Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 luglio 2015, n. 32357

Reati fiscali - Evasione fiscale - Sequestro a carico del vertice della fondazione - Sussiste

 

Ritenuto in fatto

 

1. P.S. ricorre per cassazione avverso l'ordinanza emessa dal tribunale della libertà di Salerno in data 9 dicembre 2014 con la quale veniva rigettata la richiesta di riesame proposta nei confronti del decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip presso il tribunale di Vallo della Lucania per il reato previsto dall'articolo 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo del 10 marzo 2000 numero 74.

2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza il ricorrente articola, tramite il difensore, un unico complesso motivo di gravame, sviluppato sotto un duplice profilo e qui enunciato, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Con esso il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b) e e), del codice di procedura penale in relazione agli articoli 125 e 321, comma 2, codice di procedura penale per erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche (articolo 149 Tuir) di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale sul rilievo che, con la richiesta di riesame e le note di udienza, era stato osservato come, per il periodo di imposta relativo all'anno 2010, fosse stata la stessa Guardia di Finanza ad escludere che la fondazione " P." avesse perso il requisito della "non commercialità", con la conseguenza che i corrispettivi specifici ricevuti per le prestazioni di natura non commerciale dovessero essere ritenuti prevalenti rispetto al valore normale delle restanti prestazioni e derivando da ciò l'inapplicabilità della presunzione prevista dall'articolo 149 Tuir.

Quanto poi all'affermazione secondo la quale l'obbligo tributario sussisterebbe anche in relazione alle prestazioni rientranti latu sensu nelle finalità istituzionali dell'ente, osserva il ricorrente come in base all'articolo 4, comma 4, del d.p.r. numero 633 del 1972 gli enti non commerciali si considerano soggetti ad Iva solo per la cessione di beni e la prestazione di servizi effettuati nell'esercizio di attività commerciali ed agricole; quindi le operazioni svolte nell'ambito della propria attività istituzionale restano estranee al campo di applicazione del tributo. Da ciò la necessità, nel caso di specie, di stabilire con certezza quali fossero le operazioni in cui correlativi ricavi andavano sottratti alla tassazione.

Sotto tali aspetti, tutti decisivi per il giudizio, il provvedimento del tribunale del riesame sarebbe, secondo il ricorrente, totalmente immotivato e priva di motivazione sarebbe rimasta anche l'obiezione mossa al decreto di sequestro in base alla quale le imposte evase erano state ivi genericamente indicate nel loro ammontare in relazione alle singole annualità ma senza alcuna specificazione di quali fossero i ricavi non soggetti a tassazione perché conseguenti ad attività istituzionale, sicché non era possibile un effettivo controllo sull'entità delle somme dovute al fisco.

Sempre sotto il profilo dell'insussistenza del iumus criminis, era stata poi sottoposta alla valutazione del tribunale del riesame la circostanza secondo la quale l'elemento soggettivo del reato contestato, essendo costituito dal dolo specifico, dovesse ritenersi del tutto insussistente posto che la commissione tributaria provinciale aveva escluso per la fondazione l'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Assume il ricorrente come la ritenuta esistenza dell'obbligo tributario sarebbe stata conseguita per effetto dell'accertamento induttivo della Guardia di Finanza, approdo contraddetto dalle considerazioni sull'elemento soggettivo stante l'antitetica valutazione operata dalla commissione tributaria.

Infine rileva il ricorrente come il tribunale avesse disatteso il principio secondo il quale, per il sequestro in forma specifica, è necessaria la sussistenza di un rapporto pertinenziale tra i beni e il reato, situazione nella specie del tutto insussistente come lo stesso tribunale del riesame ammette nella motivazione del provvedimento impugnato.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato.

2. Correttamente il tribunale della libertà ha ritenuto ininfluente, quanto alla sussistenza del fumus commissi delieti, l'accertamento compiuto dalla commissione tributaria provinciale in quanto la reclamata decisione era fondata sul presupposto che le contestate prestazioni alberghiere della fondazione, rientranti o meno nelle finalità istituzionali dell'ente, non erano state, per gli anni presi in esame, completamente provate, con la conseguenza che la richiamata decisione non aveva affatto dettato principi di diritto utilizzabili per trasposizione di essi anche nel diverso e non coincidente accertamento operato in sede penale, nell'ambito del quale invece era stata fornita prova cautelare circa l'esercizio di attività commerciale.

2.1. Quanto all'integrazione della soglia di punibilità, il tribunale ha osservato come il problema non fosse riconducibile al fatto che le contestate prestazioni alberghiere rientrassero o meno nelle finalità istituzionali dell'ente, quanto al fatto che, in relazione ad esse, dovevano comunque essere puntualmente evasi gli obblighi tributari, posto che le stesse contestazioni di merito operate dal ricorrente, che pretendevano di pervenire ad una diversa ricostruzione contabile dell'Iva evasa ma neppure escludevano un'evasione fiscale, benché riconducibile nell'ambito dell'irrilevanza penale, finivano, avuto riguardo alla fase dell'impugnazione cautelare sprovvista di poteri cognitivi Istruttori, per rafforzare, secondo il logico giudizio del tribunale cautelare, la sussistenza del quadro indiziario.

2.2. Quanto infine all'eccezione relativa all'assenza del rapporto pertinenziale il tribunale ha spiegato come, in presenza di un provvedimento con il quale era stato disposto di un sequestro di valore, la pertinenzialità dovesse escludersi in considerazione della natura giuridica dell'istituto.

3. Nel pervenire a tali conclusioni il tribunale cautelare ha richiamato la motivazione posta a fondamento del decreto di sequestro disposto dal Gip che, in seguito alla verifica fiscale effettuata presso la fondazione socioculturale internazionale R. (esercente l'attività di corsi di formazione e di aggiornamento professionale e della quale il ricorrente risultava legalo rappresentante), aveva ritenuto, in via cautelare, che: 1) la fondazione aveva esercitato, negli anni sottoposti a verifica fiscale, anche attività commerciale, consistita nella prestazione di servizi alberghieri e di alloggio in relazione a soggiorni somministrati a cittadini italiani ed esteri; 2) la fondazione infatti disponeva di beni strumentali ed immobilizzazioni materiali, nonché di personale dipendente ed effettuava prestazioni turistiche verso pagamenti di corrispettivi da parte di clienti, applicando tariffe giornaliere che venivano concordate con i responsabili dei gruppi ospitati oppure con i tour operator esistenti che provvedevano a raccogliere le prenotazioni dei clienti stranieri da ospitare (ciò nonostante l'esercizio dell'attività turistico alberghiera non rientrava nelle finalità istituzionali statutarie della fondazione, né come attività diretta e neppure come attività connessa ed indiretta; tra l'altro, la fondazione disponeva di una struttura ricettiva dotata di 28 camere al primo piano, 15 al secondo e 18 camere esterne nella zona piscina); 3) negli anni 2011 - 2012 i ricavi derivanti dall'attività commerciale alberghiera erano risultati preponderanti rispetto all'attività istituzionale svolta (colonie, attività formativa svolta in forza della titolarità diretta di istituti scolastici paritari); 4) il ricorrente, quale legale rappresentante della predetta fondazione, non aveva presentato le dichiarazioni fiscali per le seguenti annualità: 2010, evadendo l'iva per € 39.280,27; 2011 evadendo di Iva per € 53.727,60; 2012 evadendo tifa per € 58.583,68.

4. Occorre premettere che, nel procedimento di riesame dei provvedimenti cautelari reali, alla stessa stregua di quelli concernenti il riesame personale, il decreto di sequestro e l'ordinanza che decide sul riesame sono tra loro strettamente collegati e complementari, con la conseguenza che, cosi come la motivazione del tribunale integra e completa l'eventuale carenza di motivazione del primo giudice, allo stesso modo la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ben ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, quando in questo il giudice abbia fornito le ragioni logico-giuridiche che lo abbiano determinato all’emissione del provvedimento medesimo.

Si tratta di un principio che questa Corte ha costantemente affermato in materia di riesame dei provvedimenti cautelari personali (ex multis, Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257; Sez. 6, n. 4821 del 12/12/1995, dep. 09/02/1996, Gentile, Rv. 203613) ma che sostiene, per la eadem ratio, anche la materia del riesame cautelare reale.

4.1. Ciò posto, va considerato che, per fatto non controverso, le investigazioni hanno avuto ad oggetto un ente (fondazione) che, allo stato degli atti, non ha perso il requisito della "non commercialità", pur avendo svolto attività di natura commerciale.

L'elemento distintivo degli enti non commerciali è costituito dal fatto di non avere tali enti quale oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di una attività di natura commerciale, per la cui qualificazione è necessario fare riferimento all'art.55 del TUIR (d.P.R., 2.2/12/1986, n. 917 e succ. mod.) secondo il quale "per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa".

Ne consegue che il carattere commerciale dell'attività si evidenzia in modo oggettivo, a prescindere dalla natura dell'ente, dalla destinazione degli utili e dalla totale assenza di finalità lucrative.

L'art. 4, comma 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.633 (che ricalca, pur con alcune modifiche, la disciplina prevista per gli enti di tipo associativo dall'art.148 del TUIR) dispone che gli enti non commerciali sono soggetti passivi d'imposta ai fini IVA solo per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell'esercizio di attività commerciali o agricole, sancendo pertanto la decommercializzazione ai fini IVA di alcune particolari attività.

I giudici cautelari - a seguito degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza che ha specificamente determinato l'IVA evasa sulla base dell'attività oggettivamente commerciale, seppure non prevalente, della fondazione - hanno fatto buon governo di tali principi, che neppure il ricorrente contesta e che anzi richiama, riferendosi proprio all'art. 4, comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972 e dunque ammettendo, come il tribunale cautelare ha sottolineato, di essere soggetto di imposta Iva per avere svolto attività commerciale, ed assume, in sede di incidente cautelare, che l'imposta evasa sarebbe stata erroneamente calcolata, con la conseguenza che non sarebbe integrata la soglia di punibilità e dunque il fumus cirminis.

La doglianza è tuttavia generica e non autosufficiente in quanto il ricorrente non ha specificamente contestato la natura degli accertamenti penali, essendosi limitato a sostenere, anche denunciando la carenza dell'elemento soggettivo, che la Commissione tributaria avrebbe escluso l'obbligo di presentazione delle dichiarazione da parte della fondazione e pretendendo che fosse il tribunale del riesame a farsi carico della questione circa l'esatta quantificazione dell'evasione, che sarebbe stata accertata induttivamente.

E' allora il caso di ricordare come la giurisprudenza di questa Corte sia ferma nel ritenere che, ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione dell'imposta (art. 5, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l'ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario (Sez. 3, n. 37335 del 15/07/2014, Buonocore, Rv. 260188), con la conseguenza che il dictum della Commissione tributaria non è vincolante rispetto all'accertamento penale, che secondo i calcoli della Guarda di Finanza aveva comportato il superamento della soglia di punibilità.

E' stato anche affermato che, in tema di reati tributari, per verificare il superamento della soglia di punibilità di cui all'art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, il giudice penale può legittimamente avvalersi dell'accertamento induttivo, compiuto dagli organi finanziari per la determinazione dell'imponibile (Sez. 3, n. 24811 del 28/04/2011, Rocco, Rv. 250647; Sez. 3, Sentenza n. 40992 del 14/05/2013, Ottaiano, Rv. 257619).

Perciò la contestazione del superamento o meno della soglia di punibilità, ossia dell'imposta evasa, non può formare oggetto di generica doglianza innanzi al tribunale del riesame, come è stato sinteticamente ma correttamente sottolineato nell’ordinanza impugnata, avendo questa Sezione, recentemente affermato il principio, al quale occorre dare continuità, in base al quale, in sede di riesame o di appello avverso una misura cautelare reale, il tribunale non è tenuto a dirimere le questioni tecniche e contabili per la cui risoluzione è necessario il ricorso ad un accertamento peritale, costituendo questo un mezzo istruttorio incompatibile con l'incidente cautelare (Sez. 3, n. 19011 del 11/02/2015, Citarella e altro, Rv. 263554).

Sulla base delle precedenti considerazioni anche la doglianza circa l'assenza dell'elemento soggettivo è infondata perché sostenuta sulla base del riferimento agli esiti del giudizio della Commissione tributaria, che è inidoneo per predicare la carenza del dolo in costanza di una implicita ammissione circa l'espletamento di attività commerciale e l'oggettiva mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali da parte del legale rappresentante della fondazione.

4.2. Infondati sono anche i rilievi sulla mancanza di pertinenzialità tra cose staggite e reato commesso nonché sui rapporti tra sequestro in forma specifica e sequestro per equivalente nei reati tributari quando l'evasione sia stata, come nella specie, imputata al rappresentante legale di una persona giuridica.

Facendo buon governo dei principi affermati da questa Corte (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Giubert), il Gip ha disposto la confisca diretta o in forma specifica sui beni della società (beneficiaria del risparmio di spesa conseguente all'evasione), ritenendo "in forma specifica" il sequestro di cose fungibili per il quale non occorre predicare, attesa la natura delle cose, alcun vincolo di pertinenzialità con il reato ed ha successivamente disposto, in mancanza di acquisizione del profitto diretto, il sequestro per equivalente sui beni dell'indagato, rispettando il rapporto di tendenziale accessorietà, in fase cautelare, esistente tra il secondo tipo di sequestro ed il primo e rispettando il principio secondo cui non è richiesto il vincolo pertinenziale nel sequestro di valore stante la natura stessa del vincolo finalizzato all’apprensione di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto illecitamente conseguito.

5. Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.