Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 agosto 2015, n. 16399

Tributi - Elusione fiscale - Transfer pricing - Confronto dei prezzi dei prodotti - Limiti

 

Ritenuto in fatto

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti della A.L.I. spa, già A.l. spa, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4/41/2009, depositata in data 26/01/2009.

La controversia concerne l’impugnazione di due avvisi di accertamento, notificati, rispettivamente, nel dicembre 2002 e nel dicembre 2003, per maggiori IRPEG ed ILOR dovute negli anni 1997 e 1998 e per maggiore IVA dovuta nell'anno 1998, atti tutti fondati su di un processo verbale di constatazione del 2001 e recanti rettifica delle perdite dichiarate dalla società, in esito al recupero a tassazione di alcune componenti negative del reddito, ritenute dall'Amministrazione finanziaria indeducibili (quote di ammortamento dell'avviamento e di maggiori valori iscritti nel conto immobilizzazioni tecniche, conseguenti al disavanzo della fusione, nel 1991, tra T. spa, poi divenuta A.l. spa, incorporante, ed A.F. spa, incorporata e già totalmente partecipata da T., per effetto dell'acquisto della totalità delle partecipazioni, pochi mesi prima della fusione, dalla società di diritto olandese A. svalutazioni su partecipazione azionaria nella A.F. spa, non di competenza degli esercizi nei quali erano state operate le variazioni in diminuzione; costi relativi ad operazioni inesistenti), e di maggiori ricavi non contabilizzati, per cessioni di beni e prestazioni di servizi a consociate estere, rideterminati nel prezzo dall'Ufficio con riguardo al loro valore normale, nonché la ripresa a tassazione, per l'anno 1998, ai fini IVA, del costo di alcuni servizi, di consulenza e ricerca, resi alla francese A. S.A., ritenuti dall'Ufficio soggetti ad imposizione in Italia, ai sensi dell'art. 7 comma 3" DPR 633/1972, e del valore di alcune operazioni commerciali ritenute inesistenti. Con la sentenza impugnata in questa sede, sono state confermate le decisioni di primo grado, che avevano accolto i distinti ricorsi della contribuente, essendo stati respinti sia gli appelli dell'Agenzia delle Entrate, sia l'appello incidentale della società.

In particolare, i giudici della Commissione Tributaria Regionale, riuniti i separati gravami avverso le due sentenze, hanno sostenuto che: 1) gli avvisi di accertamento sono congruamente motivati, come già ritenuto in primo grado, avendo l'Ufficio operato un richiamo per relationem al contenuto del processo verbale di constatazione noto alla parte perché ad essa notificato ed avendo quest'ultima ben compreso le ragioni della pretesa fiscale, come dimostrato dalla difesa svolta nei giudizi; 2) con riguardo ai rilievi, presenti in entrambi gli avvisi di accertamento, relativi alla ripresa a tassazione dei maggiori ricavi conseguenti a cessioni di beni e prestazioni di servizi in favore di consociate estere, effettuate a prezzi inferiori rispetto al valore normale dei medesimi beni e servizi (c.d. "transfer pricing"), determinato dall'Ufficio, gli stessi devono essere annullati, in quanto non può ritenersi raggiunta la prova che le transazioni poste in essere dalla contribuente con le sue consociate estere siano avvenute a prezzi inferiori al normale, essendo i prodotti e servizi, "ad altissima tecnologia", forniti da A. "ciascuno dei quali doveva essere progettato ed adattato alle esigenze del cliente", insuscettibili di essere "confrontati tra loro" e presupponendo, invece, il confronto di cui all'art. 9 del TUIR "beni e servizi della stessa specie o similari, al medesimo stadio di commercializzazione"; 3) parimenti vanno annullate le riprese a tassazione consistenti nel disconoscimento delle quote di ammortamento dell'avviamento per disavanzo di fusione per incorporazione, dell'ottobre 1991, in quanto, sulla base della disciplina vigente ratione temporis, dettata dall'art. 10 l. 408/1990, difettano i tre necessari presupposti (l'assenza di valide ragioni economiche, lo scopo esclusivo di ottenere un risparmio di imposta e l'intento fraudolento), essendo l'operazione di fusione per incorporazione posta in essere "perfettamente lecita" (e pur se posta in essere, l'anteriore acquisizione totalitaria delle partecipazioni in A. da parte di al fine di conseguire un risparmio d'imposta), non potendosi dedurre, nel concreto, che essa sia stata rivolta allo scopo esclusivo di ottenere un risparmio di imposta ed in assenza di valide ragioni economiche, tanto che, con detta fusione, si è effettivamente attuata una strategia industriale di unificazione delle diverse attività, sia pure con un certo ritardo, essendo emersi i primi effetti concreti di integrazione economica delle due società fuse solo nel 1996; 4) le ulteriori riprese a tassazione, nei due anni, delle svalutazioni operate dalla società su di una partecipazione azionaria posseduta, contestate dall'Ufficio perché le perdite si sarebbero verificate nell'anno precedente a quello nel quale sono state evidenziate, sono parimenti illegittime, essendo, da un lato, "facoltà dell'imprenditore rimandare nel tempo una svalutazione già verificatasi" e risultando, dall'altro lato, che le perdite sono divenute certe e definitive proprio negli anni in cui sono state operate le svalutazioni ("la prima a seguito dell'approvazione del bilancio al 31 dicembre 1996 della società partecipata" e "la seconda a seguito dell'omologazione ('avvenuta nel 1998) della delibera di riduzione del capitale sociale della stessa società"); 5) altre riprese a tassazione, per il solo anno 1998, dei costi relativi ad alcune fatture, a carico della contribuente, emesse per operazioni commerciali ritenute inesistenti, vanno annullate, per mancata prova della falsa fatturazione, da un lato, non potendo "eventuali irregolarità contabili del fornitore... a vere effetti negativi per l'acquirente" e, dall'altro lato, non potendo "una ipotetica e non dimostrata falsa fatturazione di un anno prima ...comportare l'automatica falsità di una fattura dell'anno successivo" (peraltro, "analoghe riprese fiscali, relative a fatturazioni per operazioni inesistenti, operate dall'Ufficio negli anni precedenti", sono già state annullate con sentenze passate in giudicato) ; 6) in ultimo, anche il rilievo, riguardante il mancato assoggettamento ad IVA delle prestazioni di consulenza tecnica fatte dalla contribuente a favore della consociata francese A. va annullato, risultando dal contratto stipulato tra le parti che la contribuente si impegnava ad effettuare a favore della consociata estera una attività di consulenza ed assistenza tecnica, relativa a ricerca, sviluppo, ingegneria, protezione di brevetti, prestazioni queste non derivanti da un contratto di appalto e dunque "fuori dal campo IVA in Italia".

L'intimata A. ha depositato controricorso e ricorso incidentale condizionato, affidato a quattro motivi.

La stessa A ha altresì depositato memoria ex art.378 c.p.c., corredata da documenti.

 

Considerato in diritto

 

1. L'Agenzia delle Entrate, ricorrente principale, lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell'art. 76 comma 5° TUIR, nella numerazione vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 244/2003, in relazione al capo della decisione che ha statuito sui rilievi, riferiti ad entrambi gli anni d'imposta, 1997 e 1998, aventi ad oggetto la ripresa a tassazione dei ricavi derivanti dalle cessioni a società collegate di beni ad un prezzo inferiore al normale (c.d. transfer pricing) , avendo ì giudici della C.T.R. tenuto che gravasse sull'Amministrazione l'onere di fornire elementi ulteriori a sostegno della propria pretesa, malgrado la contribuente non avesse fornito sia un metodo alternativo di comparazione sia gli elementi necessari per il calcolo del valore normale dei beni ceduti sul quale eseguire la verifica; 2) con il secondo motivo, l'insufficiente motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., sul fatto controverso e decisivo rappresentato dall'identità, o comunque similarità, dei prodotti appartenenti alla medesima famiglia sui quali i verificatori avevano eseguito il raffronto dei prezzi praticati alle consociate estere ed ai soggetti terzi; 3) con il terzo motivo, l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, ex art.360 n. 5 c.p.c., sul capo della sentenza concernente, sia per il 1997 sia per il 1998, la ripresa a tassazione delle quote di ammortamento del valore di avviamento derivante dall'intervenuta fusione per incorporazione della A.F. nella soc. T. e del maggior valore attribuito alle immobilizzazioni tecniche, dedotte come componenti negative da A.l. difettando, nella valutazione operata dai giudici d'appello, una valutazione complessiva dell'operazione, che tenesse conto dell'avvio e della successione cronologica delle varie fasi; 4) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell'art.75 del TUIR, in relazione al capo della sentenza con il quale la C.T.R. ha annullato i rilievi concernenti le riprese a tassazione, sia per il 1997 sia per il 1998, delle variazioni in diminuzione del reddito derivanti dalle svalutazioni operate dalla contribuente su di una partecipazione azionaria dalla stessa posseduta, in violazione del principio di competenza, avendo i giudici affermato che il contribuente può effettuare la variazione in diminuzione del reddito anche in dichiarazioni dei redditi inerenti periodi d'imposta successivi a quelli nei quali la componente negativa è venuta ad esistenza; 5) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell'art.75 del TUIR, nella numerazione vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 244/2003, sempre in relazione alle riprese a tassazione concernenti le svalutazioni su partecipazione azionaria operate dalla A. avendo i giudici d'appello altresì affermato che tali variazioni in diminuzione si sono verificate, in modo certo e definitivo, solo negli anni in cui esse sono state effettivamente operate, avuto riguardo al momento di redazione delle dichiarazioni relative agli esercizi 1997 e 1998, malgrado già dai precedenti bilanci di esercizio delle due società risultassero le predette svalutazioni, cosicché le stesse avrebbero dovuto essere esposte nelle dichiarazioni relative agli anni 1996 e 1997; 6) con il sesto motivo, l'insufficiente motivazione della Sentenza, ex art.360 n. 5 c.p.c., su fatto decisivo, in relazione alla ripresa avente ad oggetto le prestazioni rese dall'A. alla consociata francese A. avendo i giudici ritenuto che esse non derivassero da un contratto avente le caratteristiche prevalenti dell'appalto e come tali fossero da ritenere assoggettate ad IVA, secondo il criterio di territorialità dettato dall'art.7 comma 3°, DPR 633/1972, senza puntuali riferimenti al contenuto concreto delle prestazioni stesse.

2. La controricorrente A. oltre a contestare i motivi del ricorso dell'Agenzia delle Entrate, anche per difetto dei requisiti prescritti dall'art.366 bis c.p.c., ed a svolgere una richiesta di rinvio pregiudiziale, ex art.234 Trattato CE, stante il contrasto tra gli artt.76, commi 2 e 5, e 9, comma 3, del TUIR con gli artt. 5,12 e 43 del Trattato CE, ove lo stesso art.76 sia interpretato nel senso che ne sia possibile l'applicazione a prescindere dal concreto ottenimento, da parte dell'impresa residente, di un vantaggio fiscale derivante dalla pattuizione di prezzi di trasferimento infra-gruppo transnazionali diversi da quelli di mercato, ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a quattro motivi.

Con il primo motivo, la società lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c. dell'art. 42 comma 3 DPR 600/1973, nella parte in cui i giudici della C.T.R. hanno respinto l'eccezione di illegittimità dell'impugnato avviso di accertamento per carenza di motivazione, pur essendosi in esso fatto richiamo al processo verbale di constatazione senza una valutazione critica da parte dell'Ufficio. Con il secondo motivo, la controricorrente deduce, ex art.360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 54, 67 e 68 del TUIR, nel testo vigente ratione temporis, con riguardo alla statuizione della C.T.R. in merito alla liceità e non elusività della fusione per incorporazione della R. spa nella J. spa, risalente al 1991, in quanto non è stata esaminata dai giudici d'appello, perché ritenuta assorbita, l'eccezione della contribuente in ordine al fatto che l'Ufficio avrebbe semmai dovuto provvedere a tassare le plusvalenze derivanti dalla fusione, nel 1991, anno in cui era stato iscritto in bilancio, ex art.54 lett.c del TUIR vigente ratione temporis, l'avviamento ed erano state rivalutate le immobilizzazioni tecniche. Con il terzo motivo, la stessa lamenta poi la violazione e falsa applicazione, sempre ex art.360 n. 3 c.p.c., dell'art.102 comma 1 del TUIR, con riguardo alla contestazione, non esaminata dalla C.T.R. stante la statuizione di integrale annullamento degli atti impositivi, relativa alla errata determinazione, da parte dell'Ufficio, delle imposte asseritamente dovute all'Erario e delle sanzioni irrogate, per mancata tenuta in considerazione delle pregresse perdite fiscali, relative agli esercizi 1994, il cui contenzioso è stato già definito, 1995 e 1996^ i cui contenziosi sono pendenti, a disposizione della contribuente ed utilizzabili in compensazione del maggiore reddito imponibile accertato per gli anni 1997 e 1998.

Infine, con il quarto motivo, A. denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell'art.16 d.lgs. 472/1997, reiterando eccezione, già sollevate in prime cure, relativa alla nullità degli atti di irrogazione delle sanzioni per difetto di motivazione.

3. La censura sollevata da ex art.360 n. 3 c.p.c., nel primo motivo del ricorso incidentale, avente carattere prioritario e dunque da esaminare in primis, inerente la parte della sentenza della C.T.R. nella quale è stata respinta l'eccezione di illegittimità dei due avvisi di accertamento per carenza di motivazione, è anzitutto inammissibile, non essendo ritrascritto il contenuto dell'avviso di accertamento asseritamente viziato sotto il profilo motivazionale (cfr. Cass. 9536/2013: "nei giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (nella specie, risultante "per relationem" ad un processo verbale di constatazione) è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento".

La stessa censura è comunque anche infondata.

I giudici d'appello, richiamato il contenuto motivazionale della statuizione, già sopra trascritto, hanno fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale l’avviso di accertamento - che ha carattere di "provocatio ad opponendum" e soddisfa l'obbligo di motivazione, ai sensi dell'art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'"an" ed il "guantum debeatur" - deve ritenersi correttamente motivato ove faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all'intimato, con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta ad includere, nell'avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, né di riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto" (Cass. 7360/2011; cfr. Cass. 15914/2001: "il requisito motivazionale dell'avviso di accertamento esige, ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l'indicazione delle norme   in tesi violate e dei fatti che integrerebbero la relativa inosservanza, mentre non è necessaria la formulazione delle argomentazioni giuridiche a sostegno dell'atto né la valutazione critica degli elementi acquisiti, restando la relativa problematica influente nel giudizio d'impugnazione dell'atto, al diverso fine dell'indagine sul fondamento della pretesa impositiva" ) .

4. a. Esaminando quindi il ricorso principale dell'Agenzia, la prima censura, inerente vizio di violazione di norma di diritto, relativamente alla statuizione con la quale è stata annullata la ripresa a tassazione dei ricavi derivanti dalla cessione a società collegate di beni ad un prezzo ritenuto dall'Ufficio inferiore al normale, sotto il profilo dell'onere probatorio, è inammissibile. Questa Corte ha di recente chiarito (Cass. 11949/2012), in materia di transfer pricing, che l'art. 110, comma 7 (già 76, comma 5°), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel prevedere che i componenti derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, le quali direttamente o indirettamente controllano l'impresa o ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società controllante l’impresa nazionale, sono valutati in base al "valore normale" dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi dell'art. 9 del medesimo d. P.R., fissa una clausola antielusiva finalizzata ad evitare trasferimenti di utili mediante l’'applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore dei beni scambiati, onde sottrarli all'imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori", e che pertanto "per guanto concerne i componenti positivi del reddito, incombe certamente sull'amministrazione finanziaria - secondo le regole generali in materia (art. 2697 c.c.) - l'onere di provare la fondatezza della rettifica da transfer price, ossia la fondatezza della pretesa fiscale azionata, con riferimento allo scostamento tra il corrispettivo pattuito ed il valore normale dei beni o dei servizi scambiati", mentre, con riferimento alle rettifiche dei costi, poiché il problema della ripartizione dei costi infragruppo involge anche il profilo dell'inerenza, oltre che quello dell’esistenza, dei costi dichiarati in seguito all'addebito di un servizio o di una cessione di beni, effettuati alla società controllata dalla controllante, o da altra società soggetta al medesimo controllo, "l'onere di fornire la dimostrazione dell’esistenza e dell'inerenza di tali componenti negative del reddito, e qualora si tratti di costi derivanti da servizi o beni prestati o ceduti da una società controllante estera )ad una controllata italiana, anche di ogni elemento che consenta all'amministrazione di verificare il normale valore dei relativi corrispettivi", non può che ricadere - in forza del c.d. principio di vicinanza alla prova - sul contribuente.

Ancora meglio si è precisato che "l’onere della prova gravante sull’Ufficio - nella materia in esame - resta limitato alla dimostrazione dell'esistenza di transazioni tra imprese collegate e dello scostamento evidente tra il corrispettivo pattuito e quello di mercato (valore normale), non essendo tale onere esteso alla prova della funzione elusiva dell'operazione", e che, per contro, "a fronte degli elementi probatori offerti dall'Amministrazione, incombe sul contribuente l'onere di dimostrare - in forza del principio di vicinanza della prova, desumibile dall'art. 2697 c.c. - non soltanto l'esistenza e l'inerenza dei costi dedotti, ma anche ogni altro elemento che consenta all'Ufficio di ritenere che la transazione sia intervenuta per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua del disposto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3" (Cass. 22010/2013; Cass. 10742/2013).

Ora, nella specie, il quesito di diritto formulato nel senso che, in un contesto nel quale l'Amministrazione abbia ritenuto che le cessioni infragruppo siano state effettuate ad un prezzo inferiore al valore normale dei beni - pervenendo a tale risultato tramite la comparazione dei prezzi applicati dalla società ai beni appartenenti alla medesima categoria e dalla contribuente catalogati tramite un medesimo codice identificativo - e la società si sia limitata a contestare il criterio utilizzato dall'Amministrazione senza fornire alcun metodo alternativo e senza indicare alcun elemento in virtù del quale poter individuare il suddetto valore normale", hanno errato i giudici della C.T.R., nel ritenere che l'Amministrazione avesse "l'onere di fornire ulteriori elementi a sostegno della propria pretesa" e non incombesse sul contribuente l'onere di "fornire gli elementi necessari per il calcolo del valore normale dei beni ceduti sul quale poter eseguire la verifica prevista dall'art. 76 comma 5° cit.".

In realtà, i giudici non hanno violato il principio di riparto dell'onere probatorio, in materia di transfer pricing, tra Amministrazione e contribuente, essendosi limitati a ritenere "non raggiunta la prova che le transazioni poste in essere dalla parte con le sue consociate estere siano avvenute a prezzi inferiori al normale", soprattutto alla luce del fatto che il confronto, nella fattispecie, "è stato fatto, non fra prodotti identici fra loro, ma fra quelli appartenenti ad una stessa generica famiglia e non necessariamente simili come struttura e composizione".

Ciò che viene, quindi, contestato dalla ricorrente è una questione di fatto, vale a dire il raggiungimento o meno della prova dell'elusione fiscale e non la violazione dell'art.76 comma 5° TUIR, con riguardo al riparto dell'onere probatorio.

4.b. La seconda censura, implicante, per il capo di sentenza riguardante il medesimo rilievo, un vizio motivazionale, è anzitutto ammissibile, con riferimento alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis), a norma del quale il motivo di censura ex art. 360 n. 5 c.p.c. deve contenere una indicazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso e decisivo, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria. Nella specie, la ricorrente, nella parte finale del motivo, chiarisce come la statuizione, in sentenza, in ordine alla negazione del carattere di similarità dei beni esaminati dai verificatori, ai fini dell'accertamento del fenomeno del c.d. transfer pricing, ed alla inidoneità delle categorie di beni, i cui prezzi sono stati utilizzati al fine di identificare il valore normale degli stessi, non indica "le fonti sulla scorta delle quali si fonda" ed "omette di esaminare le deduzioni in punto di fatto dell'Amministrazione, dalle quali emergeva chiaramente l'identità - o comunque la similarità - dei prodotti appartenenti alla medesima famiglia sui quali era stato eseguito il raffronto dei prezzi praticati alle consociate ed ai soggetti terzi".

Il motivo è fondato.

Invero, i giudici della C.T.R., nell'affermare che, non avendo l'Ufficio dimostrato la similarità dei prodotti, non è stata raggiunta la prova che "le transazioni poste in essere dalla parte con le sue consociate estere siano avvenute a prezzi inferiori al normale", hanno, da un lato, in maniera del tutto generica ed apodittica, evidenziato che si tratta di "prodotti e servizi ad altissima tecnologia", progettati ed adattati alle specifiche esigenze del cliente, insuscettibili, dunque, in assoluto, di essere confrontati tra loro, e, dall'altro, criticato la metodologia impiegata dall'Ufficio nel confronto, in quanto effettuata "non tra prodotti identici tra loro", ma tra quelli "appartenenti ad una stessa generica famiglia e non necessariamente simili come struttura e composizione".

Giova, al riguardo, rammentare che, ai fini che qui interessano, il metodo di determinazione individuato dall'art.9 del TUIR è quello del confronto tra i prezzi, che tuttavia dipende dalla possibilità di individuare operazioni comparabili con quelle poste in essere all'interno del gruppo, operazioni cioè che abbiano per oggetto beni con uguali o similari caratteristiche fisiche e qualitative, che siano collocabili all'interno del medesimo mercato ed intercorrano tra imprese situate al medesimo stadio di commercializzazione. In assenza di detti presupposti, è possibile il ricorso a metodi alternativi, consigliati dall'OCSE, quali i metodi del prezzo di rivendita e del costo maggiorato (costituito dalla somma del costo del prodotto e di un margine percentuale di profitto), nonché quelli basati sulla ripartizione degli utili o sulla comparazione degli stessi.

4.c. La richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia» formulata, in via subordinata, dalla controricorrente A., in relazione ai motivi del ricorso principale dell'Agenzia delle Entrate concernenti il rilievo sul c.d. transfer pricing, non merita accoglimento.

La ricorrente A. assume che sussista contrasto tra l'art. 76 commi 2° e 5° e l'art. 9, comma 3, del TUIR con gli artt.5, 12 e 43 del Trattato CE, ove lo stesso art.76 sia interpretato nel senso che sia possibile la sua applicazione a prescindere dal concreto ottenimento, da parte dell'impresa residente, di un vantaggio fiscale derivante dalla pattuizione di prezzi di trasferimento infra-gruppo diversi da quelli di mercato.

Nella specie, in particolare, si renderebbe applicabile la norma in questione anche a fattispecie, di transazione infra-gruppo intercorsa con consociate stabilite in altri paesi della UE, nella quale l'elusione della fiscalità italiana risulti impossibile in ragione del risultato negativo di periodo dell’impresa residente (J.), nonché dello stabilimento delle controparti estere (anche) in Paesi dell'Unione Europea aventi una fiscalità comparabile con quella italiana" (pag. 51 ricorso A.) , in contrasto con i principi di proporzionalità, non discriminazione e libertà di stabilimento, di cui agli artt.5,12 e 43 del Trattato CE.

Secondo l'interpretazione di questo giudice di legittimità, la disciplina italiana del transfer pricing, come negli altri Paesi, prescinde dalla dimostrazione di una più elevata fiscalità nazionale (Cass. 10742/2013).

In effetti, la disciplina del transfer price o transfer pricing è anzitutto funzionale alla corretta allocazione tra gli Stati, anche a fiscalità equivalente, delle basi imponibili generate a livello transfrontaliero, congiuntamente alla connaturale finalità di prevenire 'a doppia imposizione economica delle imprese coinvolte.

Una finalità antielusiva è pur compresa, ma non esaurisce gli obiettivi dello strumento.

La stessa Corte di Giustizia, nella causa C-311/08, con la sentenza del 21/01/2010, caso "SGJ", società holding di diritto belga (causa vertente, essenzialmente sulla compatibilità con il diritto europeo di una normativa belga che assoggettava automaticamente ad imposizione, in capo alla società residente, lo stesso importo di "benefici straordinari o senza contropartita", concessi ad una società consociata residente in altro Stato membro), ha particolarmente valorizzato, anche nell'ambito del transfer pricing, la tutela di una "ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri", quale esigenza di superiore interesse pubblico idonea a "giustificare", seppur non in via autonoma, una disciplina nazionale, quale quella in esame, restrittiva delle libertà fondamentali, di quella di stabilimento e libera circolazione di capitali, in particolare.

In particolare, ad avviso della Corte "il fatto di consentire alle società residenti di trasferire i loro utili sotto forma di benefici straordinari o senza contropartita a società collegate a queste ultime da un vincolo d'interdipendenza e stabilite in altri Stati membri rischierebbe di compromettere una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri. Ciò potrebbe pregiudicare il sistema stesso della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, poiché, asseconda della scelta operata dalle società collegate da vincoli d'interdipendenza, lo Stato membro della società che concede benefici straordinario senza contropartita sarebbe costretto a rinunciare al suo diritto di assoggettare ad imposta, in quanto Stato di residenza di tale società, i redditi di quest'ultima, a vantaggio, eventualmente, dello Stato membro in cui ha sede la società beneficiaria" (par.63).

E' stato dunque dato rilievo all'esigenza di uno Stato membro di preservare il diritto di esercitare la propria potestà impositiva sul reddito "originato" entro il proprio territorio.

La previsione di procedere alla determinazione dell'ammontare dei corrispettivi delle transazioni transfrontaliere tra società del gruppo al valore normale è dunque finalizzata a garantire che il reddito prodotto in Italia venga ivi assoggettato a imposizione, preservando, di conseguenza, la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri dell'Unione.

Ed a tutela della citata ripartizione, nel risolvere la questione pregiudiziale a favore dello Stato belga, la Corte di giustizia ha riconosciuto l'esistenza di un motivo imperativo di interesse generale, quale quello "della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri", che può giustificare una restrizione alle libertà fondamentali.

Non v'è dunque necessità di sollevare la dedotta questione pregiudiziale.

4.d. Il terzo motivo del ricorso principale, implicante vizio motivazionale e concernente il capo della sentenza con il quale è stata annullata la ripresa a tassazione, ex art.10 l. 408/1990, delle quote annuali di ammortamento dell'avviamento e dei maggiori valori iscritti alle immobilizzazioni tecniche per disavanzo da fusione, è inammissibile per difetto del c.d. momento di sintesi, ex art.366 bis c.p.c..

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è viziata deve essere adempiuto non soltanto attraverso un'illustrazione del relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, un'indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un- "quid pluris" rispetto all'esposizione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l'ammissibilità del ricorso (v. Cass. 8897 del 2008; Cass.28242/2013) . Né il c.d. momento di sintesi risulta, questa volta, enucleabile dal contesto del motivo.

4.e. I motivi quarto e quinto, sempre del ricorso principale, implicanti vizi di violazione di norme di diritto, in relazione alla statuizione di annullamento delle riprese a tassazione delle variazioni in diminuzione del reddito derivanti dalle svalutazioni operate da A. su partecipazione azionaria posseduta dalla stessa, sono infondati, sia pur con correzione della motivazione in diritto, ex art. 384 c.p.c..

Invero, secondo i consolidati principi della giurisprudenza di questa Corte, dalla complessiva prescrizione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, nel testo vigente ratione temporis, si desume che, anche per le spese e gli altri componenti negativi dei quali "non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare", il legislatore considera come "esercizio di competenza" quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci, limitandosi soltanto a prevedere una deroga al principio della competenza, consentendo, sulla base degli elementi di fatto che il contribuente ha l’onere di allegare, la deducibilità di dette particolari spese e componenti nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare.

L’individuazione dell'esercizio di competenza involge, pertanto, anche accertamenti di fatto, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito e può essere censurata in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. nn. 10988 e 16819 del 2007; Cass. 24526 del 2009; Cass. 18237 del 2012; Cass. 6909 del 2013) .

Nella fattispecie, i giudici d'appello, pur avendo anche, non in maniera puntuale, affermato che l'appostazione in bilancio di una perdita effettiva possa essere legittimamente contestata quando questa viene riportata in un esercizio precedente a quello nel quale si è verificata" e "non quando viene indicata in un esercizio successivo, essendo facoltà dell'imprenditore di rimandare nel tempo una svalutazione già verificatasi", hanno evidentemente ritenuto che la contribuente avesse idoneamente dimostrato che gli esercizi di competenza fossero proprio "il 1997 ed il 1998" e cioè che proprio in quegli anni, e non già in precedenza (negli anni 1996 e 1997) , si fossero verificate le condizioni di deducibilità del componente negativo in questione, facendo richiamo alle delibere di approvazione del bilancio al 31/12/1996 della società partecipata, avvenuta nel 1997, e di riduzione del capitale della stessa società, omologata nel 1998: e tale conclusione, in fatto, non risulta oggetto di doglianza adeguata ed autosufficiente neanche sotto l'aspetto motivazionale.

4.f. In ultimo, anche il sesto motivo è inammissibile, sia per difetto del c.d. momento di sintesi prescritto dall'art.366 bis c.p.c. sia per difetto di autosufficienza, in quanto, nel ricorso dell'Agenzia delle Entrate, non vengono indicate (neppure in via esemplificativa) le specifiche prestazioni (ovverosia le "prestazioni" valutate dal giudice del merito) fornite dalla società italiana alla capogruppo francese che, secondo l’amministrazione ricorrente, la italiana A avrebbe dovuto assoggettare all'imposta sul valore aggiunto in Italia.

5. Quanto al ricorso incidentale condizionato dell'Alcatel (già respinto, sub 3, il primo motivo), il secondo motivo è assorbito, stante il rigetto del corrispondente motivo del ricorso principale dell'Agenzia delle Entrate (in merito alla liceità/non elusività della fusione per incorporazione della A.F. spa nella T. spa del 1991).

Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili. Invero, la ricorrente, nel lamentare la violazione, negli avvisi di accertamento, dell'art.102 comma 1 TUIR, nel testo vigente ratione temporis, laddove "l'Ufficio ha negato alla contribuente il diritto alla compensazione delle pregresse perdite fiscali con i redditi imponibili, rispettivamente accertati per gli anni 1997 e 1998", nonché nullità degli atti di irrogazione delle sanzioni, per difetto di motivazione, ripropone questioni rimaste assorbite in appello, giudizio nel quale la società, salvo che per l'appello incidentale concernente la nullità degli avvisi di accertamento per carenza di motivazione, è risultata vittoriosa.

Ora, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza (non ricorrendo altrimenti l'interesse processuale a proporre ricorso per cassazione), cosicché è inammissibile il ricorso incidentale, con il quale la parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di merito perché non esaminate o ritenute assorbite, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza (v. Cass. 23548/2012; 19366/2007).

6. In definitiva, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, respinti gli altri motivi, mentre va respinto il primo motivo del ricorso incidentale della società, assorbito il secondo ed inammissibili ì restanti motivi.

La sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale dell'Agenzia delle Entrate, respinti gli altri motivi; respinge il primo motivo del ricorso incidentale della società, assorbito il secondo ed inammissibili i restanti motivi; cassa In. sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della commissione Tributaria Regionale della Lombardia.