Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 luglio 2015, n. 16010

Tributi - Accertamento - Credito d'imposta per investimenti in area depressa ex art. 8 l. 23 dicembre 2000 n. 388

 

Fatto

 

Con l'impugnata sentenza n. 302/01/09 depositata il 25 agosto 2009 la Commissione Tributaria Regionale della Calabria, accolto l'appello dell'Agenzia delle Entrate, in riforma della decisione n. 113/04/07 della Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, respingeva i riuniti ricorsi proposti da Arca Servizi di Rotella Rosaria & C. S.n.c. il primo avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Amministrazione recuperava un credito d'imposta per investimenti in area depressa ex art. 8 l. 23 dicembre 2000 n. 388 relativamente all'acquisto di un immobile e il secondo avverso la cartella di pagamento conseguente alla iscrizione a ruolo provvisoria del recupero del detto credito d'imposta.

Dopo aver accertato che l’immobile al momento dell'acquisto era «ancora in corso di costruzione», come da dichiarazione del venditore contenuta nel rogito di compravendita del 6 novembre 2001; e che alla data del           18 dicembre 2003 l'immobile in parola era ancora "al rustico, privo di rifiniture, infissi esterni e interni e allacci di qualsiasi genere», giusto sopralluogo e P.V, del funzionario dell'Agenzia delle Entrate; statuiva che la contribuente era decaduta dall'agevolazione in quanto ai sensi dell'art. 8, comma 7, l. n. 388 cit. "Se i beni oggetto dell'agevolazione non entrano in funzione entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello della loro acquisizione o ultimazione, il credito d'imposta è rideterminato escludendo dagli investimenti agevolati il costo dei beni non entrati in funzione».

Contro la sentenza della CTR, la contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L'Ufficio resisteva con controricorso.

L'intimato concessionario ETR S.p.A. non sì costituiva.

 

Diritto

 

1. Con il primo complesso motivo di ricorso la contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica «Violazione dell'art. 36 ter, comma 2, lett. D) d.p.r. n. 600/73 in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3; omessa pronuncia ex art. 360 n. 4 e violazione art. 112 e omessa motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.». Deduceva a riguardo la contribuente che erroneamente la CTR aveva ritenuto «legittima la cartella emessa», la quale in effetti consisteva in un atto di «recupero normativamente inesistente» non essendo «riconducibile a nessuno degli atti tipici previsti dal d.p.r. 600/73».

Il motivo è preliminarmente inammissibile per difetto di autosufficienza perché, in mancanza di trascrizione dell'impugnata cartella nel corpo del ricorso, non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza del contenuto dell'atto rispetto a quanto asserito dalla contribuente; ciò che comporta il radicale impedimento di ogni attività nomofilattica, la quale presuppone appunto la certa conoscenza del tenore della cartella in discorso (Cass. sez. IlI n. 8569 del 2013; Cass. sez. trib. n. 15138 del 2009).

2. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica «Falsa applicazione dell'art. 8 l. 23.12.2000 n. 388 al 1° comma in relazione all'art. 360 c.p.c. comma 3». Nella sostanza la contribuente osservava dapprima che secondo la legge fiscale tutti gli immobili di proprietà dell'impresa dovevano esser considerati strumentali. Una strumentalità che la CTR erroneamente non aveva riconosciuto, ai fini dell'agevolazione, a causa del non «completamento" del fabbricato. Secondo la contribuente doveva difatti giudicarsi ininfluente il mancato «completamento» dell'immobile di fronte alla «indiscussa volontà» di disporre dello stesso per «adibirlo all'attività».

Il motivo è inammissibile.

In effetti la CTR ha accertato in fatto che, in ragione del suo essere ancora «al rustico, privo di rifiniture, infissi esterni e interni e allacci di qualsiasi genere», l'immobile non era ancora «entrato in funzione» entro il termine prescritto a pena di decadenza dall'art. 8, comma 7, l. n. 388 cit.

L'accertamento in parola doveva pertanto essere censurato sotto il profilo del vizio motivazionale ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e non invece per violazione di legge; e, per di qui, deve farsi discendere la declaratoria d'inammissibilità del motivo (Cass. sez. lav. n. 7394 del 2010; Cass. sez. I n. 4178 del 2007).

3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo ed a solo favore della parte costituita che le ha sostenute.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la contribuente a rimborsare all'Agenzia delle Entrate le spese processuali, queste liquidate in € 7.000,00 a titolo di compenso, oltre a spese prenotate a debito.