Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 giugno 2015, n. 12490

Rapporto di lavoro - Autoferrotranvieri - Reato di furto continuato di "notevoli quantitativi" di carburante - Sanzioni disciplinari

 

Svolgimento del processo

 

1." La sentenza attualmente impugnata conferma la sentenza del Tribunale di Palermo n. 377/2010, di rigetto del ricorso di (...) già dipendente dell’(...) s.p.a. - volto all’annullamento del provvedimento di destituzione comunicatogli il 25 novembre 2005, con conseguente reintegrazione e pagamento delle retribuzioni maturate.

La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il lavoratore è stato sottoposto a procedimento penale e sospeso dal servizio, fin dal 9 novembre 1996, per il reato di furto continuato di "notevoli quantitativi" di carburante, commesso, di notte e in concorso con altri, in danno dell’(...) effettuato mediante aspirazione dei serbatoi degli autobus parcheggiati nel piazzale antistante i locali aziendali di via (...)

b) dopo l’emissione della sentenza penale di condanna di primo grado (27 gennaio 2001) il lavoratore è stato sottoposto a procedimento disciplinare iniziato il 22 febbraio 2001, con la relativa lettera di contestazione degli addebiti;

c) il successivo 27 febbraio 2001 il (...) ha reso le proprie giustificazioni, facendo anche presente di aver proposto appello avverso la sentenza di condanna di primo grado e chiedendo la sospensione del procedimento disciplinare fino alla definizione del giudizio;

d) con nota del 15 marzo 2001, l’Azienda ha comunicato al lavoratore "l’opinamento di destituzione" e lo ha informato della facoltà di chiedere la pronuncia del Consiglio di disciplina, facoltà che l’interessato ha esercitato il 13 aprile 2001;

e) il 7 novembre 2005 il suddetto Consiglio di disciplina ha deliberato la destituzione, dando atto che la sentenza di condanna di primo grado era stata confermata dalla Corte d’appello di Palermo (sentenza n. 381 del 3 febbraio 2003);

f) detto questo, deve essere dichiarato infondato il primo motivo di censura, con il quale il lavoratore sostiene l’implicita abrogazione della normativa disciplinare di cui al r.d. n. 148 del 1931 per effetto dell’entrata in vigore della disciplina limitativa dei licenziamenti di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970;

g) tale tesi è, infatti, smentita dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza amministrativa dalle quali non vi è motivo di discostarsi;

h) né appare poter portare ad un diverso risultato la sentenza delle Sezioni Unite 13 gennaio 2005, n. 460 - che è l’unico supporto alla tesi del (...) - in quanto tale sentenza ha risolto una questione di giurisdizione, affermando che sin dall’operatività della disposizione originaria dell’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, le controversie in materia di sanzioni disciplinari per gli addetti al servizio pubblico di trasporto in concessione, attribuite al giudice amministrativo dall’art. 58 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A), appartengono alla cognizione del giudice ordinario, stante l’implicita abrogazione per incompatibilità, con la indicata normativa della persistente giurisdizione del giudice amministrativo prefigurata dal citato art. 58;

i) è da respingere anche la censura relativa al presunto difetto di specificità della contestazione, in quanto, nella lettera di contestazione degli addebiti, l’Azienda ha richiamato espressamente la sentenza penale di condanna, che era stata trasmessa dallo stesso lavoratore alla datrice di lavoro e ha invitato il dipendente a presentare le proprie giustificazioni, la cui assoluta pertinenza ai fatti addebitati dimostra che la contestazione ha raggiunto il proprio scopo;

l) infondata è anche la censura di pretesa violazione del principio di immediatezza del licenziamento, in quanto l’allungamento dei tempi è dipeso dalle difficoltà riscontratesi nella nomina del nuovo Consiglio di disciplina, per i dubbi espressi dall’Assessorato Regionale del Lavoro in ordine alla persistenza della normativa in materia;

m) è, quindi, evidente che l’intervallo temporale tra contestazione disciplinare e destituzione non può essere considerato come un sintomo della mancanza di interesse dell’(...) ad esercitare la propria facoltà di recesso, avendo l’Azienda, invece, dimostrato da sempre di considerare i fatti addebitati come incompatibili con la prosecuzione del rapporto;

n) quanto alla pretesa inosservanza dell’art. 54 del r.d. n. 148 del 1931, va precisato che il termine ivi previsto per la convocazione del Consiglio di disciplina, nel silenzio della legge, non può considerarsi perentorio;

o) d’altra parte, è priva di oggettiva lesività la mancata assegnazione del termine di cui all’ultimo comma dell’art 56 del r.d. n. 148 del 1931, in quanto tale assegnazione presuppone lo svolgimento di indagini da parte dell’Azienda, mentre nella presente fattispecie tali indagini non sono state effettuate, avendo  |ha recepito l’accertamento eseguito in sede penale;

p) infine non può dubitarsi della proporzionalità della destituzione, data la estrema gravità dei fatti commessi dal (...).

2- Il ricorso di (...), domanda la cassazione della sentenza per sette motivi; resiste, con controricorso, (...).

 

Motivi della decisione

 

I — Sintesi dei motivi di ricorso

1. " Il ricorso è articolato in sette motivi, con i quali, in sintesi, si formulano le seguenti censure:

1) con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 15 delle preleggi e dell’art. 102, lett. b), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, nonché dell’art. 2106 cod. civ. e dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, asserito mancato rispetto del principio di specificità della contestazione e di quello di immediatezza del recesso, sulla premessa dell’avvenuta abrogazione implicita della normativa disciplinare di cui al r.d. n. 148 del 1931;

2) con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2119 cod. civ., si ribadisce la sopravvenuta illegittimità del Consiglio di disciplina, con conseguenza della sostenuta abrogazione dell’art. 58 del r.d. n. 148 del 1931, e si sostiene che il lungo tempo (circa quattro anni) intercorso tra l’opinamento di destituzione e la destituzione stessa deporrebbe nel senso della ritenuta insussistenza della giusta causa di recesso, da parte dell’(...)

3) con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevandosi che la Corte d’appello si è limitata ad affermare che la contestazione disciplinare era completa e idonea a raggiungere il proprio scopo, ma nulla ha detto sulla diversa questione - ritualmente proposta fin dal primo grado - del mancato rispetto dell’obbligo di motivazione nel provvedimento di destituzione;

4) con il quarto motivo si denuncia violazione della legge n. 241 del 1990, si torna sul mancato rispetto dell’obbligo di motivazione, precisandosi che la Azienda aveva l’obbligo di spiegare le ragioni per le quali la condanna penale impediva la prosecuzione del rapporto di lavoro;

5) con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 54 del r.d. n. 148 del 1931, sull’assunto della erroneità della configurazione come non perentori dei termini previsti dalla suddetta norma per la convocazione del Consiglio di disciplina, come effettuata dalla Corte palermitana, che ha anche soggiunto che il mancato rispetto di tali termini è ininfluente ai fini della legittimità del recesso;

6) con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 56 del r.d. n. 148 del 1931, contestando la affermazione della Corte territoriale sulla irrilevanza, nella specie, della mancata assegnazione del termine prescritto, in conseguenza della mancata effettuazione di atti di indagine da parte dell’(...), che ha recepito l’accertamento eseguito in sede penale;

7) con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, per asserita erroneità del mancato annullamento della destituzione, con le relative conseguenze.

H - Esame delle censure

2. - I motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

3. - Quanto alla formulazione delle censure va rilevato che - nonostante il formale richiamo alla violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. sia presente soltanto nella intestazione del terzo motivo - tuttavia, la maggior parte delle doglianze si risolve in una denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata, impropriamente prospettata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti e quindi finisce con l’esprimere un mero, quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze probatorie di causa effettuate dalla Corte d’appello, anziché sotto il profilo della scorrettezza giuridica e della incoerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito.

Oltretutto, con riguardo a tutte le questioni attinenti la lettura della contestazione disciplinare e del provvedimento di destituzione, non risulta neppure rispettato il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. e all’art. 369, n. 4, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

Tale situazione impedisce, pertanto, a questa Corte l’esame nel merito del primo, del terzo, del quarto e del sesto motivo, che sono da considerare inammissibili.

4. - Tutte le restanti censure muovono dalla contestazione della affermazione della Corte d’appello secondo cui è da escludere l’implicita abrogazione della normativa disciplinare di cui al r.d. n. 148 del 1931 per effetto dell’entrata in vigore della disciplina limitativa dei licenziamenti di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, come ritenuto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza amministrativa e non smentito dalla sentenza delle Sezioni Unite 13 gennaio 2005, n. 460, che è l’unico precedente cui fa riferimento il (...) .

Ebbene la suddetta statuizione della Corte palermitana - supportata da congrua e logica motivazione - appare del tutto corretta essendo condivisibile quanto si legge nella sentenza impugnata a proposito della finalizzazione della suindicata sentenza delle Sezioni Unite alla sola risoluzione della annosa questione della persistente attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia di sanzioni disciplinari per gli addetti al servizio pubblico di trasporto in concessione, ai sensi dell’art. 58 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A), con l’affermazione del principio secondo cui, sin dall’operatività dell’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nella sua originaria versione, tali controversie appartengono alla cognizione del giudice ordinario, stante l’implicita abrogazione per incompatibilità con la indicata normativa, della persistente giurisdizione del giudice amministrativo contemplata nel citato art. 58.

Le Sezioni Unite - a fronte della complessità della questione e dell’intervento di diverse ordinanze della Corte costituzionale nelle quali era stata affermata la permanenza della giurisdizione amministrativa in base alle previsioni dell’art. 58 (Corte cost. ord. n. 439 del 2002, che richiama, tra le altre, l’ordinanza n. 161 del 2002 nonché ord. n. 301 del 2004) oltre che di pronunce della stessa giurisprudenza di legittimità in tal senso - sono pervenute alla suindicata conclusione con ampia motivazione, peraltro finalizzata ad affermare l’intervenuta estensione della giurisdizione ordinaria alle controversie concernenti tutti i momenti e gli aspetti del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, al fine di restituire coerenza al sistema almeno dal punto di vista processuale, in applicazione anche di quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, ove - nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1 del d.lgs. n. 80 del 1998 in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - il Giudice delle leggi ha precisato che, tra le controversie in materia di pubblici servizi, sono tuttora devolute alla giurisdizione amministrativa, quelle nelle quali l’amministrazione pubblica agisce esercitando il suo potere autoritativo, oppure utilizza strumenti negoziali sostitutivi del potere autorizzativo stesso.

Al tale ultimo riguardo, le Sezioni Unite hanno, appunto, specificato come le controversie in materia di provvedimenti disciplinari adottati da un’impresa di trasporti nei confronti dei propri dipendenti non possano, all’evidenza, rientrare in alcuna delle suddette ipotesi, in quanto tali  provvedimenti sono la manifestazione di un potere contrattuale esercitato in posizione paritaria, non dissimile da quello proprio di qualunque altro datore di lavoro privato.

5. - Nella sentenza stessa le Sezioni Unite hanno sottolineato come, oltre al riparto di giurisdizione in materia disciplinare, la "disomogeneità" o "incoerenza" del sistema in argomento - più volte rilevate dalla giurisprudenza e dalla dottrina - riguarda l’intero rapporto di lavoro, che risulta "ancora disciplinato da un corpus di norme che sembra aver resistito a qualunque riforma e modificazione, pur notevole, intervenuta nel nostro ordinamento giuridico dal lontano 1931 (il codice civile, la Costituzione, la privatizzazione del pubblico impiego, per citare le tappe più rilevanti)".

E ciò non può che confermare l’esattezza della interpretazione offerta dalla Corte palermitana alla suindicata sentenza, esattezza avvalorata dalle numerose decisioni di questa Corte successive, nelle quali è stato affermato il persistente vigore del r.d. n. 148 del 1931, per quanto riguarda le sanzioni disciplinari (vedi, per tutte: Cass. 11 marzo 2013, n. 5958; Cass. 6 marzo 2013, n. 5551; Cass. 22 maggio 2009, n. 11929), sia pure con alcune limitazioni, che non riguardano la presente fattispecie, come si dirà più avanti.

6. - A quanto si è detto va aggiunto che, in seguito alla entrata in vigore dell’art. 102, comma 1, lett. b), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, si è effettivamente posta la questione della totale soppressione, o meno, dei Consigli di disciplina, in relazione alla corretta interpretazione degli artt. 54-58 del r.d. n. 148 del 1931, in combinazione con la nuova disposizione (vedi: Consiglio di Stato, sez. II - Parere 19 aprile n. 453/2000).

E tale questione, tra molte incertezze, è stata risolta nel senso della persistenza dei suindicati Consigli di disciplina per la generalità delle aziende di trasporto, salvo che per le gestioni governative, i cui Consigli sono stati considerati soppressi dall’art. 102, comma 1, lett. b), cit.

Ne consegue che, del tutto ragionevolmente, la Corte palermitana: 1) ha attribuito il protrarsi dei tempi del procedimento disciplinare alle difficoltà riscontratesi nella nomina del nuovo Consiglio di disciplina, derivanti dai dubbi espressi dall’Assessorato Regionale del Lavoro in ordine alla persistenza della normativa in materia (situazione verificatasi in molte Regioni, per i motivi di cui si è detto); 2) ha, quindi, escluso che l’intervallo temporale tra contestazione disciplinare e destituzione potesse essere considerato come un sintomo della mancanza di interesse dell’(...) ad esercitare la propria facoltà di recesso, tanto più che è pacifico che l’Azienda, abbia, invece, dimostrato da sempre di considerare i fatti addebitati come incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro.

7 - Del pari ragionevole e conforme ai principi generali dell’ordinamento deve considerarsi la statuizione della Corte territoriale secondo cui l’art. 54 del r.d. n. 148 del 1931, nella parte in cui stabilisce che "il Consiglio di disciplina è convocato dal presidente entro 15 giorni dalla, domanda della parte interessata; ove alla prima convocazione non si presentino tutti i suoi componenti, il presidente in dice una nuova riunione entro i successivi quindici giorni", senza attribuire carattere perentorio ai suddetti termini, deve essere inteso nel senso che essi hanno carattere ordinatorio.

È noto, infatti, che, in assenza di una espressa previsione in tal senso, vanno evitate interpretazioni formalistiche delle norme di tipo procedurale (arg. ex Cass. 11 settembre 2014, n. 19203).

8. - Altrettanto corretta si deve considerare l’interpretazione effettuata dalla Corte territoriale dell’art. 56, ultimo comma, del r.d. n. 148 del 1931. Tale disposizione, infatti, testualmente viene in considerazione soltanto nel caso in cui sia necessario garantire all’incolpato una idonea difesa rispetto alle indagini e alle constatazioni necessarie per l’accertamento dei fatti costituenti le mancanze disposte dall’Azienda ai sensi del precedente art. 53 (vedi, primo comma dell’art. 56).

Pertanto, come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, non avendo nella specie l’Azienda fatto applicazione del citato art. 53 — per avere (...) recepito l’accertamento eseguito in sede penale — non poteva venire in considerazione l’assegnazione del termine di cui all’ultimo comma dell’art. 56 cit.

9. - Da ultimo va soggiunto - con riguardo alla violazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, dedotta nel settimo motivo - che si tratta di una censura, nella specie, infondata, perché, in base alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte, la procedura di irrogazione delle sanzioni disciplinari degli autoferrotranvieri è tuttora regolata dalla normativa speciale costituente un "corpus" compiuto ed organico di cui al r.d. n. 148 del 1931, non derogato dalle leggi generali successive relative al lavoro privato, mentre il ricorso alla normativa ordinaria prevista per la irrogazione delle sanzioni disciplinari nel rapporto di lavoro regolato dal diritto privato è considerato possibile soltanto ove si riscontrino nella suddetta normativa speciale lacune tali che non siano superabili neanche attraverso l’interpretazione estensiva o analogica di altre disposizioni appartenenti allo stesso "corpus" o relative a materie analoghe o secondo i principi generali dell’ordinamento (Cass. 6 marzo 2013, n. 5551; Cass. 10 luglio 2012, n. 11547).

Ipotesi, quest’ultima, che per quel che si è detto, non si verifica nella presente fattispecie, la quale trova la sua completa disciplina nel suddetto r.d. n. 148 del 1931, come affermato nella sentenza impugnata.

10. Alle indicate considerazioni consegue l’infondatezza del secondo, quarto e settimo motivo.

III - Conclusioni

11. - In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.