Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 maggio 2015, n. 10618

Lavoro subordinato - Licenziamento - Mancato superamento del periodo di prova - Mansioni diverse da quelle pattuite nel contratto - Reintegro

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 3 novembre 2011, la Corte d’Appello di Trento, confermava la decisione con cui il Tribunale di Trento, accoglieva la domanda proposta da GA avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli in data 18.11.2008 da M.S. S.r.l., sua datrice di lavoro, per mancato superamento del periodo di prova conseguentemente ordinando la reintegrazione della lavoratrice nel proprio posto di lavoro e condannando la Società al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto a decorrere dalla data del licenziamento.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa rigettato l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla Società, tardivamente costituitasi, in relazione alla notifica del ricorso introduttivo oltre il termine di giorni dieci dal l’emanazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione e, nel merito, ritenuto insussistente l’invocata ragione del recesso, dal momento che il mancato superamento dell’esperimento risulta non provato per il periodo di attività svolto dalla lavoratrice antecedentemente al riassetto organizzativo e non suscettibile di valutazione per il periodo successivo non essendo stata la lavoratrice impiegata nelle mansioni oggetto dell’esperimento.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la G.O. S.p.A., medio tempore subentrata alla M.S. S.r.l., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’A.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo e secondo motivo, intesi a denunciare , rispettivamente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’onere probatorio sul superamento o meno della prova ex art. 2096 c.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c., in relazione alle modalità di svolgimento della prova ed in particolare in merito alle mansioni che devono essere oggetto della prova, la Società ricorrente lamenta l’erroneità di entrambe le proposizioni che - a riflettere le due distinte modalità di espletamento dell’esperimento concordato tra le parti con la stipula del patto di prova, l’una relativa al periodo compreso tra la data di assunzione della lavoratrice, 20.5.2008, e metà del mese di luglio del 2008, in cui l’esperimento si sarebbe effettivamente svolto con riguardo alle mansioni oggetto del patto,e l’altra relativa al periodo compreso tra la metà del mese di luglio del 2008 e la data del licenziamento, 18.11.2008, in cui, viceversa, la lavoratrice non sarebbe stata messa in condizione di proseguire resperimento nello svolgimento delle più rilevanti mansioni concordate ai fini della prova - concorrono alla formazione del convincimento espresso nella motivazione dell’impugnata sentenza in ordine all’insussistenza nella specie del mancato superamento della prova, invocato a giustificazione del licenziamento.

Quanto alla prima proposizione formulata dalla Corte territoriale, secondo cui del mancato superamento dell’esperimento, relativamente al primo periodo non vi sarebbe prova, la censura della Società ricorrente si appunta, in particolare, sull’erronea applicazione delle regole in materia di riparto dell’onere della prova, assumendo essa Società che la pronunzia della Corte di merito si risolverebbe nel disconoscimento della valutazione negativa dell’esperimento da parte della stessa Società, per non aver questa fornitane la prova, viceversa incombente alla lavoratrice.

La censura si rivela, tuttavia, palesemente infondata, atteso che la proposizione in questione è dalla Corte territoriale fondata su precise risultanze istruttorie, date da dichiarazioni testimoniali, puntualmente richiamate in motivazione dalla Corte di merito e significativamente neppure citate nel ricorso.

Quanto alla seconda proposizione, secondo cui, nel periodo successivo, l’esperimento sarebbe stato limitato a mansioni del tutto marginali e comunque diverse da quelle proprie del ruolo fatto oggetto della prova, la censura della Società ricorrente è intesa a rivendicare la legittimità della valutazione negativa della prova medesima, ancorché con riferimento a mansioni diverse e inferiori, ma, pur sempre, inerenti al ruolo cui era riferito l’esperimento. La censura qui mossa deve ritenersi addirittura inammissibile essendosi la Società ricorrente limitata a riformulare il rilievo già svolto in sede di gravame senza confutare quanto dalla Corte di merito replicato sul punto nella motivazione della propria sentenza laddove osserva come quel rilievo non colga nel segno "dovendosi ricondurre il giudizio di inidoneità all’inesatto od inadeguato svolgimento di quelle mansioni rispetto alle quali il periodo di prova era stato concordato", tanto più che, nel replicare cosi, con espresso riferimento a mansioni quali il coordinamento degli addetti all’ufficio amministrativo ed i compiti propri del capo contabile, la Corte di merito, contrariamente a quanto qui affermato dalla Società ricorrente circa l’ammissione da parte della stessa Corte che le mansioni minori cui la lavoratrice era stata adibita nel periodo in questione rientrassero tra quelle di sua competenza, mostra di ritenere, al contrario, che le stesse mansioni non valessero a connotare il più rilevante ruolo di responsabile dell’ufficio cui la lavoratrice era originariamente destinata e di tanto la Società ricorrente non si preoccupa di fornire dimostrazione alcuna in senso contrario. Del resto la rilevanza, ai fini della valutazione dell’esito dell’esperimento, delle mansioni espressamente individuate nel patto di prova inserito nel contratto è desumibile dalla recentissima pronunzia di questa Corte, la n. 665/2015 che, con riferimento ad una fattispecie di segno opposto, nella quale, con riguardo ad un lavoratore assegnato, successivamente alla stipula del contratto, a mansioni superiori, il superamento della prova è stato positivamente valutato, pur essendosi di fatto l’esperimento svolto con riferimento alle mansioni diverse ed inferiori proprie della qualifica, anch’essa inferiore, espressamente indicata nell’originario contratto.

Quanto qui rilevato circa la diversità, ritenuta dalla Corte territoriale, delle mansioni e del ruolo, direttivo e non meramente esecutivo, espressamente indicate in contratto rispetto a quelle, da ultimo, fatte oggetto dell’esperimento dà conto dell’infondatezza del terzo motivo, con il quale la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c., in relazione alle conseguenze della ritenuta illegittimità del recesso in prova ove quest’ultima non sia stata correttamente eseguita, lamenta l’erroneità della statuizione sanzionatoria resa dalla Corte territoriale e fondata sull’applicazione del regime di tutela reale ex art. 18 l. n. 300/1970. Ciò in quanto la Corte territoriale, nel dare puntualmente conto dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in materia, opta (espressamente richiamando Cass. 6.12.2001, n. 15432) per l’orientamento, favorevole all’applicabilità alla fattispecie dell’art. 18 l. n. 300/1970 nell’ipotesi in cui le mansioni oggetto dell’esperimento siano significativamente diverse da quelle pattuite a quei fini, da ultimo consolidatosi in questa sede, orientamento cui questo Collegio intende dare continuità, ritenendo cosi la piena legittimità della pronunzia.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali e altri accessori di legge.