Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 aprile 2015, n. 8125

Tributi - IVA - Istanza di rimborso del credito - Diniego - Costruzione di un immobile per attività di albergo - Disciplina antielusiva relativa alle società non operative - Interpello disapplicativo - Parere negativo - Onere di prova da parte del Fisco dell’intento elusivo - Non sussiste

 

Osserva

 

La CTR di Bari ha respinto l’appello dell’Agenzia - appello proposto contro la sentenza n. 242/05/2010 della CTP di Taranto che aveva già accolto il ricorso della parte contribuente "R.C.D. srl" - ed ha così annullato il diniego di rimborso del credito IVA per il secondo semestre dell'anno 2008 (maturato in dipendenza dell'acquisto di beni strumentali), diniego motivato sul presupposto che la direzione regionale di Bari aveva già escluso - nel disattendere l’interpello disapplicativo della disciplina antielusiva relativa alle società non operative proposto in riferimento agli anni 2006 e 2007 - che esistessero "situazioni oggettive" idonee a legittimare la disapplicazione della disciplina medesima: ed infatti la contribuente non aveva dimostrato che la costruzione dell’albergo si era protratta oltre il primo periodo di imposta per cause meramente oggettive ed indipendenti dalla volontà imprenditoriale e d’altronde la contribuente non aveva realizzato operazioni attive nel secondo semestre del 2008.

La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando che "la società R.C.D. srl ha evidentemente dimostrato di avere acquistato un suolo edificatorio, di avere effettuato lavori di costruzione di un immobile per lo svolgimento dell’attività di albergo, di avere ottenuto per la realizzazione dello stesso un finanziamento pubblico e di non aver potuto iniziare l’attività di cui sopra per via di una serie di situazioni oggettive". D’altronde l’Ufficio non era riuscito a dimostrare l’intento elusivo da parte della società, sicché non la si poteva considerare come "di comodo" ... "prendendo solo in considerazione il fatto che la stesa non abbia operato".

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La parte contribuente resiste con controricorso.

Il ricorso - ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Con il primo ed il secondo motivo di impugnazione (l’uno centrato sulla dedotta nullità della sentenza ex art. 36 del D.Lgs. 546/1992 e degli art. 132 cpc e 118 disp. att. cpc; l’altro centrato sulla violazione e falsa applicazione degli art. 30 della legge n. 724/1994 e 37-bis del DPR n. 600/1973; motivi da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione) la parte ricorrente si duole -sotto un primo profilo- del fatto che il giudicante abbia del tutto omesso di motivare la questione saliente della controversia e cioè circa l’avvenuta allegazione e prova da parte della contribuente delle circostanze oggettive idonee ad giustificare il mancato conseguimento dei ricavi o del reddito minimo ai sensi dell’art. 30 delle legge n. 724/1994, siccome unico presupposto utile a consentire la disapplicazione della menzionata disciplina antielusiva a mezzo della presentazione di una apposita istanza di interpello ai sensi dell’art. 37-bis del DPR n. 600/1973; sotto un secondo profilo si duole del fatto che il giudicante abbia violato la disciplina prevista nel menzionato art. 30 allorché ha gravato l’ufficio dell’onere di dimostrare l’esistenza di un intento elusivo, nel mentre la norma citata già direttamente riconnette l’effetto della non rimborsabilità dell'imposta alla sussistenza dei presupposti ivi indicati, onerando invece la parte contribuente della dimostrazione di quelle situazioni oggettive che hanno impedito l’effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA.

I motivi, nella loro combinata prospettazione, appaiono manifestamente fondati e meritano accoglimento.

Preliminarmente occorre significare che i commi 4 e 4-bis del menzionato art. 30 prevedono che:

Per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell'imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso nè può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o di cessione ai sensi dell'articolo 5, comma 4-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154. Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l'ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto non inferiore all'importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l'eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell'IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi.

In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell'articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600".

Già dalla prima lettera della norma risulta del tutto evidente che l’Agenzia non aveva onere alcuno di comprovare resistenza di un intento elusivo quale requisito ai fini del diniego del chiesto rimborso dell’eccedenza di credito, atteso che la norma direttamente (e senza gravare l’amministrazione di onere alcuno) riconnette alla qualità di società non operativa il predetto effetto preclusivo, sicché non è men dubbio che sia contrario alla legge il diverso assunto espresso dal giudice del merito. D’altro canto risulta evidente, sempre in ragione della chiara lettera della trascritta disposizione, che sarebbe appunto spettato alla parte contribuente (che peraltro risulta avere presentato soltanto dopo l’impugnazione del diniego, cioè l’11.09.2009, l’istanza di disapplicazione della disciplina antielusiva, in relazione all’anno di imposta 2008 che qui è in considerazione) la dimostrazione delle oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei redditi utili ad ottenere la disapplicazione delle disposizioni antielusive, ed è su questo punto che -per quanto risulta dalla ricostruzione autosufficiente del fatto processuale reso dalla parte ricorrente- il giudicante era stato sollecitato ad esprimersi in sede di gravame.

Ed è proprio con riguardo a questo thema decidendum che è da ritenersi fondato anche il primo motivo di impugnazione, alla luce della pregressa giurisprudenza di questa Corte:"La motivazione della sentenza, quale e prescritta dagli art. 132 n 4 cod. proc. civ., e 118, primo comma, disp att. cod. proc. civ., deve essere tale da consentire la ricostruzione ed il controllo del procedimento logico - giuridico seguito dal giudice per giungere alla decisione, sicché solo la mancanza della motivazione o la presenza di una motivazione puramente apparente può dar luogo a nullità della sentenza per violazione delle indicate norme di legge (art. 360 n 4 cod. proc. civ.). altra cosa e quando la motivazione, pur presente nella sentenza, riveli, pero, errori di diritto ovvero lacune, insufficienze o contraddizioni nella disamina dei punti decisivi della controversia, i quali vizi ben possono condurre alla Cassazione della sentenza, ma sotto altri profili, espressamente previsti dalla legge" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3596 del 10/12/1971, poi Cassazione civile, sez. IlI, 18 settembre 2009, n. 20112 e fino a Cass. Sent. n. 8053 del 7 aprile 2014, nella parte in cui ha riaffermato l’effetto di nullità del vizio di motivazione apparente, anche nel contesto della nuova formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cpc per effetto delle modifiche introdotte dal D.L. n. 83/2012).

Ed invero, dalla lettura del provvedimento impugnato emerge agevolmente che il giudicante non ha in realtà reso alcuna motivazione (in rispetto alle questioni concretamente dedotte in controversia), essendosi limitato ad affermare -in termini puramente apodittici- l’avvenuta allegazione e dimostrazione delle necessarie "situazioni oggettive", senza preoccuparsi di fornirne alcuna specificazione, così eludendo l’obbligo di indicazione dell’iter logico seguito per pervenire alla propria determinazione.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza di entrambi i motivi, congiuntamente esaminati, con conseguente rinvio al giudice dell’appello, apparendo necessario rinnovare l’esame delle questioni proposte con l’appello contro la pronuncia di primo grado, alla luce dei principi di diritto dianzi enunciati.

Roma, 30 luglio 2014

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che la sola parte intimata (che, diversamente da quanto è detto in relazione, si è difesa con controricorso) ha depositato memoria illustrativa;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, ritiene di non poter condividere la proposta contenuta nella relazione in riferimento all’accoglimento anche del primo motivo di impugnazione, non apparendo totalmente pretermesso da parte del giudice del merito l’esame del thema decidendum proposto a mezzo delle censure alla sentenza di primo grado, per quanto gli argomenti valorizzati dal medesimo giudice del merito siano improntati ad una prospettiva decisamente diversa da quella a cui si ispira la censura: il tema della legittimità dell’operato dell’Ufficio nell’ottica della omessa documentazione dei presupposti di fatto allegati nell’interpello (in specie: l’esistenza di cause di esclusione e di esimenti di tipo meramente oggettivo) è stato infatti risolto dal giudicante nella diretta analisi della fondatezza delle giustificazioni addotte dalla parte contribuente a sostegno dell’istanza di rimborso del credito IVA ed è stato così risolto per conseguenza indiretta, ma non elusivamente. Ed invero il giudicante ha espressamente evidenziato che "....il rigetto, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della istanza di rimborso IVA proposto dalla società, non appare sufficientemente fondato", e da qui si è risolto a concludere che "deve escludersi l’assoggettamento della stessa alle norme relative alla disciplina delle società di comodo non operative";

che pertanto, non essendo stato in altro modo censurata (se non per quanto risulta dal richiamato secondo motivo di impugnazione) l’anzidetta conclusione a cui il giudice del merito è pervenuto, non resta che considerare risolto e superato il tema della legittima correlazione tra l’esito dell’istanza di rimborso e l’esito dell’interpello, onde resta soggetto al vaglio giudiziario il solo tema della fondatezza (nel merito) dell’istanza veicolata per il tramite dell’interpello, tema che la ricorrente Agenzia ha sottoposto al vaglio di questa Corte nell’ottica del riassunto secondo motivo di impugnazione;

che in ordine al predetto secondo motivo di impugnazione la Corte concorda puntualmente con gli argomenti posti a sostegno della relazione, per avere il giudicante risolto l’esame della questione in virtù dell’erronea applicazione di un onere di prova invertito (la dimostrazione "dell’intento elusivo", che incomberebbe sul l’Agenzia), così violando la prescrizione del combinato disposto degli art. 30 della legge 724/1994 e 37-bis del DPR n. 600/1973, nella parte in cui quest’ultimo prevede che le disposizioni antielusive possono essere disapplicate solo "qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi", così palesemente onerando la parte contribuente di fornire una dimostrazione nitida delle ragioni di fondatezza dell’istanza di disapplicazione;

che l’anzidetta violazione di legge costituisce autonoma e sufficiente ragione di cassazione della pronuncia impugnata, con restituzione della lite al giudice del merito, affinché riesamini -nell’ottica della corretta applicazione delle regole dianzi richiamate- il materiale istruttorio acquisito in causa e fornisca motivata giustificazione dell’esito del gravame;

che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo; accoglie il secondo. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Puglia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.