Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 luglio 2015, n. 15169

Lavoro - Opposizione a sanzioni amministrative - Esistenza di un rapporto di lavoro tra la società e terzi soggetti - Legittimazione passiva solo alla DPL

 

Svolgimento del processo

Con sentenza 3 luglio 2008, la Corte d’Appello di Milano dichiarava inammissibile l’appello proposto dal solo Ministero del Lavoro avverso la sentenza di primo grado, che aveva revocato, in accoglimento della relativa opposizione, l’ordinanza della Direzione Provinciale del Lavoro di Milano di ingiunzione ad e del pagamento della somma di € 65.024,00 per sanzioni amministrative comminate sull’erroneo presupposto dell’esistenza di un rapporto di lavoro tra la società e terzi soggetti.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ravvisava il difetto di legittimazione all’impugnazione del Ministero del Lavoro, avendo individuato in esso soltanto il soggetto impugnante e non anche nella Direzione Provinciale ingiungente, esclusiva legittimata passiva, a norma degli artt. 35, quarto comma e 23, quarto comma l. 689/1981, nel procedimento di opposizione e pertanto sola legittimata all’impugnazione della sentenza di sua definizione.

Con atto notificato il 25 giugno 2009 la Direzione Provinciale del Lavoro di Milano e il Ministero del Lavoro ricorrono per cassazione con due motivi, cui resistono con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Il collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 23, quarto comma l. 689/1981, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea esclusione della legittimazione all’impugnazione del Ministero del Lavoro, quale ente sovraordinato alla Direzione Provinciale, in rapporto di immedesimazione organica nei suoi confronti, pure appellante essendo stata indicata tra parentesi nell’epigrafe del ricorso.

Con il secondo, i ricorrenti deducono vizio di insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per inidoneità dell’apodittica affermazione di indicazione, tra parentesi nell’epigrafe del ricorso, della Direzione Provinciale quale mera articolazione periferica del Ministero, unico soggetto effettivamente impugnante, senza adeguata giustificazione né logica né argomentativa.

In via preliminare, questa Corte reputa inammissibile l’odierno ricorso per cassazione della Direzione Provinciale, in quanto non costituita parte nel giudizio di appello, nel quale è stato presente soltanto il Ministero del Lavoro, pur privo di legittimazione.

È noto, infatti, che la legittimazione alle impugnazioni, diverse dall’opposizione di terzo, spetti esclusivamente a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte nel grado del giudizio di merito conclusosi con la sentenza impugnata: non rilevando in contrario che il soggetto, rimasto ad esso estraneo e a differenza di quello contumace, deduca a fondamento della proposta impugnazione la propria qualità di litisconsorte sostanziale indebitamente pretermesso (Cass. 15 dicembre 2010, n. 25344; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3688).

Nel merito, il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 23, quarto comma l. 689/1981, per legittimazione all’impugnazione del Ministero del Lavoro, quale ente sovraordinato alla Direzione Provinciale in rapporto di immedesimazione organica, è infondato.

Ed infatti, nel giudizio di opposizione è passivamente legittimata la sola autorità amministrativa che abbia emesso l’ordinanza ingiunzione, la quale è pure l’unica attivamente legittimata all’impugnazione della sentenza conclusiva del giudizio (Cass. 11 agosto 2008, n. 21511; 30 maggio 2007, n. 12742). E ciò anche nell’ipotesi in cui l’autorità sia organo periferico dell’amministrazione statale, il quale agisce in virtù di una specifica autonomia funzionale che comporta deroga a quanto stabilito dall’art. 11, primo comma, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (come sostituito dall’art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260), in tema di rappresentanza in giudizio dello Stato e della speciale sanatoria prevista dall’art. 4 della citata legge 260/1958; tale legittimazione resta ferma anche nella successiva fase di impugnazione davanti alla Corte di cassazione, giacché nella disciplina dell’art. 23 della legge 689/1981 non sì rinviene alcun elemento da cui possa desumersi che alla legittimazione in primo grado dell’autorità che ha emesso il provvedimento sanzionatorio subentri nella fase di impugnazione la legittimazione del Ministro, secondo la regola ordinaria (Cass. 26 marzo 2015, n. 6316; Cass. 7 luglio 2006, n. 15596; Cass. 18 maggio 2006, n. 11752; Cass. 9 febbraio 1999, n. 1091).

Il secondo motivo, relativo a vizio di insufficiente motivazione per inidoneità dell’apodittica affermazione dell’indicazione, tra parentesi nell’epigrafe del ricorso, della Direzione Provinciale quale mera articolazione periferica del Ministero, unico soggetto effettivamente impugnante, è inammissibile.

La doglianza verte, infatti, sulla contestazione della valutazione nel merito e pertanto del relativo accertamento in fatto, di competenza esclusiva del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066), qualora, come appunto nel caso di specie, sia stato adeguatamente seppur succintamente giustificato con la spiegazione della suddetta indicazione tra parentesi alla stregua di mera precisazione dell’articolazione periferica ministeriale interessata alla vicenda: "come dimostra ... l’indicazione, sempre nella medesima epigrafe, del (solo) codice fiscale del Ministero ... e non di quello ... della Direzione provinciale del lavoro di Milano, e la precisazione che si agisce "in persona del Ministro legale rappresentante pro-tempore (e non del capo della predetta Direzione provinciale)" (così al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente l’inammissibilità del ricorso della Direzione Provinciale del Lavoro di Milano e il rigetto di quello del Ministero del Lavoro, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza a carico di quest’ultimo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso della Direzione Provinciale del Lavoro di Milano e rigetta il ricorso del Ministero del Lavoro, condannandolo alla rifusione, in favore dei controricorrenti in solido, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e in € 2.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.