante costoro fossero incapaci di testimoniare, posto che era in discussione un rapporto di lavoro ai quali i medesimi erano interessati.

Su tale questione, aggiunge la ricorrente, la Corte di merito ha omesso di pronunciarsi.

5. Il terzo e il quarto motivo, che sotto il profilo logicogiuridico devono essere trattati per primi, non possono trovare accoglimento.

Quanto al terzo, esso pone in discussione gli accertamenti e le valutazioni eseguiti dalla Corte territoriale e prospetta una diversa lettura della prova testimoniale, chiedendo sostanzialmente un riesame della vicenda, senza considerare che il ricorso per cassazione non introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata e che non è consentito alla Corte di cassazione riesaminare e valutare il merito della causa ovvero effettuare nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto.

In particolare, del tutto infondato è l'assunto della ricorrente secondo cui non sarebbe stata chiarita dai testi escussi la posizione di quattro lavoratori (su sei), risultando dalla sentenza impugnata che la Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva della prova con riguardo a tutti i soci lavoratori, rimarcando il loro "inserimento nell’attività specifica della committente, l’assoggettamento alle direttive ed al controllo dei preposti dalla stessa all’interno dello stabilimento della committente, con utilizzo di materiali, attrezzature di questa a stretto contatto con i suoi operai", ed evidenziando che "la stessa funzionaria della Direzione del Lavoro, M.A. precisato di avere personalmente constatato che i lavoratori della cooperativa stavano facendo lo stesso lavoro dei dipendenti della C. al momento del suo accesso nello stabilimento".

Quanto al quarto motivo, deve rilevarsene l'inammissibilità sotto un duplice profilo.

In primo luogo, la censura è dedotta sotto il profilo del vizio di motivazione (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) e non già sotto quello di omessa pronuncia (art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 4. In secondo luogo, essa introduce una questione (incapacità a testimoniare dei soci lavoratori) che non risulta affrontata dalla sentenza impugnata e dai motivi di appello, risultando dalla trascrizione del relativo motivo di gravame, contenuta nel ricorso, che in quella sede vennero contestate le conclusioni ispettive sotto il profilo che i verbalizzanti non avevano "assistito direttamente ai fatti", senza far questione circa la incapacità a testimoniare dei soci della cooperativa.

6. Sono invece fondati il primo ed il secondo motivo, anch'essi da trattare congiuntamente in quanto connessi.

Le questioni sollevate dalla ricorrente sono state già esaminate da questa Corte che, a più riprese, ha ritenuto che, nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono i primi tre commi dell’art. 1 L. n. 1369 del 1960, la nullità, per illiceità dell'oggetto e della causa, del contratto fra committente ed appaltatore o intermediario e la previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - comportano che solo sul committente (o interponente), e non anche sull'appaltatore (o interposto), gravano gli obblighi in materia di assicurazioni sociali nati dal rapporto di lavoro, senza che la (concorrente) responsabilità di quest'ultimo possa essere affermata in virtù dell'apparenza del diritto e dell'affidamento dell'INPS nella situazione di apparente titolarità del rapporto di lavoro (cfr., ex plurimis, Cass. n. 463/12; Cass. 23844/11; Cass., n. 5901/99; Cass. Sez. Un. n. 22910/06; Cass., n. 2372/07).

Al contempo la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare che, in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell’art. 1180 cod. civ., comma 1, nonché dallo stesso datore di lavoro fittizio, senza che abbia rilevanza la consapevolezza dell’altruità del debito, atteso che, nell'ipotesi di pagamento indebito dal punto di vista soggettivo, il coordinamento tra gli artt. 1180 e 2036 cod. civ., porta a ritenere che sia qualificabile come pagamento di debito altrui, ai fini della relativa efficacia estintiva dell'obbligazione (con le condizioni di cui all’art. 2036 cod. civ., comma 3), anche il pagamento effettuato per errore (cfr., ex plurimis, Cass. n. 12509/04; Cass. n. 12735/06; Cass. n. 1666/08; Cass. n. 3707/09).

Più in particolare è stato osservato che "L'applicazione del principio ora esposto all'ipotesi dei contributi pagati dal datore di lavoro fittizio comporta l'irripetibilità da parte sua dei contributi già versati (così come delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori), poiché non può considerarsi scusabile l'eventuale errore sull'identità dell'effettivo debitore di chi è corresponsabile della violazione della L. 1369 del 1960, art. 1, peraltro sanzionata come contravvenzione dall'art. 2" (cfr. Cass. n. 12509/04 cit., in motivazione).

In adesione a tali principi, cui va data continuità, i motivi in esame devono essere accolti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio, per il riesame, al giudice indicato in dispositivo, il quale, nell’adeguarsi ai criteri sopra enunciati, dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi due motivi del ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano.