Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 giugno 2015, n. 13117

Rapporto di lavoro - Licenziamento - Eccezione dell'aliunde perceptum - Rilevabile d'ufficio - Sussiste

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

1. Con ricorso per decreto ingiuntivo J.S. chiese la condanna della Azienda Agricola F.A., A. e F. s.s., con sede in Montichiari, al pagamento in suo favore della somma di € 6979,56, a titolo di retribuzione per il mese di gennaio 2009 e di competenze di fine rapporto.

2. Contro il decreto ingiuntivo l’Azienda Agricola propose opposizione e spiegò domanda riconvenzionale avente ad oggetto il risarcimento dei danni da inadempimento del lavoratore, da compensarsi con le somme da questo richieste in via monitoria.

3. Nel costituirsi nel giudizio di opposizione, il lavoratore propose, a sua volta, domanda riconvenzionale, diretta alla dichiarazione dell’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla datrice di lavoro in data 26/1/2009, con le conseguenti domande ripristinatorie e risarcitorie, nonché alla condanna della società al pagamento, in suo favore, delle differenze retributive relative al periodo 10/9/2002-31/3/2008 e del relativo TFR.

4. II Tribunale di Brescia revocò il decreto ingiuntivo; condannò l'azienda al pagamento in favore del lavoratore della minor somma di € 1.381,83, accolse la domanda riconvenzionale del S. e, per l’effetto, dichiarò illegittimo il licenziamento e condannò l’Azienda agricola a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, nonché a risarcirgli il danno, quantificato nell’ultima retribuzione globale di fatto per il periodo intercorrente dal giorno del licenziamento fino all'effettivo ripristino del rapporto; infine, condannò l'Azienda agricola al pagamento delle differenze retributive pretese dal lavoratore per il periodo su indicato.

5. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata in data 27/3/2012, ha parzialmente riformato la sentenza, rigettando la domanda del lavoratore avente ad oggetto la condanna alle differenze retributive, confermandola nel resto.

6. Contro la sentenza, l’Azienda Agricola propone ricorso per cassazione fondato su sei motivi, cui resiste il lavoratore con controricorso. Le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.

7. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 418 c.p.c., con riferimento alla domanda riconvenzionale proposta dal lavoratore nel giudizio di opposizione, asserendone l’inammissibilità per insussistenza dell’identità della causa petendi delle due domande.

8. Il motivo è infondato.

In linea generale, nell'ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo solo l'opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, non anche l'opposto che, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione. A tale principio deve peraltro logicamente derogarsi quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall'opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, non potendo in tal caso negarsi al medesimo il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte mediante la (eventuale) proposizione di una reconventio reconventionis (v. Cass., 4 ottobre 2013, n. 22754; Cass. 13 febbraio 2009 n. 3639; Cass., 29 settembre 2006, n. 21245; Cass., 7 febbraio 2006, n. 2529; Cass., Sez. Un., 18 maggio 1994, n. 4837; contro, per l'assolutamente minoritario orientamento, secondo cui non viola gli artt. 112 e 277 c.p.c. il giudice che non pronunci su una domanda riconvenzionale proposta dall'opposto, perché essa è inammissibile, v. Cass., 25 marzo 1999, n. 2820; Cass., 29 novembre 2002, n 16957).

Di tale principio, i giudici del merito hanno fatto puntuale applicazione, ravvisando un collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere opportuno secondo il loro prudente apprezzamento, non sindacabile in sede di legittimità, la celebrazione del "simultaneus processus" (Cass., sez. un., 18 maggio 1994, n. 4837, cit. Cass., 21 gennaio 1997, n. 734).

9. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 3 della legge n. 604/1966, e 7 L. n. 300/1970, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c., nonché per vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia: assume, infatti, l'erroneità della decisione nella parte in cui i giudici del merito hanno ritenuto tardivo il licenziamento. In particolare, assume che, pacifica la sussistenza dei fatti addebitati al lavoratore, costituiti dalla sottrazione di generi alimentari, essa ricorrente aveva contestato l’addebito immediatamente dopo aver avuto contezza dei fatti (con lettera del 23/12/2008) ed aveva altresì sospeso il lavoratore cautelativamente dal servizio; il licenziamento era stato intimato dopo circa un mese (il 26/1/2009) allo scopo di consentire al lavoratore di fornire le sue giustificazioni, peraltro mai pervenute; in ogni caso, il principio dell’immediatezza doveva correlarsi alle esigenze organizzative dell'Azienda, che disponeva del S. quale unico dipendente, oltre che alle esigenze di un compiuto accertamento del fatto.

10. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. E’ inammissibile perché difetta di decisività, non avendo la parte censurato la preliminare affermazione della Corte di merito secondo cui i fatti contestati (ossia il furto di latte e altri prodotti) non avevano trovato piena conferma nell’istruttoria svolta, stante la contraddittorietà delle deposizioni testimoniali, poste a raffronto con la stessa versione dei fatti fornita dall’Azienda, e da cui si desumeva che la sottrazione avrebbe potuto essere contestata immediatamente.

11. Il motivo difetta di autosufficienza, ed anche per tale via è inammissibile, poiché la parte non trascrive, neppure nelle sue parti salienti, la lettera di contestazione con cui sarebbe stato assegnato al lavoratore un termine per fornire la sue giustificazioni (ragion per cui, secondo la ricorrente, il licenziamento era stato intimato dopo circa un mese), e ciò impedisce di apprezzare dedotto vizio motivazionale. In ogni caso, il motivo è infondato perché la Corte territoriale ha accertato - con un apprezzamento di fatto congruo ed esaustivo, oltre che sorretto da evidenze istruttorie, ed in quanto tale insindacabile in questa sede - che, nonostante la sospensione cautelare, il lavoratore aveva continuato a lavorare e la società ne aveva accettato la prestazione, senza nulla obiettare e senza che vi fosse alcunché da accertare ulteriormente, così implicitamente revocando la sospensione cautelare e facendo ragionevolmente sorgere nel S. la convinzione dell’archiviazione della vicenda.

In forza di questo apprezzamento di fatto, coerentemente la Corte ha ritenuto violato il principio di tempestività del licenziamento.

12. Con il terzo motivo l’Azienda censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art.18 l. n. 300/1970, sul presupposto che non sussistevano i presupposti per l’applicabilità della tutela reale al caso di specie. Il motivo è inammissibile perché l'assunto della ricorrente, secondo cui il limite dimensionale dell’impresa sarebbe stato "più volte evidenziato nel corso del giudizio di primo grado", difetta di autosufficienza, non avendo la parte indicato in quale atto difensivo ed in che termini vi sarebbero state queste allegazione ed in quale sede e modo si sarebbe formata sul punto la non contestazione (Cass., 18 luglio 2007, n. 15961; Cass., 28 giugno 2012, n. 10853).

13. Anche con riguardo alla mancata ammissione della richiesta istruttoria dedotta nel ricorso in opposizione, il motivo è inammissibile. La parte non ha trascritto nel ricorso per cassazione i capitoli di prova che il giudice del merito - sul corretto presupposto che è onere del datore di lavoro fornire la prova del requisito dimensionale ai fini di escludere il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. Sez. Un., 10 gennaio 2006, n. 141) - non ha ammesso perché ritenuti irrilevanti, giacché l'(eventuale) accertamento che il lavoratore fosse "l’unico addetto alla stalla" sarebbe stato comunque inidoneo a provare che non vi fossero altri dipendenti (almeno quattro) tali da integrare requisito dimensionale in esame. Il limite di autosufficienza non consente al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che la Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto ed alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass., ord., 30 luglio 2010, n. 17915). Gli stessi limiti di autosufficienza riguardano la documentazione che si assume prodotta in giudizio, costituita dalle comunicazioni obbligatorie di assunzione dei lavoratori presenti in azienda, non avendo la parte trascritto il contenuto della detta documentazione né indicato dove e quando sarebbe stata prodotta e dove la stessa sarebbe attualmente rinvenibile nel giudizio di cassazione (cfr. Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726).

14. Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza per omessa pronuncia sull'eccezione di inammissibilità della condanna al risarcimento del danno e sull’eccezione di aliunde perceptum. La censura è inammissibile con riferimento alla condanna al risarcimento del danno, in considerazione della sua genericità ed in difetto di una sua qualsivoglia illustrazione. E’ invece fondata con riguardo all'eccezione di aliunde perceptum, che non risulta affatto affrontata nella sentenza impugnata. Si è in presenza di un'omissione della motivazione, che determina la violazione dell'art. 112 c.p.c. e che configura mi error in procedendo, ai sensi del n. 4 dell'art. 360 c.p.c., il che consente a questa Corte l’esame diretto degli atti (Cass., 17 gennaio 2007, n. 978; Cass., Sez. Un., 14 maggio 2010, n.11730). Peraltro, la parte ha precisamente indicato l'atto difensivo in cui la detta eccezione è stata sollevata (punto 2.4. del ricorso in appello) e gli esatti termini della sua deduzione, specificando di aver appreso dell'attività lavorativa svolta dal S. solo dopo il deposito della sentenza di primo grado ed indicando i datori di lavoro per cui questo avrebbe lavorato.

15. La sentenza deve pertanto essere cassata, con rinvio alla stessa Corte d'appello, in diversa composizione, la quale valuterà l'ammissibilità dell'eccezione e la sua fondatezza, secondo i principi espressi da questa Corte, in forza dei quali "in tema di impugnativa di licenziamento in grado di appello, l’eccezione cosiddetta "dell'aliunde perceptum" - cioè la deduzione della rioccupazione del lavoratore licenzialo al fine di limitare il danno da risarcire a seguito di licenziamento illegittimo - non costituisce eccezione in senso stretto ma ha carattere di eccezione in senso lato, con la conseguenza che i fatti suscettibili di formare oggetto di tale eccezione sono rilevabili d'ufficio dal giudice d'appello, sempre che quei fatti risultino ritualmente acquisiti al processo per essere stati tempestivamente allegati e dimostrati dalla parte che intenda avvalersene, salvo che la conoscenza di essi non sia stata raggiunta solo in un momento successivo, così solamente essendo ammissibile la loro prova in sede di gravame " (cfr. Cass., 10 agosto 2007 n. 17606 e, più in generale, 25 luglio 2008 n. 20500 e 24 aprile 2009 n. 9464; Cass., 1 dicembre 2010, n. 24349).

16. Con il quinto ed il sesto motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine "all'eccezione di parziale accoglimento dell'opposizione" (il quinto) nonché in ordine al motivo di gravame relativo al rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno e alle istanze istruttorie (il sesto). Entrambi i motivi sono inammissibili perché introducono questioni di fatto di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata senza che vi sia la specifica indicazione e trascrizione dei motivi sottoposti al giudice del gravame e sui quali questo non si sarebbe pronunciato (Cass., 17 agosto 2012, n. 14561; Cass., 10 gennaio 2012, n. 86). Né il principio di autosufficienza può dirsi rispettato "per relationem", mediante il richiamo ad altri atti, documenti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (Cass., 13 dicembre 2006, n. 26693), che la parte non solo non trascrive ma non ne indica neppure l'attuale allocazione nel presente giudizio ( come ad es. il doc. n. 6, indicato a pag. 36 del ricorso, i docc. 7-8-9 di cui a pag. 40; la perizia del perito agrario, i referti dell’istituto zooprofilattico).

17. In proposito deve ricordarsi che anche qualora si prospetti un error in procedendo, di fronte al quale la Corte di cassazione è giudice del fatto, è pur sempre necessario che il motivo sia prospettato nel rispetto del principio di autosufficienza, con la precisa indicazione della questione, del momento della sua introduzione, delle ragioni del suo rigetto, della proposizione del motivo di gravame (Cass. Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8807; Cass., 4 luglio 2014, n. 15367)

18. In definitiva, la sentenza deve essere cassata solo con riferimento al quarto motivo di ricorso, rigettati tutti gli altri, e la causa rimessa alla Corte d'appello affinché provveda all'esame della controversia nei limiti di cui alla censura. Alla stessa Corte va rimessa la regolamentazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quarto motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.