Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 luglio 2015, n. 14224

Tributi (in generale) - Disciplina delle agevolazioni tributarie (riforma tributaria del 1972) - Agevolazioni varie - In genere - Agevolazioni tributarie di carattere soggettivo - ONLUS - Attività a tutela dei diritti civili - Associazione a tutela della libertà di culto - Riconducibilità - Fattispecie

 

Svolgimento del processo

 

La controversia concerne l’impugnazione di un provvedimento di diniego di iscrizione nell’Anagrafe delle ONLUS dell’Associazione richiedente in quanto quest’ultima, ad avviso dell’Ufficio, costituiva «un organismo che si era formato per acquistare un luogo dove professare il proprio culto, godendo delle agevolazioni fiscali, ma non certo per svolgere, come dovuto in osservanza della legislazione in materia, le attività solidaristiche oggetto della possibile agevolazione fiscale, tanto più che i beneficiari delle attività si rivelavano essere i soci stessi, a prescindere dalla loro posizione svantaggiata».

La Commissione adita accoglieva il ricorso dell’associazione, ritenendo insussistenti le irregolarità contestate dall'Ufficio. L’appello di quest’ultimo era respinto, con la sentenza in epigrafe, che riteneva rispettati i requisiti richiesti dall’art. 10, d.lgs. n. 460 del 1997, trattandosi di una «Associazione "multirazziale, multietnica, religiosa e pacifica" (che) ha per scopo lo svolgimento di finalità assistenziali e sociali, di tutela dei diritti civili "attraverso la diffusione di una cultura di pace basata sulla non discriminazione razziale" (e che ha inoltre come scopo) la diffusione della Religione islamica».

Avverso tale sentenza l’amministrazione propone ricorso per cassazione con sei motivi. L’Associazione non si è costituita.

 

Motivazione

 

Con il primo motivo di ricorso l’amministrazione denuncia la violazione degli artt. 10 e 11, d.lgs. n. 460 del 1997 e 12 disp. prel. cod. civ., formulando il seguente quesito di diritto: «Dica la Corte se l’elenco dei requisiti per l’individuazione delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), contenuto nell’art. 10, d.lgs. n. 460 del 1997, debba essere considerato tassativo e dunque non possa dar luogo ad interpretazione estensiva, in quanto trattasi di norma correlata al trattamento agevolativo stabilito dal legislatore in materia di imposte dirette ed IVA a favore di tali organismi».

Il motivo è inammissibile, in quanto il quesito di diritto formulato si risolve «in una enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione» dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 6420 del 2008). In particolare, questa Corte ha evidenziato che «il quesito inerente ad una censura in diritto - dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo» (Cass. n. 3530 del 2012). Altrettanto inammissibile è il terzo motivo che denuncia un vizio di motivazione, senza elaborare il necessario "momento di sintesi" di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.: come ha affermato questa Corte è inammissibile «il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito» (Cass. n. 24255 del 2011).

Con il secondo motivo, invece, l’amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1, lettera c), d.lgs. n. 460 del 1997, formulando il seguente quesito di diritto: «Dica la Corte se sia legittimo il diniego di iscrizione nell’anagrafe ONLUS di un’associazione che dichiari di svolgere la propria attività nel settore della tutela dei diritti civili (di cui all’art. 10, comma 1, lettera a) n. 10), ma che dichiari nel proprio statuto di avere finalità di diffusione della cultura islamica e di agevolare la pratica religiosa, anche mediante costruzione di una moschea, prevedendo l’art. 10, comma 1, lett. c) il divieto di svolgere attività diverse da quelle menzionate alla lettera a) ad eccezione di quelle ad esse direttamente connesse».

Il motivo non e fondato. La (tutela della) libertà di cullo - la cui promozione (mediante la diffusione della cultura islamica, l’agevolazione della pratica religiosa, la progettata costruzione di una moschea) la sentenza impugnata individua tra le finalità dell’Associazione di cui si discute - si colloca senza dubbio (e, peraltro, in posizione primaria, anche in una prospettiva storica) tra i diritti civili che costituiscono oggetto della attività considerata dall’art. 10, comma 1, lettera a) n. 10, d.lgs. n. 460 del 1997. Con il quarto motivo, l’amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 10, comma 1, lettera h), d.lgs. n. 460 del 1997, formulando il seguente quesito di diritto: «Dica la Corte se sia legittimo il diniego di iscrizione nell’anagrafe delle ONLUS, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera h), d.lgs. n. 460 del 1997, nei confronti di un’associazione il cui statuto violi il principio di democraticità - dalla norma suddetta disciplinato - e non riporti la previsione di un’assemblea dei soci, i quali, peraltro, siano individuati del tutto genericamente e non nominalmente, che non preveda il diritto di voto per gli associati maggiorenni, che non disciplina il Consiglio direttivo dell’ente e pertanto sia illegittima la sentenza della GTE che ritenga tale statuto conforme al modello democratico prescritto dalla legge».

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Ed invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, «qualora, con il ricorso per cassazione, venga fatta valere la erronea interpretazione di una clausola statutaria, il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, a riportare nello stesso il testo della clausola invocata, al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità, al quale è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza delle censure» (Cass. n. 11117 del 2002; v. nello stesso senso Cass. n. 6753 del 2004; n. 16132 del 2005; n. 12446 del 2006).

Con il quinto motivo di ricorso, l’amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, lettera a), d.lgs. n. 460 del 1997, formulando il seguente quesito di diritto: «Dica la Corte se sia legittimo il diniego di iscrizione nell’anagrafe delle ONLUS, ai sensi dell’art. 10, comma 2, lettera a), d.lgs. n. 460 del 1997, di un’associazione che si proponga fini solidaristici, ma che abbia effettuato unicamente il rimpatrio in Senegai di due salme di cittadini senegalesi e preveda nel proprio statuto, come finalità di solidarietà sociale, la diffusione della cultura islamica e della religione islamica, l’elaborazione di una strategia appropriata per l’insegnamento dei fondamenti razionali e storici della fede islamica, lo svolgimento di attività editoriali, la possibilità di organizzare corsi per la conoscenza dell’islam, dibattiti, conferenze, celebrazioni delle feste islamiche e se violi la norma suddetta la CTR che consideri realizzate tali finalità di solidarietà sociale o aiuti umanitari».

Il motivo non è fondato. L’insegnamento di questa Corte è nel senso che «in materia di agevolazioni fiscali, l’art. 10, secondo comma, lett. a), del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, recante la disciplina tributaria di enti non commerciali ed ONLUS, deve essere interpretato restrittivamente, trattandosi di previsione relativa ad esenzioni, sicché la nozione di "persone svantaggiate" ivi contenuta va riferita a categorie di individui in condizioni oggettive di disagio per situazioni psicofisiche particolarmente invalidanti, ovvero per stati di devianza, degrado, grave precarietà economico familiare, emarginazione sociale, mirando la norma a colmare una siffatta condizione deteriore in cui si trovi, negli ambiti specifici da essa individuati, una particolare categoria di soggetti rispetto alla generalità dei consociati, ma non può intendersi fino a ricomprendere una finalità di prevenzione dell’insorgere delle situazioni di patologia o di devianza sociale» (Cass. n. 7311 del 2014).

Orbene valutando alla luce di tale principio la motivazione della sentenza impugnata può facilmente rilevarsi una adeguata applicazione della nozione della "condizione di svantaggio" dei destinatari dell’attività dell’associazione. Dice, infatti, il giudice di merito: «è del tutto conforme alla legge e alla Costituzione italiana che l’attività della Associazione sia rivolta in primo luogo in favore dei propri soci, da considerarsi minoranza svantaggiata in quanto costituita da immigrati in gravi condizioni di debolezza economica, sociale e culturale, il cui diritto alla tutela dell’identità culturale e religiosa è incomprimibile in un contesto costituzionale di pluralismo culturale, religioso e ideale quale è quello disegnato dalla Costituzione repubblicana». L’Associazione, quindi, effettivamente svolge la propria attività a favore di "persone svantaggiate", perché essere immigrati e stranieri significa assai spesso ritrovarsi in condizioni di miseria, disuguaglianza e diritti non riconosciuti, per di più lontani dalla propria terra e dalle proprie radici culturali e religiose: ne è testimonianza la diffusa esigenza di politiche di integrazione e sostegno dirette proprio agli immigrati stranieri attraverso una serie di iniziative pubbliche a carattere politico-sociale (come ad es. il «Portale Integrazione Migranti», un progetto co-finanziato dal Fondo Europeo per l’Integrazione, che nasce sotto il coordinamento della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, finalizzato a favorire l’accesso a tutti i servizi offerti sul territorio, assicurando una corretta informazione dei cittadini stranieri quale presupposto per facilitare la loro integrazione nella società italiana).

Con il sesto motivo, l’amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 28, l. n. 49 del 1987 e dell’art. 10, comma 8, d.lgs. n. 460 del 1997, formulando il seguente quesito di diritto: «Dica la Corte se un’associazione che svolga attività di aiuto alla popolazione senegalese, alle famiglie di immigrati senegalesi deceduti nel territorio italiano, in quanto sottoposta alla disciplina di cui alla l. n. 49 del 1987, possa considerarsi una ONLUS pur senza aver ottenuto il riconoscimento di idoneità da parte del Ministero degli Affari Esteri, ex art. 28, L. n. 49 del 1987».

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficenza. L’amministrazione ricorrente non indica se, quando e con quali modalità abbia sollevato l’eccezione ora assunta a contenuto del sesto motivo di ricorso, come sarebbe stato necessario non risultando dalla sentenza impugnata che la stessa sia mai stata formulata nel corso del giudizio. Si tratta, pertanto, di questione nuova che non può essere delibata, senza rilevare comunque che le argomentazioni sviluppate nel motivo di ricorso non sono adeguate a descrivere le ragioni per le quali l’Associazione in questione dovrebbe trovare la propria disciplina nel quadro e nell’ambito della legge n. 49 del 1987.

Il ricorso deve essere quindi respinto. Non occorre provvedere sulle spese stante la mancata costituzione della parte intimata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.