Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MILANO - Ordinanza 03 marzo 2015, n. 259

IVA - Fatture emesse e non pagate - Variazione in diminuzione Dir. 2006/112/Ce artt. 90 e 185 - Obbligo preventivo tentata escussione - Compatibilità - Remissione alla Corte di Giustizia

 

Svolgimento del processo

 

1. L'Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Lombardia - Ufficio Grandi Contribuenti (di seguito: "l'Ufficio") indirizzava alla società (...) (in prosieguo: "la società" o "la contribuente") l'avviso di accertamento n. (...) recuperando, per l'anno 2006 - per quanto qui interessa - una maggiore Iva di € 454.095,00 (Rilievo n. 2 dell'accertamento), oltre agli importi corrispondenti alle correlate sanzioni ed interessi, in relazione alla mancata osservanza, da parte della contribuente, degli adempimenti previsti dall'art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 nella emissione di note di credito per il recupero dell’imposta versata dalla società, ma non pagata dai propri clienti morosi.

Nella motivazione dell'accertamento si contesta alla società - la quale "fornisce servizi sulla base di contratti di abbonamento rientranti per natura nella categoria dei contratti di somministrazione" (ex "art. 1559 Codice Civile") e che "fattura periodicamente in via posticipata" secondo "l'effettivo consumo usufruito dal cliente" - di aver illegittimamente detratto l'imposta (pari ad € "454.095,00") relativa alle "note di credito" ("di cui € 2.270.475,03 imponibile"), emesse e contabilizzate nel corso del 2006 in relazione a crediti per forniture di servizi telefonici, rimasti insoluti pur dopo l'infruttuoso esperimento delle procedure interne della società per il recupero di tali crediti. La tesi dell'Ufficio poggia sulla circostanza che "le predette note di credito sono state emesse esclusivamente sulla base della dichiarazione comunicata al cliente inadempiente di risolvere il rapporto contrattuale", in forza "della clausola risolutiva espressa inserita ad origine nel contratto di abbonamento".

L'Agenzia delle Entrate sostiene "che la possibilità di effettuare variazioni in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta sul valore aggiunto, per i casi di risoluzione contrattuale, a norma dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, è prevista esclusivamente quando l'operazione "viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile". Pertanto, conclude l'Ufficio, per i contratti di somministrazione", stipulati dalla società, "la risoluzione del contratto produce effetti ex nunc, ossia a partire dalla data di risoluzione", laddove "le prestazioni antecedenti peraltro fatturate ed effettivamente godute dal cliente, rimangono pienamente valide anche se non pagate" (cfr. pagine 10 e 11 dell'accertamento).

2. La società proponeva tempestivo ricorso contro l'atto impositivo. Il primo giudice, con sentenza n. 43/05/13, depositata il 21.2.2013, accogliendo parzialmente il ricorso, annullava il recupero Iva di € 454.095,00, condividendo le motivazioni esposte nel ricorso dalla contribuente, così argomentando: "più convincenti di palesano le argomentazioni attoree [della società, in quanto] "corroborate da citazione di giurisprudenza di merito, secondo la quale nei contratti ad esecuzione periodica e continuativa per prestazioni "già eseguite" si intendono quelle con le quali il debitore abbia pienamente soddisfatto le ragioni del creditore, quindi la irretroattività opererebbe esclusivamente rispetto agli adempimenti la cui creazione soddisfi le reciproche ragioni creditorie (...). Per conseguenza, conclude il primo giudice, "nel caso di inadempimento di una delle parti la risoluzione del contratto ha piena efficacia retroattiva estesa anche alle prestazioni pregresse, il che fa venir meno l'operazione ai fini iva con conseguente possibilità di emettere la nota di credito". D'altronde, "una diversa lettura dell'impianto normativo" sarebbe "contro il principio di neutralità dell'iva" (così, pag. 3 della sentenza di Io grado).

3. L'Ufficio presentava appello contro la sentenza della CTP di Milano. Nell'esposizione delle ragioni di gravame, l'Agenzia delle Entrate, oltre a criticare la decisione di primo grado perché ritenuta immotivata, ribadiva le medesime argomentazioni dedotte nel precedente grado di giudizio: richiamava, inoltre, le motivazioni della "sentenza n. 44/45/13 della CTR Milano", favorevole all'Ufficio, che aveva dichiarato legittimo un altro atto impositivo emesso, per l'annualità 2005, nei confronti della contribuente, avente ad oggetto la medesima controversia qui dedotta. Con questa sentenza, non ancora definitiva per effetto del tempestivo ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione proposto dalla società, si è stabilito che: "ai sensi dell'art. 26 "del d.P.R. n. 633/1972" il contribuente ha diritto di portare in detrazione l'imposta solo quando, a seguito di risoluzione del contratto, o l'operazione è venuta meno, perché il bene o servizio è stato retrocesso, o, al fine di evitare evasione del tributo, può essere provato il mancato pagamento del cliente - vuoi del corrispettivo, vuoi dell'equivalente monetario - con l'infruttuosità delle azioni esecutive o con l'assoggettamento del cliente a procedura concorsuale. Pertanto, "siccome" la società "non ha né allegato, né provato, l'avvenuta, peraltro impossibile, restituzione del servizio telefonico reso, e neppure l'infruttuosità delle procedure esecutive o l'apertura di quelle concorsuali, l'imposta indicata nelle note di credito non poteva, al momento della loro emissione, essere portata in detrazione".

4. Nel caso in esame, la società si costituiva in giudizio riproponendo tutti i motivi d'illegittimità della ripresa Iva oggetto del contendere, già dedotti in primo grado. In particolare, la contribuente ribadiva che la risoluzione dei contratti esercitata dalla società nei confronti dei "clienti morosi" opera, sul piano civilistico, con effetti ex tunc; cioè, essa retroagisce all'inizio del contratto, facendo così venir meno (in tutto o in parte) l'operazione fatturata. Per conseguenza la società deduceva, sul piano fiscale, di aver legittimamente emesso le note di credito in contestazione, in osservanza all'art. 26, 2° comma del d.P.R. 633/1972 il quale, per l'appunto, consente al prestatore di procedere alla variazione in diminuzione dell'imponibile relativo alle operazioni già fatturate, al verificarsi di tre distinte situazioni, tra le quali è prevista la risoluzione contrattuale che, nella specie, si è effettivamente realizzata. La società precisava inoltre che la circostanza del mancato pagamento, non controversa, si manifesta come causa sufficiente per l'esercizio del diritto di recupero dell'imposta non pagata dal cliente, indipendente dall'avvenuta risoluzione contrattuale che, nel caso di specie, opera automaticamente quale effetto dell'inadempimento.

La società faceva inoltre presente che le contestate note di variazione erano tutte relative a crediti di modesto importo, per le quali le regole di esperienza dimostravano l'assoluta antieconomicità dell'esperimento di procedure esecutive, destinate a restare comunque infruttuose.

La società poneva l'accento, infine, sugli effetti cui avrebbe condotto l'interpretazione dell'art. 26 fornita dall'Agenzia.

L'oggetto della controversia e il diritto nazionale

5. All'esame di questo Collegio Giudicante (e remittente nel rinvio pregiudiziale) viene sottoposta la procedura di variazione in diminuzione regolata, nell'ordinamento nazionale, dall'art. 26, 2° comma del d.P.R. 633/1972, secondo cui:

"Art. 26, 2° comma, d.P.R. 633/1972:

Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'art. 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l'operazione ai sensi di quest'ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell'art. 23 o dell'art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa".

Nel dettaglio, la norma nazionale prevede la rettifica dell’imposta addebitata in tre distinte ipotesi:

- in conseguenza di dichiarazione di nullità, revoca, risoluzione, rescissione e simili;

- in seguito al mancato pagamento, anche parziale, del corrispettivo, ma dopo l'infruttuoso esperimento di procedure concorsuali o esecutive;

- in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Tale disposizione recepisce gli artt. 90 e 185 della Direttiva 2006/112/CE, ove si prevede che il cedente/prestatore, al verificarsi di ipotesi tassativamente individuate, possa (ovvero debba) recuperare, successivamente all'emissione e registrazione della fattura, l'imposta addebitata e non corrisposta dal proprio cliente.

Nel caso qui in esame, l'Ufficio nega alla società il diritto di recuperare, tramite la procedura di variazione, l'imposta addebitata ai propri clienti per i servizi di telecomunicazione ad essi forniti, pur essendosi realizzata la causa diminutiva dipendente dal mancato pagamento e dalla risoluzione contrattuale da esso derivante, che - secondo la società - giustificherebbe l'adozione di tale procedura.

Più in dettaglio, l'Ufficio sostiene che la risoluzione del contratto, non sia, di per sé, sufficiente per rendere legittima l'emissione delle note di credito, a causa dell’impossibilità per il cliente di restituire alla società la prestazione resa. Secondo l'Ufficio, la società avrebbe dovuto dimostrare il realizzarsi dell'altra ipotesi prevista nel 2° comma dell'art. 26 citato, ossia, il mancato pagamento, anche parziale, del corrispettivo dopo avere infruttuosamente esperito le procedure concorsuali o esecutive.

Riassumendo:

- la società ritiene che il mancato pagamento determini l'automatica risoluzione del contratto e, dunque, l'avverarsi cumulativo delle prime due situazioni contemplate nella norma di riferimento (art. 26, 2° comma, d.P.R. 633/1972), essendo comunque la seconda (mancato pagamento) assorbente della prima (risoluzione);

- l'Ufficio ritiene che la risoluzione contrattuale non abbia efficacia (in riferimento alla prima situazione contemplata dalla norma nazionale) e che il contribuente debba dimostrare la definitiva irrecuperabilità del credito, in dipendenza delle procedure normativamente previste (in riferimento alla seconda situazione contemplata dalla norma nazionale).

6. In ordine alla tesi prospettata dall'Ufficio, questo Collegio giudicante ritiene che la soluzione della presente controversia dipenda dall'interpretazione offerta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia sulle norme comunitarie (artt. 90 e 185 della Direttiva 2006/112/CE), recepite nell'art. 26, 2° comma del d.P.R. 633/1972, applicabili alla specie.

Rilevanza e motivazioni delle questioni pregiudiziali sollevate

7. La Nota Informativa C-388/2012 del 6.12.2012 sulla Procedura innanzi alla Corte di giustizia indica la facoltà del giudice nazionale di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale, relativa all'interpretazione di una norma del diritto dell'Unione, qualora essa sia necessaria ai fini della soluzione della controversia ad esso sottoposta.

Il rinvio pregiudiziale appare, nella specie, necessario ed opportuno, non solo in quanto trattasi di questione di interpretazione che ha registrato contrasti nell'ambito delle Commissioni Tributarie, ma anche perché presenta un interesse generale per l'applicazione uniforme del diritto dell'Unione.

8. In ossequio all'articolo 94 del Regolamento di Procedura della Corte di Giustizia, il giudice nazionale è tenuto a chiarire non solo i motivi precisi che lo hanno indotto ad interrogarsi sull'interpretazione del diritto dell'Unione e a ritenere necessaria la sottoposizione di questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia, ma anche le ragioni della scelta delle disposizioni unionali di cui chiede l'interpretazione, nonché il nesso individuato tra quelle disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia (in tal senso, Corte di Giustizia, Sent. 6 dicembre 2005, C- 453/03, "ABNA"; id. Sent. del 1 giugno 2010, C-570/07, "Bianco Pérez"; id, Ord. del 13 gennaio 2010, C-292/09, "Ca lesta ni e Lu nardi").

9. Dai fatti rilevanti della controversia come sopra riassunti si evince che l'Ufficio nega a quest'ultima il diritto di recuperare, tramite la procedura della variazione in diminuzione, l'imposta corrisposta dalla società all'Erario, ma non riscossa dai clienti assumendo che (i) non sia intervenuta risoluzione e (ii) non vi sia prova della definitiva irrecuperabilità del credito.

Nel resistere contro tale pretesa, la società invoca l'applicazione diretta della norme comunitarie (artt. 90 e 185 della Direttiva 2006/112) recepite nell'art. 26, 2° comma del d.P.R. 633/1972, sottolineando: (i) che la risoluzione contrattuale scaturisce ex contraete dal mancato rispetto, da parte del cliente, dei termini di pagamento previsti dalle pattuizioni contrattuali; (ii) che la definitiva irrecuperabilità dei crediti è ben dimostrata dall'inutilità dei solleciti inviati al cliente moroso; e (iii) che l'azione di recupero dei medesimi crediti, oltre ad essere presumibilmente infruttuosa, risulterebbe comunque antieconomica, tenuto conto della ingente quantità dei rapporti in sofferenza e dell'esiguità degli importi non pagati da ogni singolo utente. Il contribuente osserva che il legislatore nazionale - nell'ammettere il diritto di rettifica in diminuzione della base imponibile e dell'imposta nell'ipotesi di risoluzione del rapporto contrattuale e nel caso di mancato pagamento (tralasciando la terza ipotesi, relativa agli sconti ed abbuoni, qui non pertinente) - ha di fatto esercitato la facoltà concessa dall'anzidette disposizioni della Direttiva e che, tuttavia, nell'esercizio di tale facoltà, il legislatore italiano avrebbe ecceduto, imponendo che il mancato pagamento debba risultare da procedure concorsuali o da procedure esecutive rimaste infruttuose;

L'interpretazione offerta dall'Ufficio della norma nazionale potrebbe risultare non compatibile con quanto indicato nelle norme euro - unionali di riferimento e, più in generale, con i principi fondamentali del sistema Iva, quali la "neutralità, la proporzionalità e l'effettività. La mancanza di una pronuncia da parte della giurisprudenza euro - unionale sullo specifico tema rende opportuno ottenere dalla Corte di giustizia la corretta interpretazione, particolarmente utile nel caso dedotto, e, in ogni caso, di interesse generale per l'applicazione uniforme del diritto dell'Unione, trattandosi di una questione di interpretazione nuova, applicabile ad un fatto inedito che coinvolge, oltre al contribuente qui rappresentato, altri operatori che forniscono servizi ad una vasta platea di consumatori.

Le disposizioni di diritto nazionali ed europee rilevanti

10. L'articolo 26, 2° comma del d.P.R. 633/1972, innanzi richiamato, consente l'emissione delle note di variazione in diminuzione degli importi fatturati quando, successivamente all'emissione e registrazione della fattura, si verifichi il "venir meno" dell'operazione o della riduzione del suo imponibile, quale effetto di tre distinte situazioni, precisamente:

- in conseguenza di dichiarazione di nullità, revoca, risoluzione, rescissione e simili;

- in seguito al mancato pagamento, anche parziale, del corrispettivo a causa di procedure concorsuali, o procedure esecutive rimaste infruttuose;

- in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Al realizzarsi di (almeno) una di queste cause diminutive della base imponibile e dell'imposta originariamente addebitata, al cedente o prestatore è consentito di procedere alla rettifica, in diminuzione, delle operazioni già fatturate.

11. L'articolo 90 della Direttiva 2006/112/CE prevede che: "1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri. 2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare ai paragrafo 1".

La norma, al paragrafo 1, obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile e, quindi, l'importo dell'lva dovuta dal soggetto passivo ogni volta che, successivamente alla conclusione di un'operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non viene percepita dal soggetto passivo. Tuttavia, il successivo paragrafo 2 consente agli Stati membri di derogare a tale norma in caso di mancato pagamento, totale o parziale. In ogni caso, la norma (paragrafo 1, ultima parte) prevede che gli Stati membri stabiliscano le condizioni per l'esercizio della riduzione della base imponibile.

L'articolo 185 della Direttiva 2006/112/CE prevede che: "1. La rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione dell'IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo.

2. In deroga al paragrafo 1, la rettifica non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati, nonché in caso di prelievi effettuati per dare regali di scarso valore e campioni di cui all’articolo 16.

In caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate e in caso di furto gli Stati membri possono tuttavia esigere la rettifica".

La norma, inserita nel Capo 5 della Direttiva 2006/112/CE che regola il meccanismo della rettifica della detrazione, è costruita in maniera esattamente simmetrica al precedente articolo 90, prevedendo, come regola, che la rettifica della detrazione non è richiesta per il caso di mancato pagamento (paragrafo 2, primo comma): ed ammettendo, come eccezione, la facoltà degli Stati membri di esigere la rettifica in tale situazione (paragrafo 2, 2° comma). Per completezza, va segnalato che l’art. 186 della Direttiva 2006/112/CE stabilisce che gli Stati membri prevedano le condizioni per l'esercizio della rettifica.

Valutazione giuridica del tema

12. Il 59° Considerando della Direttiva stabilisce che: "entro certi limiti e a certe condizioni gli Stati membri possano adottare o mantenere misure speciali che derogano alla presente direttiva, alfine di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune forme di evasione o elusione fiscale". A riguardo, la Corte di giustizia ha applicato il principio di proporzionalità per definire la portata delle disposizione derogatorie, precisando che "suddetto principio esige che siffatte limitazioni non eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito" (così, Sentenza del 15 maggio 1986, C-222/84, "Johnston"). Utilizzando tale criterio nella fattispecie qui dedotta, sussistono dubbi sulla legittimità della scelta del legislatore italiano, siccome interpretata dall'Autorità fiscale italiana, di restringere l'esercizio del diritto di recupero dell'imposta gravante sulla controprestazione non pagata in tutto o in parte alle ipotesi innanzi indicate, cioè, all'esito delle procedure concorsuali o di procedure rimaste infruttuose. Sebbene questa scelta, in quanto diretta a contrastare fenomeni di evasione fiscale, possa essere in astratto condivisibile, impedisce, in concreto, il recupero dell'Iva in tutti i casi in cui l'attivazione di una delle due procedure imposte sia anti - economica o eccessivamente difficile, e si manifesta palesemente contraria al principio di effettività laddove sia escluso il pericolo di frode, come, del resto, ha riconosciuto lo stesso Ufficio nel corso del processo qui in esame.

13. Ulteriore motivo di incompatibilità della norma nazionale (e della sua interpretazione) discende dal confronto lessicale delle disposizioni di riferimento innanzi richiamate. Nell’esercitare la facoltà prevista dalla norma euro - unionale, il legislatore nazionale limita il diritto di rettifica dell'imposta alla misura corrispondente alla variazione in diminuzione conseguente al mancato pagamento (totale o parziale) del corrispettivo derivante da procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose. Viene, quindi introdotta una causa, rappresentata dall'esperimento della procedura, ed un effetto, rappresentato dal mancato pagamento che la loro esecuzione infruttuosa certifica. Rispetto a tale costruzione, le norme unionali fanno riferimento al non pagamento totale o parziale (art. 90, 2) e ad operazioni totalmente o parzialmente non pagate (art. 185, 2 par.): condizionano, cioè, la riduzione della base imponibile e dell’imposta all'effetto, rappresentato dal mancato pagamento, e non alla causa, rappresentata dalle procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose.

È dunque lecito ritenere che il legislatore abbia ecceduto rispetto a quanto previsto dall'art. 186, della direttiva, laddove si prevede che "Gli Stati membri determinano le modalità di applicazione degli articoli 184 e 185".

I precedenti della Corte di Giustizia: la mancanza di una pronuncia specifica sul tema ed il richiamo di precedenti connessi.

14. Le questioni di incompatibilità innanzi sollevate non trovano soluzione in una pronuncia specifica sul tema da parte della Corte di giustizia. Tuttavia, la giurisprudenza euro - unionale si è occupata di situazioni simili, il cui richiamo è utile per rafforzare le motivazioni del rinvio pregiudiziale del caso qui sottoposto. In particolare vanno richiamati i seguenti precedenti: Corte di Giustizia, sentenza del 15 maggio 2014, C-337/13, "Almos" (punti da 33 a 39).

"Nella fattispecie, l'articolo 90, paragrafo 1, della direttiva IVA prevede che, nei casi in esso contemplati, la base imponibile sia ridotta nella debita misura in pendenza delle condizioni determinate dagli Stati membri. Se tale articolo concede quindi agli Stati membri un certo margine discrezionale allorché essi fissano le misure che consentono di stabilire l'importo della riduzione, tale circostanza non pregiudica, tuttavia, il carattere preciso e incondizionato dell’obbligo di ammettere la riduzione della base imponibile nei casi previsti da detto articolo. Quest'ultimo soddisfa pertanto le condizioni per produrre un effetto diretto" [principi ribaditi dalla sentenza 3 settembre 2014, C-589/12, "GMAC UK"]. Inoltre, "quanto alla questione concernente le formalità cui può essere sottoposto l'esercizio di detto diritto alla riduzione della base imponibile, occorre ricordare che, in forza dell'articolo 273 della direttiva IVA, gli Stati membri possono prevedere gli obblighi che essi considerano necessari per garantire l'esatta riscossione dell'IVA e per evitare l'evasione, a condizione, in particolare, che tale facoltà non venga utilizzata per imporre obblighi di fatturazione supplementari rispetto a quelli fissati al capo 3 di tale direttiva. Dato che, al di là dei limiti da esse fissati, le disposizioni di cui agli articoli 90, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA non precisano né le condizioni né gli obblighi che gli Stati membri possono prevedere, è giocoforza constatare che tali disposizioni conferiscono a questi ultimi un margine discrezionale, in particolare, quanto alle formalità che i soggetti d'imposta devono soddisfare dinanzi alle autorità tributarie di detti Stati, allo scopo di effettuare una riduzione della base imponibile. Risulta tuttavia dalla giurisprudenza della Corte che i provvedimenti diretti ad evitare frodi o evasioni fiscali possono derogare, in linea di principio, al rispetto delle regole relative alla base imponibile dell'IVA soltanto nei limiti strettamente necessari per raggiungere tale specifico obiettivo. Essi devono infatti pregiudicare il meno possibile gli obiettivi e i principi della direttiva IVA e non possono, pertanto, essere utilizzati in modo da rimettere in discussione la neutralità dell'IVA. Occorre di conseguenza che le formalità che i soggetti d'imposta devono adempiere per esercitare, dinanzi alle autorità tributarie, il diritto di effettuare una riduzione della base imponibile dell'IVA siano limitate a quelle che consentano di dimostrare che, successivamente alla conclusione dell'operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non sarà definitivamente percepita".

Corte di Giustizia, Sentenza del 3 luglio 1997, C-330/95 - "Goldsmlths" (punti 16 e 18) " (...) l’art. 11, parte C, n. 1, primo comma, della sesta direttiva stabilisce i casi in cui gli Stati membri sono tenuti a procedere alla debita riduzione della base imponibile, alle condizioni dagli stessi fissate. In tal modo, tale disposizione obbliga gli Stati membri a procedere alla riduzione della base imponibile e, quindi, dell'importo dell'IVA dovuta dal soggetto passivo ogniqualvolta che, successivamente alla conclusione di un'operazione, il corrispettivo non venga totalmente o parzialmente percepito dal soggetto passivo. Tuttavia, il secondo comma dell’art. 11, parte C, n. 1, della sesta direttiva consente agli Stati membri di derogare alla detta norma in caso di mancato pagamento, totale o parziale. Tale facoltà di deroga, strettamente limitata a quest'ultimo ipotesi, si fonda sull'assunto che, in presenza di talune circostanze ed in ragione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il mancato pagamento del corrispettivo può essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio. Ne consegue che l'esercizio di tale facoltà di deroga dev'essere giustificato, affinché i provvedimenti adottati dagli Stati membri ai fini della sua attuazione non compromettano l'obiettivo dell'armonizzazione fiscale perseguito dalla sesta direttiva".

I quesiti pregiudiziali ai sensi dell'art. 267 TFUE

15. In conclusione, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. 19, alla luce delle considerazioni che precedono, considera necessaria la pronunzia della Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, in riferimento alle questioni prospettate dal contribuente, al fine di decidere la presente controversia.

 

P.Q.M.

 

Visti l'art. 267 par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e la nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali (2011/C 160/01)

Rimette

alla Corte di giustizia i seguenti quesiti pregiudiziali ai sensi dell’art. 267 par. 3 TFUE:

A) Posto che il legislatore italiano ha esercitato la facoltà prevista dagli artt. 90, par. 2 e 185, par. 2, 2° comma, della dir. 2006/112/CE (e, prima della sua adozione, dagli artt. 11, parte C, par. 1, e 20, par. 1, lett. b), secondo periodo, della dir. 77/388/CEE), rispettivamente riferita alla variazione in diminuzione della base imponibile ad alla rettifica dell'IVA addebitata sulle operazioni imponibili in caso di mancato pagamento totale o parziale della controprestazione stabilita fra le parti, se sia conforme ai principi di proporzionalità e di effettività, garantiti dal TFUE, ed al principio di neutralità che regola l'applicazione dell'IVA, imporre limiti che rendano impossibile o eccessivamente oneroso per il soggetto passivo il recupero dell'imposta relativa alla controprestazione non pagata in tutto o in parte;

B) In caso di risposta positiva alla prima questione, se sia compatibile con i principi sopra richiamati una norma - quale l'articolo 26, 2° comma, del DPR 633/1972 - che, nella prassi Dell’Autorità fiscale dello Stato membro dell'Unione, subordini il diritto al recupero dell'imposta al soddisfacimento della prova del preventivo esperimento di procedure concorsuali ovvero di azioni esecutive infruttuose, anche quando tali attività siano ragionevolmente anti - economiche in ragione dell'ammontare del credito vantato, delle prospettive del suo recupero e dei costi delle azioni esecutive o delle procedure concorsuali.

Ordina

la sospensione del giudizio in corso;

Dispone

(a) che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di giustizia all'indirizzo di Rue du Fort Niedergrunewald, L-2925 Lussemburgo, mediante plico raccomandato:

(b) la notifica della presente ordinanza anche al Presidente del Consiglio dei Ministri, la comunicazione della stessa ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati ed atte parti;

(c) la trasmissione dei documenti ritenuti necessari alla decisione delle questioni oggetto di rinvio pregiudiziale, come da separato indice.