Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 luglio 2015, n. 32348

Reati fiscali - Dichiarazione fraudolenta - Iva - Ex amministratore - Assolto se non in carica al momento della dichiarazione fiscale

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 27/11/2013, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia emessa il 17/12/2012 dal locale Tribunale, con la quale A.P. era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione; allo stesso era ascritto il delitto di cui all'art. 2, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver inserito, nella dichiarazione I.V.A. del 2006, 27 fatture per operazioni inesistenti.

2. Propone ricorso per cassazione il P., a mezzo del proprio difensore, deducendo tre motivi:

- inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 2, d. Igs, n. 74 del 2000. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna pur risultando- che il P. aveva ricoperto la carica di amministratore della "A.A. s.r.l." fino al 13/12/2006; pertanto, al momento della presentazione della dichiarazione I.V.A (il cui termine ultimo era il 31/12/2007), l'unico rilevante ai fini della consumazione del reato, lo stesso non aveva più alcun ruolo nella società. Ruolo che, peraltro, non potrebbe essere neppure riconosciuto in via di fatto, quale amministratore della "S.I. Llc" (che l'imputazione assumeva aver controllato la "A.A." dal 2007), atteso che la sentenza di prime cure - non superata dalla successiva - aveva affermato che nulla era emerso con riguardo a questa società, tanto che il P. era stato assolto dall'altra contestazione mossagli ai sensi dell'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000, relativa alle fatture emesse a favore di "A.A." nel 2007, allorquando, cioè, non ricopriva più la carica di legale rappresentante di quest'ultima;

- insufficienza e contraddittorietà della motivazione. La Corte avrebbe condannato il P. pur difettando ogni prova in ordine alla fittizietà delle operazioni indicate nelle fatture, da ritenersi, invece, esistenti e veritiere;

- vizio di motivazione in ordine alle circostanze attenuanti generiche. La sentenza non avrebbe motivato circa il diniego di tali circostanze, invero concedibili alla luce del corretto comportamento processuale del ricorrente.

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso è fondato; al riguardo, risulta decisivo II primo motivo, in esso assorbiti gli altri.

L'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000 punisce chiunque, al fine dì evadere l'imposta sul redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette Imposte elementi passivi fittizi; il momento consumativo del reato, pertanto, coincide con quello della presentazione della dichiarazione in oggetto. Al riguardo, fa giurisprudenza di questa Corte risulta del tutto costante, avendo più volte affermato che «in tema di reati tributari, il delitto di dichiarazione fraudolenta previsto dall'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000, si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromici tenuti dall’agente, ivi comprese (e condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi» (Sez. 3,  n. 52752 del 20/5/2014, Vidi, Rv. 262358; Sez. 2, n. 42111 del 17/09/2010, De Seta, Rv. 248499; Sez. 1, n. 25483 del 05/03/2009, Daniotti, Rv. 244155). Più in particolare, la giurisprudenza dì questa Sezione ha evidenziato che, in tal senso, depone inequivocabilmente il dato testuale dello stesso art. 2, ove la condotta è espressamente contemplata in quella di "indicare" in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto elementi passivi fittizi. In stretta connessione con ciò, l'art. 6 del medesimo decreto legislativo ha previsto, inoltre, che il delitto in questione non sia comunque punibile a titolo di tentativo; ed è significativo, in proposito, che la stessa Relazione ministeriale al decreto in oggetto spieghi che la ratio della norma è quella di "evitare che il trasparente intento del legislatore delegante di bandire il modello del reato prodromico risulti concretamente vanificato dall’applicazione del generale prescritto dell'art. 56 cod. pen. si potrebbe sostenere, difatti, ad esempio, che le registrazioni in contabilità di fatture per operazioni inesistenti o sottofatturazioni,, scoperte nel periodo d'imposta, rappresentino atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere una successiva dichiarazione fraudolenta o infedele, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato". Di qui, dunque, la conseguenza, da un lato, che soltanto con la condotta di presentazione della dichiarazione il reato può considerarsi perfezionato e, dall'altro, che, a differenza di quanto, in precedenza, stabiliva la I. n. 516 del 1982, art. 4, lett. g) (che puniva ex se anche il semplice inserimento nella contabilità di fatture per operazioni inesistenti indipendentemente dall'allegazione alla dichiarazione), le condotte pregresse ad essa restano, sul piano penate, irrilevanti». (Sez. 3, n. 23229 del 27/4/2012, Rigotti, Rv. 252999),

Orbene, così richiamata la disciplina di riferimento, osserva la Corte che la sentenza impugnata si è concentrata sulle condotte tenute dal P. nel corso del 2006, ovvero nel periodo nel quale lo stesso aveva ricoperto la carica di amministratore unico della "A.A.", con riferimento allo stesso tempo, in particolare, la sentenza ha evidenziato - con motivazione del tutto logica e congrua - l'avvenuta acquisizione di numerose fatture per operazioni inesistenti, poiché emesse da una società ("M.C. s.r.l." di Roma) priva di mezzi e di strutture, che peraltro aveva presentato la dichiarazione I.V.A. soltanto negli anni 2002 e 2005. In sintesi, una "cartiera". Dal che l'operazione fraudolenta, atteso che la "A.A.", nel corpo della dichiarazione I.V.A. 2006, aveva "scaricato" l'imposta solo apparentemente versata alla "M.C." compensandola con quella effettivamente ricevuta dagli acquirenti delle vetture.

Ciò premesso, il Collegio di appello (al pari del primo Giudice) non ha però considerato affatto il momento in cui - nel corso del 2007 - era stata presentata la dichiarazione I.V.A. relativa al 2006, peraltro non è dato sapere da chi; momento nel quale - per emergenza pacifica - il P. non ricopriva più la carica di amministratore unico della "A.A.", né questa poteva essergli riconosciuta in via di fatto sotto altra veste ("S.I. Llc"), atteso che di ciò la sentenza non dà conto. Anzi, come afferma il ricorrente, già il primo Giudice aveva sostenuto che «mentre sì deve ritenere che il P sia stato amministratore effettivo della A.A. s.r.l. nel 2006, non vi sono prove che egli abbia continuato a gestire di fatto la medesima società nel 2007 (cioè dopo te sue dimissioni e la cessione delle quote)...non è stato chiarito chi fosse il "titolare" della società nel 2007»; ovvero - si ribadisce - nell'anno in cui era stata presentata la dichiarazione con l'indicazione di elementi passivi fittizi, così integrando - e solo in quel momento - il delitto di cui all'art. 2, d. Igs, n. 74 del 2000.

La Corte di appello di Milano, pertanto, non ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati e, in particolare, ha posto l'attenzione non al momento consumativo del reato contestato, quale quello delta presentazione della dichiarazione I.V.A. (invero mai menzionato), ma soltanto a quello a ciò prodromico (acquisizione delle fatture per operazioni inesistenti), in contrasto con le citate ratio e lettera della norma vigente; né, peraltro, ha evidenziato qualsivoglia concorso dei ricorrente con la persona - neppure nominata in sentenza - che ricopriva la carica dì amministratore "dell’A.A." al tempo della presentazione della dichiarazione medesima, sì da poter ipotizzare un'eventuale responsabilità ai sensi dell'art. 110 cod. pen.

La sentenza, pertanto, deve essere annullata, senza rinvio, per non aver il P. commesso il fatto.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza per non aver commesso il fatto.