Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 marzo 2015, n. 4601

Lavoro - Trasferimento d'azienda - Presupposti costitutivi - Onere della prova a carico del datore di lavoro cedente

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 4.4.2013 la Corte di Appello di Ancona ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda del dipendente C. G. L., di accertamento dell'inefficacia del dedotto trasferimento del ramo d'azienda effettuato da T.I. spa alla M.P. F. Spa con conseguente persistenza del rapporto di lavoro con la detta lavoratrice. Per quanto qui interessa la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di un interesse ex art. 100 c.p.c., la mancanza di elementi che comprovassero la dedotta volontà del lavoratore di rinunciare alla contestazione della cessione del contratto ed ha osservato che nella vicenda in esame non era ravvisabile una cessione di ramo d' azienda sussumibile nell'ambito della disciplina di cui all'art. 2112 c.c. per mancanza del requisito dell'autonomia funzionale del ramo ceduto. La Corte territoriale ha sottolineato che la cessione aveva riguardato dotazioni di ufficio assolutamente esigue ed erano stati limitati a soli 20.000,00 euro gli interventi manutentivi straferiti, così come una serie di interventi erano stati conservati alla diretta gestione del cedente. Non era emersa una stabile e persistente funzionalizzazione del complesso ceduto, dell'esistenza di un servizio chiaramente individuato e distintamente apprezzabile sul piano economico.

Ricorre T.I. Spa, domandandone la cassazione per un quattro motivi. Resiste I'intimato con controricorso, illustrati da memorie.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 e 1406 c.c. L'impugnativa del trasferimento era avvenuta dopo oltre cinque anni dal momento della cessione, il che dimostra come dimostrazione della volontà del lavoratore di rinunciare all'impugnazione del contratto.

Il motivo appare infondato alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che richiede, per la dimostrazione di un "tacito consenso" del lavoratore rispetto mutamenti contrattuali che si ha diritto di impugnare,l'esistenza di elementi concreti ed inequivocabili ulteriori rispetto al mero decorso del tempo, ove non sia decorso il termine prescrizionale per far valere il diritto. Nel caso in esame, a parte il decorso del tempo, si allega la prosecuzione del rapporto di lavoro con la cessionaria, circostanza non idonea a dimostrare che il lavoratore abbia rinunciato a far valere i propri diritti nei confronti della parte cedente rispetto alla quale il lavoratore non ha posto in essere alcun comportamento concludente.

Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. Non esisteva un autonomo interesse del lavoratore ad un'azione di accertamento.

Il motivo appare infondato. Va premesso che l'interesse ad agire, in termini generali, si identifica nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice. In particolare, nelle azioni di accertamento, esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all'interessato un pregiudizio concreto ed attuale, che si sostanzia in una illegittima situazione di fatto continuativa e che, perciò, si caratterizza per la sua stessa permanenza (tra le altre: Cass. n. 7096 del 2012; n. 2051 del 2011; n. 11536 del 2006).

Su tale premessa si è andato consolidando, dunque, l'orientamento di questa Corte per il quale, in ipotesi di trasferimento di ramo d' azienda, sussiste l'interesse ad agire del lavoratore, stante l'incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico, non eliminabile senza l'intervento di un giudice, tale da arrecare all'interessato un pregiudizio concreto ed attuale che ben può ravvisarsi nel mutamento del datore di lavoro, ed in sostanza nel rapporto di lavoro medesimo, rilevando altresì per il creditore anche la consistenza patrimoniale dell'impresa debitrice (in termini, Cass. n. 21710 del 2012; n. 21771 del 2012). Si è anche evidenziato l'interesse dei lavoratori a non vedersi pregiudicati da operazioni economiche che prescindono dalla effettività delle esigenze organizzative per perseguire intenti elusivi delle norme (Cass. n. 5678 del 2013). Detto interesse qualificato, che altro non è che il riflesso di quell’originario interesse del creditore a non veder mutata, nel rapporto obbligatorio di cui è parte, la persona del debitore della prestazione senza consenso (principio espresso nell'art. 2740 c.c., art. 1268 c.c., comma 1, art. 1272 c.c., comma 1, art. 1273 c.c., comma 1, art. 1406 c.c.), ha trovato nella materia che ci occupa successiva conferma nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c), che sottopone a termini di decadenza stragiudiziale e giudiziale l'impugnazione della "cessione del contratto avvenuta ai sensi dell'art. 2112 c.c. con termine decorrente dalla data del trasferimento". Sicché non è possibile configurare un termine di decadenza per un'azione inammissibile per mancanza dell'interesse ad agire.

Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2112 c.c. ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Erroneamente il giudice d' appello avrebbe ritenuto insussistente un trasferimento di ramo d' azienda efficace ai sensi della disposizione codicistica per mancanza di autonomia funzionale del ramo ceduto. Si critica la sentenza impugnata laddove ritiene che la esiguità dei beni oggetto della cessione rappresenti una circostanza tale da deporre nel senso della inesistenza del requisito della autonomia funzionale del ramo ceduto. Il ramo ceduto aveva effettuato l'attività stabilita nel contratto di cessione.

Con il quarto motivo si allega l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Il ramo ceduto aveva necessità di beni non particolarmente cospicui ed aveva effettivamente svolto l'attività prevista con i fornitori.

I motivi che devono essere tratti"congiuntamente appaiono infondati. La Corte territoriale, dopo aver dato atto degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità nell'interpretazione di tale disposizione, ha ribadito che il legislatore non ha mai modificato la norma di cui all'art. 2112 c.c. nella parte in cui definisce il ramo d1 azienda come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata. L'assunto non può che essere condiviso. L'art. 2112 c.c., sia nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 18 del 2001, art. 1 vigente a decorrere dal 1 luglio 2001, sia nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 applicabile alla presente controversia, ha mantenuto immutata la definizione di "trasferimento di parte dell' azienda" nella parte in cui essa è "intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata". Tale nucleo della disposizione è rimasto intatto, non essendo stato toccato dalle modifiche normative che hanno invece riguardato, con riferimento all'articolazione appena descritta, la soppressione dell'inciso "preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità" e l'aggiunta testuale "identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento". Detta nozione di trasferimento di ramo d' azienda nella parte di testo non modificata è coerente con la disciplina in materia dell'Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui "è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria" (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).

La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario vivente (ex plurimis: Cass. n. 19740 del 2008), ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C- 340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C- 232/04 e C-233/04, Guney- Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, Hernandez Vidal, C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 60). Il criterio selettivo dell'autonomia funzionale del ramo d'azienda ceduto, letto conformemente alla disciplina dell'Unione, consente di affrontare e scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento si traducano in forme incontrollate di espulsione di personale. Pertanto nessuna censura può essere addebitata alla sentenza impugnata laddove assume il canone della "articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata" quale pre-requisito indispensabile per configurare una efficace cessione del contratto di lavoro senza il consenso del lavoratore, prima ed oltre la questione della preesistenza del ramo ceduto. Peraltro sull'aspetto della preesistenza del ramo ceduto di recente la Corte di Giustizia, pregiudizialmente sollecitata da un giudice italiano proprio in riferimento alla formulazione dell'art. 2112 c.c. novellata dall'art. 32 del cit. D.Lgs., ha testualmente ritenuto che "L'art. 1, paragrafo 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, ..., deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell'ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un'entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento" (CGUE, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a.). Ciò posto la Corte territoriale ha escluso che nella fattispecie sottoposta al suo vaglio fossero emerse circostanze tali da far ritenere che nella specie fosse stata trasferita una attività organizzata "funzionalmente autonoma", con una valutazione di merito che, ove espressa con motivazione sufficiente e non contraddittoria, sfugge al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 5117 del 2012, Cass. n. 20422 del 2012, Cass. n. 2151 del 2013, Cass. n. 20729 del 2013, Cass. n. 1821 del 2013, Cass. n. 24262 del 2013). Invero i giudici d'appello hanno accertato, circa l'inesistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 2112 c.c., che la cessione aveva riguardato dotazioni di ufficio assolutamente esigue ed erano stati limitati a soli 20.000,00 euro gli interventi manutentivi straferiti, così come una serie di interventi erano stati conservati alla diretta gestione del cedente. Non era emersa una stabile e persistente funzionalizzazione del complesso ceduto, dell'esistenza di un servizio chiaramente individuato e distintamente apprezzabile sul piano economico. Si tratta di un percorso motivazionale sufficiente e non contraddittorio, formalmente coerente nell'equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, immune da vizi logici o giuridici cui si pongono censure generiche e comunque di merito. In una prospettiva processuale, poi, occorre rilevare che - come condivisibilmente sostenuto dalla Corte territoriale - incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c. quale eccezione al principio del necessario consenso del lavoratore creditore ceduto, fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l'operatività: grava, cioè, sulla società cedente l'onere di allegare e provare l'insieme dei fatti concretanti un trasferimento di ramo d' azienda (cfr., in motivazione, Cass. n. 206 del 2004). Nella specie tale prova, secondo la valutazione di merito del giudice d'appello non è stata fornita, nè parte ricorrente individua fatti controversi e decisivi che sarebbero stati trascurati dalla Corte territoriale, in rapporto di causalità tale con la soluzione giuridica della controversia da far ritenere, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, che la loro corretta considerazione avrebbe comportato una decisione diversa. L'accertamento della insussistenza degli elementi che connotano una cessione di ramo d'azienda è di competenza del Giudice di merito ed è stata congruamente e logicamente motivata con riferimento a specifiche circostanze che appaiono genericamente contestate. Non sussistono, pertanto, le carenze motivazionali lamentate nel quarto motivo.

Pertanto si deve rigettare il proposto ricorso. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza in favore della parte costituita. Nulla nei confronti delle parti non costituite.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte costituita che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro 4.000,00 per compensi oltre accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.