Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 maggio 2015, n. 10938

Tributi - IRPEG - Base imponibile - Reddito complessivo - Lavori extracontrattuali - Iscrizione di riserva - Mera possibilità di un maggiore reddito futuro - Applicabilità dell'art. 60 (ora 93), co. 2, del DPR n. 917 del 1986 - Esclusione

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria della regione Puglia, con sentenza 7.10.2008 n. 60, ha accolto l’appello incidentale di Giovanni Putignano e Figli s.r.l. e rigettato l’appello principale dell’Ufficio di Gioia del Colle della Agenzia delle Entrate, ed in parziale riforma della decisone di prime cure, ha annullato parzialmente l’avviso accertamento avente ad oggetto le maggiori imposte dovute dalla società a titolo IRPEG, IRAP ed IVA per l’anno 1999:

- rilevando la infondatezza della pretesa, quanto ai maggiori redditi desunti dalla differenza riscontrata tra il valore dei lavori in corso di ordinazione iscritto nello Stato patrimoniale e quello iscritto a Conto economico, in quanto la società aveva correttamente applicato il criterio di contabilizzazione della "percentuale di completamento" previsto dal principio contabile OIC n. 23

- confermando l’annullamento dell’avviso disposto dal primo Giudice in relazione ai seguenti rilievi:

1- omessa contabilizzazione del maggior valore dei lavori in corso, nella misura del 50%, per variazioni in aumento dei compensi contrattuali: in quanto nella specie la iscrizione a riserva concerneva lavori extracontratto non autorizzati dalla stazione appaltante e che avrebbero pertanto potuto essere appostati come ricavi soltanto a seguito di espresso riconoscimento da parte dell’ente committente, ai sensi dell’art. 60 TUIR

2- omessa contabilizzazione di maggiori redditi desunta dalla differenza tra gli importi delle "schede delle commesse" e quello indicato in bilancio a Conto economico: in quanto l’Ufficio accertatore non aveva considerato che tale differenza "risulta iscritta in altri conti di mastro"

3- indeducibilità di costi ed indetraibilità della corrispondente IVA in relazione ai corrispettivi versati a subappaltatori : in quanto la deducibilità non era condizionata alla stipula di contratto in forma scritta, e la società aveva comunque fornito documentazione contabile idonea a comprovare le spese sostenute

4- indeducibilità per difetto di inerenza di spese sostenute per compensi professionali: in quanto trattavasi di spese sostenute per assistenza legale di un dipendente della società concernente fatti inerenti all’attività d’impresa

5- indeducibilità di spese qualificate dall'Ufficio come erogazioni liberali: in quanto trattavasi in realtà di costi riconosciuti al personale a titolo di rimborso spese di tirocinio professionale.

La sentenza di appello, notificata in data 18.11.2008, è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate che ha dedotto, con tre mezzi, vizi in procedendo in judicando e vizio di motivazione.

Resiste con controricorso la società intimata.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo la sentenza d’appello viene impugnata per vizio di violazione dell’art. 2909 c.c. e vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi, in relazione all’art. 360 col nn. 3 e 4 c.p.c.

Sostiene l’Agenzia fiscale che la CTR, avrebbe male interpretato il precedente di questa Corte cass. n. 4607/2008 (che, in relazione al precedente anno d’imposta 1994 aveva affermato -secondo la parte ricorrente- l’obbligo per la impresa appaltatrice di appostazione a ricavi del valore delle riserve dì appalto -nella misura del 50% come prescritto dall’art. 60 TUIR- concernenti variazioni in aumento del compenso contrattuale), incorrendo nella violazione del relativo giudicato esterno, formatosi "inter partes", avendo pronunciato la CTR sulla medesima questione di merito, riconoscendo illegittima la pretesa fiscale volta al recupero ad imponibile del maggior reddito d’impresa (nella predetta misura del 50%) in relazione ad iscrizione a riserva nell’esercizio 1999 di ulteriori compensi per lavori extracontratto.

Il motivo che, indipendentemente dalla confusa indicazione in rubrica dei vizi di legittimità, può agevolmente individuarsi, tanto nella esposizione, quanto nel "quesito di diritto" ex art. 366 bis c.p.c., nella critica concernente la violazione del giudicato esterno, superando -quindi- la censura il vaglio di ammissibilità (la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha, infatti, contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poiché è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura: Corte cass. II sez. 7.4.2000 n. 4349; id. II sez. 18.3.2002 n. 3941; id. I sez. 5.4.2006 n. 7882; id. I sez. 13.9.2006 n. 19661; id. I sez. 30.3.2007 n. 7981; id. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013; id. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014), deve ritenersi palesemente infondato.

Premesso che, in relazione alla determinazione del reddito imponibile derivante dalla esecuzione di contratti a durata pluriennale, l’art. 60 del Dpr n.917/1986 TUIR, nel testo applicabile ratione temporis, dispone che "1. Le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell'esercizio. A tal fine le rimanenze finali, che costituiscono esistenze iniziali dell'esercizio successivo, sono assunte per il valore complessivo determinato a norma delle disposizioni che seguono per la parte eseguita fin dall’inizio dell'esecuzione del contratto, salvo il disposto del comma 4.

2. La valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti. Delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50%. Per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati ", osserva il Collegio che la eccezione di giudicato dedotta con il motivo in esame dalla Agenzia fiscale è destituita di fondamento, mentre la motivazione della sentenza della CTR, svolta a sostegno del "decisum", deve ritenersi conforme ai principi enunciati nel precedente di questa Corte Sez. 5, Sentenza n. 4607 del 22/02/2008 (cfr. motivazione della sentenza trascritta alle pag. 11 e 12 del ricorso per cassaz.), sia in tema di limiti alla efficacia espansiva esterna del giudicato, sia in ordine alla interpretazione della norma tributaria in questione.

In quella sentenza della SC, infatti, in cui si controverteva con riferimento all’anno d’imposta 1994, anche sulla "mancata imputazione fra i componenti positivi di reddito di riserve iscritte a titolo di maggiorazioni di prezzo" , la Corte aveva rigettato il primo motivo di ricorso -con il quale la società contribuente aveva dedotto "violazione dell'art. 2909 c.c., richiamando sentenze relative agli anni 1993 e 1992"- rilevando come "....la scansione temporale delle annualità di imposta comporta che in relazione ad ogni singola annualità debba essere valutata la conteggiabilità fra le componenti attive di poste che si rinnovano ogni anno, con presupposti di fatto via via diversi. In sostanza, se un'unica posta viene frazionata in più anni (come accade per gli ammortamenti) il giudicato relativo ad una annualità coinvolge anche le altre perché la questione è identica in tutti i suoi aspetti e rileva in annualità diverse solo per le modalità temporali di imputazione. Ma se invece da un'unica fonte scaturiscono poste attive (o passive) differenti anno per anno il giudicato coinvolge quella specifica annualità oggetto del giudizio e non si riflette sulle altre, in quanto - come emerge dalla stessa narrativa della ricorrente - di volta in volta ed anno per anno si articolano in termini diversi gli elementi di fatto, restando identica solo la questione giuridica che consente di risolvere il caso concreto. Ed in ordine alle mere questioni di diritto non è opponibile il giudicato esterno...".

Alcun vincolo di giudicato, pertanto, può derivare, nella presente controversia, dall’accertamento compiuto nella sentenza n. 4607/2008, con riferimento all’anno d’imposta 1994, atteso che la iscrizione nel registro di contabilità delle "riserve" per maggiori compensi, quale fatto generatore di reddito ex art. 60 TUIR, appare oggettivamente distinto in relazione, tanto all’elemento qualitativo (tipologia dei lavori eseguiti), quanto all’elemento quantitativo (misura delle categorie di lavoro), quanto all’elemento cronologico (tempo di esecuzione e, conseguente iscrizione della riserva in formulata dall’appaltatore al committente, in relazione alla -vantata- pretesa di maggiori compensi) non è riconducibile, infatti, alla ipotesi -del tutto diversa- che è dato ravvisare nel caso della fattispecie tributaria che, perdurando eguale a se stessa nel tempo, è idonea a produrre effetti, giuridicamente rilevanti, anche negli anni successivi a quello in cui si è perfezionata (è l’ipotesi, per l’appunto delle quote di ammortamento pluriennali, che si riferiscono tutte alla medesima spesa di investimento produttivo sostenuta in un determinato esercizio; o ancora delle agevolazione fiscali, fruibili in più anni, ma riconducibili ad una specifica qualità giuridica del soggetto contribuente ovvero ad una caratteristica della attività economica da quello svolta - tendenzialmente immutabile nel tempo- assunta come condizione legale del beneficio fiscale: cfr. Corte cass. SU Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 9512 del 22/04/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 24433 del 30/10/2013), rimanendo quindi escluso che l’accertamento giudiziale compiuto su una "riserva" iscritta nell’anno 1994, con sentenza passata in giudicato, possa estendere la sua efficacia sull’accertamento relativo ad una diversa "riserva" iscritta nell’anno 1999 , pur se entrambe le pretese relative a dette "riserve" iscritte nel registro di contabilità siano fatte valere dalla società appaltatrice in dipendenza dei lavori svolti in esecuzione del medesimo contratto di appalto.

Tanto è sufficiente a rigettare il primo motivo di ricorso per cassazione, essendo opportuno aggiungere che l’Agenzia fiscale ha, peraltro, del tutto travisato la motivazione del precedente della SC n. 4607/2008, non avendo affatto affermato tale sentenza che qualsiasi maggiore compenso iscritto a riserva nella contabilità lavori debba sempre e comunque concorrere alla formazione del reddito imponibile, in misura non inferiore al 50% al valore indicato, ma ha -al contrario- affermato (coerentemente al disposto dell’art. 60 TUIR che fa riferimento soltanto ai maggiori compensi richiesti "in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali) che i lavori extra, "compiuti al di fuori di ogni previsione contrattuale", esulano dall’ambito applicativo della norma tributaria in questione (non concorrendo quindi i compensi richiesti con la iscrizione della riserva a comporre il reddito d’impresa), e che, integrando tale ipotesi un fenomeno di carattere eccezionale, gravava sul contribuente la prova che i lavori oggetto della richiesta di una variazione in aumento del compenso fossero effettivamente "lavori extracontrattuali", realizzati cioè senza autorizzazione della Direzione lavori, ovvero autorizzati dal Direttore dei lavori ma oltre i limiti di propria competenza, circoscritti ad indicazioni di dettaglio e specificative delle modalità esecutive del progetto. In proposito osserva il Collegio che l’insorgenza della necessità di apportare variazioni od addizioni all’opera richiede, infatti, ordinariamente, la previa redazione di una perizia di variante tecnica e suppletiva e l’assenso dell’ente committente che, se riterrà necessarie le opere, concorderà con l’appaltatore i nuovi lavori ed i nuovi prezzi stipulando un apposito atto contrattuale aggiuntivo, in difetto del quale le opere dovranno ritenersi eseguite "sine titulo", con la conseguenza che "mancando una tale approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun aumento di prezzo od indennità per le variazioni od addizioni avvenute" (con riferimento all’appalto di opere pubbliche - art. 342, comma 2, legge sui LL.PP.- applicabile ratione temporis : ex multis cfr. Corte cass. I sez. 25.9.1990 n. 9701; id. Sez. 1, Sentenza n. 11365 del 11/10/1999; id. Sez. 1, Sentenza n. 11501 del 17/05/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5278 del 07/03/2007).

Tanto premesso, la CTR ha espressamente qualificato come "extracontrattuali" i lavori per i quali era stata iscritta "riserva" nel registro di contabilità dalla società, non essendo quindi riconducibile la pretesa della società appaltatrice ad una specifica disposizione di legge, né trovando fondamento in una specifica clausola contrattuale, con la conseguenza che (alla stregua dell’indicato presupposto di fatto) la decisione di escludere il relativo importo dall’ambito applicativo della disposizione di cui all’art. 60, comma 2, TUIR, deve ritenersi conforme a diritto.

Con il secondo motivo la Agenzia fiscale impugna la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 60 TUIR, in relazione all’art. 360coln. 3) c.p.c.

Il motivo è infondato avuto riguardo alle medesime ragioni esposte dal Collegio nell’evidenziare la errata interpretazione della sentenza della SC n. 4607/2008 fornita dalla Agenzia delle Entrate.

La domanda formulata dalla società appaltatrice con la riserva iscritta in contabilità, come "pretesa di compensi di natura extracontrattuale", sottrae il maggiore importo richiesto dall’ambito di applicazione della norma tributaria, in quanto difetta lo stesso requisito di "certezza" (oltre che le condizioni di "determinazione del quantum" ed "esigibilità") del diritto vantato, in quanto le "variazioni od addizioni" all’opera programmata comportano sempre una modifica delle originarie obbligazioni assunte dalle parti (e per la stazione appaltante un correlativo incremento di spesa): tale modifica si risolve, pertanto, in una novazione oggettiva del contratto e richiede, quindi, una nuova manifestazione di volontà negoziale (atto di sottomissione; atto aggiuntivo) che, con riferimento al committente, può provenire esclusivamente dall’organo competente a deliberare l’assunzione degli impegni di spesa.

Alla stregua della normativa vigente al tempo della esecuzione dell’appalto, la mancanza della "superiore approvazione", può tuttavia, eventualmente, rimanere sanata dalla successiva ammissione in contabilità dei maggiori lavori eseguiti dall’appaltatore, operata in sede di collaudo, sul presupposto della riconosciuta indispensabilità di tali lavori a dare l’opera compiutamente finita ed a regola d’arte (art. 103 RD 350/1895): l’approvazione del certificato di collaudo da parte della stazione appaltante viene, infatti, a sanare retroattivamente il vizio originario della mancanza di titolo contrattuale (cfr. Corte cass. SU 19.4.1990 n. 3263; id. I sez. 28.6.1995 n. 7282; id. II sez. 5.10.1992 n. 10897; id. I sez. 19.9.1992 n. 10726 "ai fini del diritto dell’appaltatore di opera pubblica al compenso per lavori addizionali non previsti dal contratto, è necessario sia che i lavori stessi siano stati riconosciuti come indispensabili nel senso di cui all’art. 103 r.d. 25 maggio 1895 n. 350 - equivalenti a quello di "lavori necessari" di cui all’art. 1660 c.c., l’uno e l’altro presupponendo che si tratti di lavori imposti dalla conformità dell’opera alla regola d’arte- in sede di collaudo, sia che tale riconoscimento sia fatto proprio dall’organo competente della PA appaltante, in conformità delle norme che ne disciplinano l’attività"), dovendo -soltanto nell’indicata ipotesi- essere remunerate le opere variate, in conseguenza del predetto riconoscimento, a prezzi di contratto (cfr. Corte cass. I sez. n. 7282/’95 cit.). Pertanto in caso di pretese derivanti da lavori che non trovano titolo in specifiche disposizioni di legge od in clausole contrattuali, la iscrizione della "riserva" (ossia la formulazione della domanda di maggiori compensi) viene ad integrare una mera "speranza" dell’appaltatore, confinata nella ipotesi di una "mera possibilità" del futuro conseguimento di maggiori redditi, ed in quanto tale non può essere considerata , neppure nella ridotta misura del 50% prevista dall’art. 60 co 2 (vecchio) TUIR -attuale art. 93-, ai fini della composizione del reddito imponibile, diversamente venendo ad applicarsi una imposizione in palese contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva del soggetto passivo (art. 53 Cost.), ed in tal senso appare orientata la giurisprudenza di questa Corte cui deve essere data conferma (cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 13581 del 02/11/2001; id. Sez, 5, Sentenza n. 13582 del 02/11/2001; id. Sez. 5, Sentenza n. 10475 del 03/07/2003; id. Sez. 5, Sentenza n. 8628 del 06/04/2007; id. Sez, 5, Sentenza n. 25499 del 30/11/2011).

Né assume rilievo l’obiezione della Agenzia fiscale secondo cui il recupero a reddito imponibile anche di tali "riserve" sarebbe necessitato dal diritto alla deduzione dei relativi costi: è appena il caso di osservare in proposito come la ipotizzata "necessaria" corrispondenza tra compensi imponibili/costi deducibili deve ritenersi del tutto insussistente, rimanendo assoggettata la deducibilità dei costi sostenuti per l’esercizio dell’attività economica agli ordinari criteri legali della "certezza" ed "inerenza" della spesa sostenuta dal contribuente (art. 75 vecchio TUIR), sicché un eventuale maggiore costo (rispetto a quello originariamente previsto per la esecuzione del contratto) cui va incontro l’appaltatore per dare l’opera computa, potrà certamente determinare una erosione del margine di utile previsto, ma non per questo dovrà necessariamente considerarsi "non inerente" e quindi non deducibile dall’imponibile.

Il terzo motivo con il quale l’Agenzia fiscale deduce il vizio di insufficiente motivazione ex art. 360col n. 5 c.p.c. in ordine alla qualificazione "extracontrattuale" dei lavori oggetto della richiesta di maggiori compensi, iscritta a riserva nella contabilità dell’appalto, è invece fondato.

La censura supera il vaglio di ammissibilità , quanto alla specifica indicazione del luogo in cui sono stati i documenti relativi alla contabilità d’appalto (art. 366col n. 6 c.p.c.), avendo l’Agenzia fatto riferimento sia all’avviso di accertamento (integralmente trascritto anche nel ricorso per cassazione) in cui sono elencate le "riserve", i relativi importi e le causali delle richieste di maggio compenso, sia al PVC in data 20.5.2003 che, alle pag. 19-29 riporta in dettaglio tutte le riserve iscritte nel registro contabilità (cfr. ricorso cassaz. pag. 21 e 22).

Tanto premesso, l’affermazione della CTR secondo cui la natura "extracontrattuale" delle riserve non sarebbe stata contestata dalla PA, risulta smentita dalle difese svolte in primo e secondo grado dall’Ufficio finanziario (riportate negli stralci degli atti difensivi trascritti a pag. 21 e 22 ricorso cassaz.), mentre del tutto lacunosa appare la motivazione nella parte in cui si afferma che, nella specie, tutte indifferentemente le "riserve" iscritte dall’appaltatore, per maggiori compensi, si riferirebbero a lavori non ricompresi nel contratto di appalto ovvero a variazioni in corso d’opera non autorizzate dalla stazione appaltante (dunque a lavori extracontrattuali): tale asserzione, infatti, non soltanto non risulta supportata da una argomentazione logica che dia conto dell’esame dei documenti contabili dell’appalto e la cui correttezza sia pertanto verificabile ab ex temo in sede di sindacato di legittimità, ma risulta quanto meno in parte contraddetta dalla indicazione delle singole pretese oggetto di ben undici riserve iscritte dalla impresa, debitamente trascritte nel ricorso per cassazione (pag. 23-27), laddove si fa riferimento ad ordini di servizio emessi dalla Direzione lavori, a lavori che appaiono necessari alla funzionalità stessa dell’opera, a saldo certificati di pagamento, ad adeguamento di prezzi contrattuali, che impongono una verifica in concreto della corrispondenza dei maggiori lavori o dei maggiori prezzi richiesti alle condizioni che regolano il contratto.

Ed infatti se il Giudice di merito non incontra limiti nella selezione e valutazione del compendio del materiale probatorio e nella formazione del proprio convincimento, tuttavia tale attività -che attiene al merito ed è insindacabile dal Giudice di legittimità ove esente da vizi logici-, affinché possa essere oggetto di verifica ab extemo, deve trovare supporto in argomenti la cui esternazione - nell’apparato motivazionale che sorregge il decisum- soddisfi la esigenza di relazionabilità tra le premesse di fatto e le conseguenze giuridiche affermate, e deve rispondere, pertanto, ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall’art. 360col n. 5) c.p.c. con riferimento ai principi di completezza, di causalità logica (secondo lo schema induttivo-deduttivo) e di non contraddizione.

La motivazione della sentenza deve articolarsi a tal fine in una sequenza passaggi logici che possono schematicamente scomporsi: 1-nella ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il "thema probandum" della fattispecie concreta oggetto della controversia; 2-nella individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti e nella selezione di quelli ritenuti decisivi, all’esito di un giudizio di prevalenza, alla formazione del convincimento del Giudice; 3-nella indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici (ovvero le ragioni della applicazione della "regula iuris" al rapporto controverso). La carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici indicati configura un "vulnus" al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati (art. 111 co6 Cost.), che può spaziare, secondo la gravità, dal vizio di insufficienza logica (art. 360col n. 5 c.p.c.) fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale (art. 360col n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132co2 n. 4 c.p.c. ed all’art. 118col disp. att. c.p.c.).

Più in generale deve ravvisarsi il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (cfr. Corte cass. V sez. 16.7.2009 n. 16581; id. I sez. 4.8.2010 n. 18108) e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di

fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Corte cass. V sez. 10.11.2010 n. 2845) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice (cfr. Corte cass. Ili sez. 3.11.2008 n. 26426, con riferimento al ricorso ex art. 111 Cost; id. sez. lav. 8.1.2009 n. 161).

A tale compito non ha assolto la CTR e la sentenza impugnata deve, pertanto essere cassata, dovendo la causa essere rinviata al Giudice di appello affinché provveda ad emendare il vizio logico riscontrato, previo esame delle singole "riserve" iscritte dalla impresa, da valutarsi alla stregua delle indicazioni fomite nel precedente di questa Corte n. 25499/2011 cit. e che si trascrivono di seguito:

"In relazione quindi a ciascuna pretesa di "maggiori compensi" oggetto di specifica riserva iscritta nel registro di contabilità dovrà essere verificato:

- se trattasi di richiesta di maggiori "corrispettivi contrattuali" dipendenti da incremento di costi dei materiali o mano d'opera per il quale è previsto il meccanismo della revisione prezzi, ovvero da variazioni od addizioni ordinate od accettate dal committente che modifichino la dimensione dell'impegno assunto dall'appaltatore, senza tuttavia alterare la natura e l’essenza del progetto originario, ovvero ancora da eventi previsti dalla legge o dal contratto per i quali sia espressamente considerata la maggiore incidenza sul corrispettivo pattuito (art. 1664 c.c., comma 2), in tal caso ricadendo dette riserve sotto la disciplina della norma tributaria con inserimento degli importi richiesti tra le rimanenze al valore dimidiato ivi indicato;

- se trattasi invece di richieste concernenti:

A) "indennizzi" previsti da norme di legge in dipendenza dell'esercizio legittimo di facoltà concesse alla Stazione appaltante (es. esercizio del potere unilaterale di recesso - art. 1671 c.c.; L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F-), ovvero in dipendenza di fatti impeditivi della prosecuzione dell'appalto non imputabili ad alcuna delle parti (art. 1672 c.c. - impossibilità derivante da causa non imputabile D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30, comma 2, - mantenimento del vincolo contrattuale oltre il termine di durata massima previsto dalla legge per la sospensione disposta per ragioni di pubblico interesse o necessità-): in tutti questi casi, come peraltro è dato evincere dalle norme richiamate, l'appaltatore deve essere tenuto "indenne" non soltanto dei costi sopportati ma anche del mancato guadagno (la obbligazione indennitaria è infatti obbligazione di valore, dovendo essere liquidati i maggiori oneri alla stregua di un risarcimento danni da atto legittimo : Corte cass. 7A sez, 8.1.2003 n. 77; id. 7A 5 n. 17.11.2003 n. 17340; id. 5 sez. 18.12.2005 n. 27075);

B) risarcimento danni" fondati su illeciti contrattuali del committente, come ad esempio nella ipotesi di illegittima sospensione della esecuzione contrattuale disposta dalla P.A. fuori dai casi previsti dalla legge e solo per ovviare al proprio comportamento negligente (es. per errori di progettazione), ovvero nella ipotesi di ritardo colpevole nella liquidazione di somme dovute per anticipazioni, corrispettivi in acconto o revisione prezzi, o ancora nella ipotesi di violazione dei doveri di cooperazione (quale ad es. la ritardato od omessa consegna dell'area nel termine, ovvero il ritardo o la mancata verifica dell'opera od il mancato compimento delle operazioni di collaudo nel termine fissato dal capitolato).

Relativamente alle richieste indicate sopra sub lett. A) e B) dovrà trovare applicazione, ai fini della individuazione della componente reddituale da assoggettare alla disciplina del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2, il principio generale dettato dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2 secondo cui vanno recuperate a tassazione soltanto le somme corrisposte a titolo risarcitorio che abbiano funzione surrogatoria della perdita reddituale e non anche quelle che hanno esclusivamente funzione reintegrativa del patrimonio danneggiato dall'illecito contrattuale....".

In conclusione il ricorso trova accoglimento quanto al terzo motivo (inammissibile ed infondato il primo ed il secondo motivo), la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Puglia che provvederà ad emendare il vizio logico riscontrato.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Puglia che provvederà ad emendare il vizio logico riscontrato, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.