Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 aprile 2015, n. 7238

Tributi - IRPEF - Redditi fondiari - Reddito agrario - Vendita di prodotti - Impresa agraria per connessione - Requisiti - Oggetto - Dimensioni tecnico-organizzative - Rivendita di prodotti acquistati da terzi - Inserimento nel ciclo produttivo - Necessità

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con processo verbale di constatazione n. 1129 del 21 dicembre 2000, la Guardia di finanza appurava che la ditta "3A - Aziende Agricole Associate", società semplice costituita per la lavorazione dei prodotti agricoli dei soci e la loro commercializzazione sui mercati nazionali ed esteri, operava non come impresa agricola ma quale vera e propria compagine commerciale. Su tali presupposti e in tempi diversi il fisco emetteva svariati atti impositivi per gli anni dal 1995 al 1999, dal quali scaturiva ampio contenzioso giudiziario.

2. Le riprese fiscali per imposte dirette riguardanti gli anni 1995-1996-1997 erano definite, in senso favorevole alla contribuente, con le sentenze di questa Corte nn. 15708, 15709 e 15710 del 2009, che affermavano il seguente principio di diritto: "Ai fini dell'assoggettamento all'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), l’attività di lavorazione e commercializzazione di prodotti agricoli svolta da una società semplice, ed avente ad oggetto i prodotti agricoli derivanti dall'attività di produzione dei soci e di terzi, può essere ritenuta connessa a quella agricola ai sensi dell'art. 2135 cod. civ. e dell'art. 29, secondo comma, lettera c), del d.P.R. n. 917 del 1986, e conseguentemente non assoggettabile al regime fiscale relativo alle imprese commerciali, anche se la connessione operi solo in senso oggettivo e funzionale, non avendo il legislatore prescritto come requisito indispensabile la corrispondenza soggettiva tra chi svolge l'attività principale e quella connessa, ferma restando la necessità di valutare, caso per caso, la rilevanza quantitativa e qualitativa degli apporti, al fine di stabilire se l'attività connessa non risponda prevalentemente a scopi commerciali od industriali, realizzando utilità indipendenti o prevalenti rispetto all’attività agricola". (Sez. 5, Sentenza n. 15708 del 03/07/2009, Rv. 609007).

3. Le riprese fiscali per imposta sul valore aggiunto riguardanti sempre gli anni 1995-1996-1997 erano pure definite, in senso favorevole alla contribuente, con sentenze di merito divenute definitive per mancata impugnazione.

4. L'avviso di accertamento per imposte dirette e IVA riguardante l'anno 1999 era anch'esso annullato con decisione confermata dalla sentenza n. 302/16/10 del 2 novembre 2010 della commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione di Siracusa. Il giudice di appello, in estrema sintesi, riteneva che l'attività svolta dalla contribuente non travalicasse i limiti dell'attività agricola come definita dall'art. 2135 cod. civ., restando senz'altro nell'ambito della manipolazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli coltivati, prevalentemente, sui terreni dei soci; sicché la società era esente da imposta sui redditi a mente dell'art. 10 del d.P.R. n. 601 del 1973. In tal senso militavano le risultanze peritali e la conclusione assolutoria del procedimento penale sorto sulla vicenda. Riteneva, inoltre, che la società aveva tenuto regolare contabilità e aveva diritto al ristoro dell'IVA esposta nelle fatture per gli acquisti di prodotti agricoli dai soci produttori.

5. Per la cassazione della decisione, l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso (17784/09) affidato a tre motivi. La parte privata resiste con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso deve essere disatteso nei sensi sotto indicati.

1.1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando la violazione o la falsa applicazione dell'art. 51 TUIR in relazione agli artt. 2135 e 2195 cod. civ., la ricorrente censura la sentenza d'appello laddove essa nega che la società semplice contribuente sia in realtà una compagine commerciale e generatrice di reddito d'impresa. Lamenta che, nel sussumere la fattispecie concreta nella fattispecie astratta dell'impresa agricola, il giudice regionale trascura di considerare che la società contribuente non è mai stata affittuaria o concessionaria dei fondi, rimasti sempre nella disponibilità dei soci, e che la stessa ha commercializzato sia prodotti conferiti dai soci sia quelli provenienti da altre ditte non associate. Pertanto, a tutto concedere, la società per un verso ha reso ai soci delle normali prestazioni di servizi e per un altro ha commercializzato prodotti anche acquistati presso terzi fornitori. Risulta, infatti, che l'amministratore unico della società abbia dichiarato che, fino al termine della campagna agraria 1998/1999 (31 luglio 1999) i ricavi sono stati attribuiti ai soci al netto dei costi, in misura proporzionale alla quantità e qualità dei prodotti; mentre successivamente sono stati attribuiti al netto di spese generali e costi di diretta imputazione (lavorazione e vendita dei prodotti), addebitando questi ultimi con l'applicazione dell'aliquota IVA ordinaria. II che sarebbe, per il fisco, indice rivelatore della natura commerciale dell'attività, stante l'assenza di quel necessario collegamento con l'attività agraria in senso stretto.

1.2. Con secondo motivo e con riferimento alla medesima questione, la ricorrente denuncia anche vizio motivazionale laddove la sentenza, per dar conto della ritenuta natura agricola dell'attività, si abbandonerebbe ad affermazioni generiche e acritiche, sostanzialmente riconducibili a dati non probanti quali la regolarità contabile, l'esistenza di precedenti giudiziari favorevoli alla contribuente e una sentenza penale d'assoluzione del suo amministratore.

2. La contribuente formula svariate eccezioni preliminari e pregiudiziali.

2.1. Sul piano strettamente processuale, in applicazione dell'art. 366 bis c.p.c., la controricorrente sostiene che dovrebbe essere dichiarato inammissibile, per contrasto con la suddetta disposizione, l'odierno (primo motivo di) ricorso le cui censure sono prospettate con quesito di diritto inidoneo. Sennonché la norma invocata si applica solo ai ricorsi contro le sentenze pubblicate dopo l'entrata in vigore (2 marzo 2006) dell'articolo richiamato (introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) e prima della data di entrata in vigore (4 luglio 2009) del d.lgs. 18 giugno 2009, n. 69, che l'ha abolito.

2.2. Inoltre, nel controricorso e nella memoria difensiva, la società formula eccezione di giudicato esterno riguardo alle svariate decisioni a sé favorevoli sulle medesime questioni oggetto di ricorso, ma l'eccezione non è fondata. Come si è visto, della società semplice "3A - Aziende Agricole Associate" il giudice di legittimità si è già occupato per altri precedenti anni d'imposta, con esiti effettivamente favorevoli per la contribuente. Nell'occasione si affermato che, ai fini dell'assoggettamento a IRPEG, l'attività di lavorazione e commercializzazione di prodotti agricoli svolta da una società semplice, ed avente ad oggetto i prodotti agricoli derivanti dall'attività di produzione dei soci e di terzi, può essere ritenuta connessa a quella agricola ai sensi (art. 2135 cod. civ. e dell'art. 29, co. 2, lett. c), TUIR), e conseguentemente non assoggettabile al regime fiscale relativo alle imprese commerciali, anche se la connessione operi solo in senso oggettivo e funzionale. Infatti, il legislatore non ha prescritto come requisito indispensabile la corrispondenza soggettiva tra chi svolge l'attività principale e quella connessa, ferma restando la necessità di valutare, caso per caso, la rilevanza quantitativa e qualitativa degli apporti, al fine di stabilire se l'attività connessa non risponda prevalentemente a scopi commerciali od industriali, realizzando utilità indipendenti o prevalenti rispetto all'attività agricola, (v. Sez. 5, Sentenza n. 15708 del 03/07/2009, Rv. 609007). Ciò vale, però, solo quale autorevole e significativo precedente giurisprudenziale di legittimità e non quale giudicato esterno (v. infra §2,3).

Infatti, la sentenza con la quale si accertino il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli. (Sez. 5, Sentenza n. 20029 del 30/09/2011, Rv. 619240). Invece, Il concreto atteggiarsi dell'attività d'impresa, agricola e/o commerciale, è dato tendenzialmente mutevole. A tal proposito, si osserva che il legislatore e la giurisprudenza di legittimità richiedono di valutare, volta per volta, la rilevanza quantitativa e qualitativa degli apporti, al fine di stabilire se l’attività connessa non risponda prevalentemente a scopi commerciali od industriali e realizzi, quindi, utilità indipendenti o prevalenti rispetto all'attività agricola.

A conclusioni analoghe si deve giungere anche per i precedenti giudiziari di merito maturati nelle more e invocati con la memoria difensiva.

2.3. Sotto altro profilo, in applicazione dell'art. 360 bis, comma 1, n. 1, c.p.c., la controricorrente eccepisce che dovrebbe essere dichiarato inammissibile, per contrasto con la suddetta disposizione, l'odierno (primo motivo di) ricorso per cassazione le cui censure sono prospettate sul presupposto della contestazione dell'interpretazione della normativa applicabile adottata dalla sentenza d'appello, conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, senza però offrire elementi validi a modificare i suddetti orientamenti. Il rilievo richiede delle precisazioni.

Le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che II ricorso scrutinato ai sensi dell'art. 360 bis, n. 1 cod. proc. civ. deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla (Sez. U, Sentenza n. 8923 del 19/04/2011, Rv. 616859, e n. 5941 del 16/04/2012, Rv. 621915)), posto che anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata (Sez. U, Ordinanza n. 19051 del 06/09/2010 (Rv. 614183), ovvero non più adeguata alle esigenze di una corretta pronunzia sul caso (v. infra §4 e seg.).

3. Passando, dunque, all'esame del ricorso, esso deve essere rigettato per manifesta infondatezza alla luce della richiamata e specifica giurisprudenza di legittimità, alla quale, mancando elementi per mutare l’orientamento della stessa, va data continuità, sia pure con qualche precisazione di ordine sistematico.

3.1. Sin dagli anni '70 e '80, soprattutto nella giurisprudenza lavoristica e previdenziale, si è affermato il principio che, sebbene intrinsecamente industriale, la trasformazione dei prodotti della terra costituisce attività agricola quando l'imprenditore, pur non limitandola al prodotti del proprio fondo, la svolga al fine di favorire la redditività del medesimo secondo il normale esercizio dell'agricoltura e che tale principio sia applicabile anche nel caso in cui detta attività sia svolta da un organismo unitario (consorzio, cooperativa, cantina sociale, e simili), sia pure munito di autonoma soggettività giuridica, dovendosi l'attività di questo ritenere meramente sostitutiva di quella del singoli coltivatori associati e, perciò, connessa, soggettivamente ed oggettivamente, con l'attività agricola primaria degli stessi. Anche in tal caso, pertanto, il fatto che l'attività di trasformazione non sia limitata ai prodotti conferiti dagli associati, ma riguardi anche prodotti acquistati presso terzi, e, di per sé stesso, insufficiente ad escludere il carattere agricolo dell'attività medesima, ferma, peraltro, al fine di affermare o escludere l'anzidetto carattere, la necessita di ricorrere al criterio della prevalenza, qualora l’attività (Sez. L, Sentenza n. 1974 del 24/03/1980, Rv. 405606).

3.2. Tale orientamento si è andato consolidando nel corso degli anni '80 e '90 affermandosi ripetutamente che, allorquando gli agricoltori di una determinata zona, anziché procedere singolarmente all’attività di trasformazione e alienazione dei loro prodotti, quale in particolare la vinificazione delle uve e la vendita del vino, si riuniscono in un organismo unitario - consorzio, cooperativa, cantina sociale - al quale conferiscono il prodotto delle loro coltivazioni affinché esso provveda, in loro vece, a quelle operazioni di trasformazione e di vendita che altrimenti ciascuno di loro dovrebbe porre in essere per completare in normale ciclo produttivo, e vi provveda nel modo più conveniente imposto dagli attuali metodi e sistemi di lavorazione dei prodotti e di organizzazione del loro sfruttamento sul mercato, l'attività di tale organismo associativo, pur dotato di autonoma personalità giuridica, rimane sempre connessa alla primaria attività agricola dei produttori associati e conseguentemente ha essa stessa natura agricola, a nulla rilevando che il consorzio, o la cooperativa, o la cantina sociale, quali soggetti distinti dai soci, non posseggano un proprio fondo, né che provvedano anche alla lavorazione di uva o mosti acquistati da terzi, sempre che tale attività abbia carattere marginale e comunque indispensabile per lo sfruttamento della produzione dei soci e la loro maggiore utilità, dovendosi, al fine di affermare o escludere l'anzidetto carattere, ricorrere al criterio della prevalenza. (Sez. L, Sentenze n. 1843 del 20/02/1995, Rv. 490548 e n. 6424 del 03/11/1986, Rv. 448606).

3.3. Infine, le Sezioni Unite hanno definitivamente chiarito che nell'attività dell'impresa agricola rientrano, oltre alla coltivazione del fondo, anche le lavorazioni connesse, complementari ed accessorie dirette alla trasformazione ed alienazione dei prodotti agricoli, ove sia riscontrabile uno stretto collegamento fra l'attività agricola principale e quella di trasformazione dei prodotti, come finalizzata all'integrazione od al completamento dell'utilità economica derivante dalla prima secondo il naturale svolgimento del ciclo produttivo; deve invece escludersi questo vincolo di strumentalità o complementarità funzionale quando l'attività dell'imprenditore, oltre a perseguire finalità inerenti alla produzione agricola, risponda soprattutto ad altri scopi, commerciali o industriali, e realizzi quindi utilità del tutto indipendenti dall'impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa. (Sez. U, Sentenza n. 265 del 13/01/1997, Rv. 501704)

3.4. Sul versante tributario, più di recente, si sono affermati analoghi principio, osservando che l'attività di commercializzazione dei prodotti svolta da un'impresa per essere considerata agraria per connessione deve riguardare, almeno prevalentemente, i prodotti propri dell'impresa agricola e non assumere dimensioni tecnico- organizzative tali da assurgere ad attività del tutto autonoma. In nessun caso, comunque, l'attività di commercializzazione di prodotti acquistati da terzi può considerarsi agraria per connessione, se su detti prodotti l'imprenditore, prima di operarne la rivendita, non esegua alcun intervento (ad esempio, di manipolazione o dì trasformazione) idoneo ad inserire in qualche modo i prodotti stessi nel proprio ciclo intermediario per la collocazione sul mercato di prodotti di altri imprenditori, esercitando un'attività tipicamente ed esclusivamente commerciale, indipendentemente dalla qualità dei prodotti di terzi venduti. (Sez. 5, Sentenza n. 18488 del 14/09/2004, Rv. 577064)

3.5. Si tratta di principi di diritto comuni anche alla giurisprudenza di legittimità in materia civile, ove ripetutamente si è affermato che, nell'attività dell'impresa agricola (con riferimento al testo, ratione temporis applicabile, anteriore alla novella di cui al d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228) rientrano oltre alla coltivazione del fondo anche le lavorazioni connesse, complementari ed accessorie, dirette alla trasformazione ed alienazione dei prodotti agricoli, ove sia riscontrabile uno stretto collegamento fra l'attività agricola principale e quella di trasformazione dei prodotti, come finalizzata all'integrazione od al completamento dell'utilità economica derivante dalla prima secondo il naturale svolgimento del ciclo produttivo; deve invece escludersi questo vincolo di strumentalità o complementarità funzionale quando l'attività dell'imprenditore, oltre a perseguire finalità inerenti alla produzione agricola, risponda soprattutto ad altri scopi, commerciali o industriali, e realizzi quindi utilità del tutto indipendenti dall'impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa. (Sez. 1, Sentenza n. 1344 del 21/01/2013, Rv. 624822)

3.6. Su piano specificamente fallimentare si è chiarito che è qualificabile come attività agricola quella diretta alla coltivazione del fondo e costituente forma di sfruttamento del fattore terra, sia pure con l'ausilio delle moderne tecnologie, nonché quella connessa a tale coltivazione, che si inserisca nel ciclo dell'economia agricola; ha, invece, carattere commerciale o industriale ed è, quindi, soggetta al fallimento, se esercitata sotto forma di impresa grande e media, quell'attività che, oltre ad essere idonea a soddisfare esigenze connesse alla produzione agricola, risponda a scopi commerciali o industriali e realizzi utilità del tutto indipendenti dall'impresa agricola o, comunque, prevalenti rispetto ad essa. (Sez. 1, Sentenza n. 6853 del 24/03/2011, Rv. 617391; Sez. 1, Sentenza n. 10527 del 23/10/1998, Rv. 520013). Ciò vale, però, con la precisazione che, ai fini della soggezione al fallimento, la qualificazione di un'attività d'impresa come commerciale o agricola va operata alla stregua delle norme del codice civile e della legge fallimentare, e non attraverso il richiamo a norme di settore, quali quelle fiscali o quelle contributive - che apprestano alla stessa attività una qualificazione di impresa agricola non suscettibile di generale applicazione, in quanto rispondente alle particolari finalità dei rispettivi ordinamenti. (Sez. 1, Sentenza n. 10527 del 23/10/1998, Rv. 520014).

4. Nella specie, la sentenza d'appello si è attenuta ai superiori principi di diritto, enunciati sia inter partes, sia più in generale. Era, dunque, onere del fisco ricorrente (art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.), offrire elementi per mutare lo specifico orientamento espresso inter partes da questa Corte nelle sentenze nn. 15708, 15709 e 15710 del 2009 e gli enunciati principi di diritto che costituiscono presupposto e corollario di tali decisioni; in mancanza, non resta che rigettare il (primo motivo di) ricorso per manifesta infondatezza.

4.1. Inoltre, spettava sempre al fisco l'onere prima di allegare e provare nel giudizio di merito e poi di riportare nel ricorso, per la sua autosufficienza, quegli elementi dai quali potere desumere, coi crismi della decisività, che l'attività di commercializzazione di prodotti di terzi fosse prevalente e/o che l'attività di lavorazione e commercializzazione dei prodotti dei soci travalicasse i limiti di un'attività sociale meramente sostitutiva di quella dei singoli coltivatori associati, come invece pare emergere proprio dai criteri adottati per il ribaltamento sui soci dei costi di diretta imputazione. Nulla di quanto necessario risulta addotto in ricorso.

4.2. Né vale richiamarsi all'IVA addebitata in rivalsa dai soci fornitori, poiché i produttori agricoli possono applicare due diversi regimi IVA (v. in gen. Sez. 5, Sentenza n. 19838 del 12/10/2005, Rv. 584511), ciascuno dei quali caratterizzato da uno specifico modo di calcolare l’imposta da versare, l'uno caratterizzato dal regime speciale di detrazione forfettaria dell'imposta, l'altro dal regime ordinario (art. 34 del d.P.R. 633/1972). Ma, in ambo i casi, l'imposta va addebitata in rivalsa dai produttori agricoli secondo le apposite aliquote di cui alla tabella A allegata al decreto IVA e non risulta in sentenza e in ricorso che da ciò si siano discostati i soci fornitori della società contribuente, che a sua volta ha pacificamente operato in regime ordinario.

5. La manifesta infondatezza del primo motivo assorbe sul piano logico e giuridico il thema decidendum del secondo motivo che si sofferma su aspetti, tra l'altro, marginali e non decisivi. Le spese dei giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso nei sensi indicati in motivazione e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate € 12.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.