Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 giugno 2015, n. 11479

Lavoro subordinato - Licenziamento - Requisito della forma scritta della comunicazione - Mancata consegna al lavoratore - Lettura della comunicazione all’atto dell’estromissione - Prova testimoniale - Inammissibilità

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata il 10.3.12 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame interposto da D. G. contro la pronuncia del Tribunale capitolino che ne aveva respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli da T. I. S. S.p.A.

Per la cassazione della sentenza ricorre D. G. affidandosi a sei motivi.

T. I. S. S.p.A. resiste con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1- Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dei documenti depositati nelle more dal ricorrente, atteso che ex art. 372 c.p.c. nel giudizio di legittimità possono essere prodotti solo documenti che riguardino la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso o del controricorso.

2- Con il primo mezzo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 legge n. 604/66 per avere l’impugnata sentenza ritenuto soddisfatto il requisito della forma scritta del licenziamento in base alla deposizione dei testi D. e F. (funzionari della società controricorrente), che avevano riferito di aver redatto un verbale di avvenuta lettura e consegna della lettera di licenziamento al ricorrente, che ciò nonostante aveva rifiutato di sottoscriverlo: obietta, invece, il ricorso l’inammissibilità della prova orale della comunicazione del licenziamento, atteso che l’art. 2 prevede che il licenziamento debba essere comunicato in forma scritta; inoltre, ex art. 2725 c.c, quando per legge o volontà delle parti un atto unilaterale o contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell’art. 2724 (cioè quando il contraente abbia, senza colpa, perduto il documento che gli forniva la prova).

Analoga doglianza viene in sostanza fatta valere con il secondo mezzo di ricorso, sotto forma di omessa od insufficiente motivazione in ordine alla lamentata inattendibilità del teste D. (sottoposto a verosimili pressioni datoriali in quanto indagato insieme con il proprio datore di lavoro per associazione per delinquere in relazione a reati di evasione fiscale) e con il terzo mezzo sotto forma di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria là dove la gravata sentenza ha dedotto la comunicazione in forma scritta del licenziamento dal fatto che l’impugnativa del licenziamento stesso operata dal ricorrente ex art. 6 legge n. 604/66 non faceva menzione del difetto della forma prescritta dalla legge.

Con il quarto mezzo il ricorso denuncia vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ravvisato i fatti oggetto di contestazione (cioè l’avere il ricorrente speso il nome dell’azienda spacciandosi presso strutture alberghiere per la persona che, in rappresentanza della società controricorrente, avrebbe avuto l’incarico di organizzare eventi) in base ad un’errata ricostruzione della vicenda, inficiata dal contrasto fra le deposizioni a riguardo rese dai testi D. e De L. e senza tener conto di quelle (illogicamente svalutate) rese dai proprietari degli alberghi M. e S. che avevano negato che il ricorrente avesse mai prospettato l’organizzazione

presso i loro alberghi di eventi per conto della T.; del pari viziata - prosegue il ricorso - è la motivazione della sentenza nella parte in cui trae argomento di prova dal tenore delle giustificazioni rese dal ricorrente nel corso del procedimento disciplinare, che non aveva esaurientemente affrontato il merito delle contestazioni sol per la loro lacunosità.

Con il quinto motivo ci si duole di violazione dell’art. 2119 c.c. e di vizio di motivazione dato il carattere sproporzionato della sanzione del licenziamento per giusta causa.

Con il sesto motivo il ricorso lamenta violazione degli artt. 2 legge n. 604/66 e 2697 c.c. e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto sfornito di prova il denunciato carattere discriminatorio e ritorsivo del licenziamento dovuto all’attività sindacale del ricorrente, che già in passato aveva patito discriminazioni, ritorsioni e demansionamenti ad opera della società, al punto che con sentenza n. 3421/09 il Tribunale di Roma di Roma aveva accertato una condotta aziendale di mobbing ai danni del G.

3- Il primo motivo di ricorso è fondato.

Si legge nell’impugnata sentenza che la società oggi controricorrente ha prodotto in corso di causa lettera di intimazione di licenziamento all’odierno ricorrente recante la data del 5.6.07 con la dicitura, in calce, della sua avvenuta lettura al ricorrente medesimo, il che avrebbe avuto luogo lo stesso giorno alle ore 10,50 ad opera di A. D., responsabile M. W. S., e di D. F., della funzione H. R. di T. I. S. S.p.A., con annesso verbale a loro firma in cui danno atto di aver letto e consegnato al lavoratore copia della lettera di recesso e del suo rifiuto di sottoscrivere per ricevuta.

Tali circostanze, confermate in via testimoniale dai predetti A. D. e D. F., sono state invece contestate dal ricorrente, che ha negato, a monte, di aver mai ricevuto lettura e/o tentativo di consegna a mani dell’atto di licenziamento.

In altre parole, nel caso di specie è controversa l’esistenza stessa, al momento dell’estromissione dall’azienda del ricorrente, d’un atto comunicatogli per iscritto contenente la volontà di recedere dal rapporto da parte della società.

Ciò premesso, si osservi che ai sensi dell’art. 2, commi 1° e 3°, legge n. 604/66 è stabilita per il licenziamento la "comunicazione" in forma scritta a pena di inefficacia (rectius, l’inefficacia consegue alla nullità per difetto di forma prescritta ad substantiam: cfr. Cass. n. 13543/02), forma scritta che a sua volta può essere quella della lettera anche non raccomandata, o di qualunque altro scritto.

Il licenziamento, avendo natura recettizia, produce i propri effetti quando sia giunto a conoscenza del destinatario, conoscenza presunta ex art. 1335 c.c. quando l’atto sia pervenuto al suo indirizzo o gli sia stato materialmente consegnato a mani proprie, circostanza - quest’ultima - che può essere dimostrata, ad esempio, dalla sottoscrizione per ricevuta apposta in calce alla lettera medesima o anche attraverso prova testimoniale.

Invero, una cosa è la forma dell’atto contenente la manifestazione di voler recedere dal rapporto (e questa può essere solo scritta), altro è il mezzo della concreta trasmissione dell’atto medesimo (mediante corriere, servizio postale, consegna a mano etc.), come questa S.C. ha avuto modo di puntualizzare proprio nella sentenza n. 23061/07 richiamata dalla gravata pronuncia.

Tuttavia, contrariamente a quanto supposto dai giudici di merito, tale precedente non può suffragare il rigetto dell’impugnazione proposta dall’odierno ricorrente, poiché nel caso esaminato dalla citata sentenza n. 23061/07 (così come in altre precedenti analoghe pronunce di questa Corte) la tempestiva redazione per iscritto della lettera di licenziamento era pacifica tra le parti (come emerge da un’attenta lettura della motivazione), sicché fra di esse erano controverse soltanto le modalità di trasmissione della lettera medesima, nel senso che il lavoratore ne assumeva il mancato invio, mentre l’azienda sosteneva che egli si era rifiutato di riceverne la consegna a mani sul luogo di lavoro, circostanza in sé suscettibile di prova testimoniale.

Al contrario, nella vicenda in esame è - a monte - contestato che al momento dell’estromissione dall’azienda al ricorrente fosse stata letto, mostrato o consegnato uno scritto contenente la volontà datoriale di recesso.

È pur vero che a tal fine la sentenza impugnata ha dato credito alla deposizione dei testi D. e F. (che hanno riferito di aver letto e consegnato la missiva al destinatario), ma si tratta di testimonianze inammissibili ex art. 2725 cpv. c.c. (come eccepito dal ricorrente), norma che non consente la prova testimoniale d’un contratto (o di un atto unilaterale, ex art. 1324 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso indicato dal precedente art. 2724 n. 3 c.c., vale a dire quando il documento sia andato perduto senza colpa (circostanza che nessuno ha allegato nella presente controversia).

Si tratta di divieto di testimonianza che ne importa inammissibilità rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (attenendo a norma di ordine pubblico), a differenza di quanto avviene in ipotesi di violazione degli artt. 2721 e ss. c.c. o di testimonianza assunta in materia di atti unilaterali e contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem tantum, che invece determina mera nullità relativa ex art. 157 co. 2° c.p.c. (concernendo la tutela di interessi privati), in quanto tale sanata ove non eccepita dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al suo verificarsi (giurisprudenza costante: cfr., ex aliis, Cass. n. 14470/14; Cass. n. 7765/10; Cass. n. 11398/05; Cass. n. 144/02; Cass. n. 4690/99; Cass. n. 2988/90).

Né tale divieto è superabile ex art. 421 co. 2°, prima parte, c.c., noto essendo che esso, nell’attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 stesso codice (anche a tale riguardo la giurisprudenza di questa Corte Suprema è costante: cfr. Cass. n. 17614/09; Cass. n. 17333/05; Cass. n. 11540/96).

A tal fine non può supplire il documento prodotto dalla società e consistente in una lettera di licenziamento recante la data del 5.6.07 con la dicitura, in calce, della sua avvenuta lettura al ricorrente medesimo, poiché di tale documento non risulta - sempre secondo quel che si ricava dalla sentenza impugnata - la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all’estromissione del lavoratore.

Né la data potrebbe essere quella riferita dai testi D. e F., perché in tal modo si aggirerebbe surrettiziamente quel divieto di prova testimoniale di cui all’art. 2725 cpv. c.c.

Pertanto, non potendosi provare in via testimoniale la - controversa - comunicazione per iscritto del licenziamento, lo stesso risulta nullo per difetto della forma prevista ex lege.

Tale conclusione è coerente e simmetrica a quella adottata da questa S.C. in tema di impugnazione extragiudiziale del licenziamento ex art. 6 legge n. 604/66, anch’essa richiesta per iscritto ad substantiam (cfr. Cass. n. 10862/06; Cass. n. 11059/2000).

4- L’accoglimento del primo motivo assorbe la disamina delle restanti censure.

5- In conclusione, deve accogliersi il primo motivo, con assorbimento degli altri, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che, vista la nullità del licenziamento per difetto di forma, dovrà limitarsi a statuire sulle relative conseguenze.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti motivi e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.