Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 gennaio 2015, n. 428

Tributi - IVA - Indebita detrazione di fatture per operazioni inesistenti - Contestazioni dell'Ufficio sulla base di riscontri indiziari - Onere della prova a carico dell'Amministrazione - Condizioni - Prova contraria - Onere a carico del contribuente

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza 19.6.2007 n. 84 la Commissione tributaria della regione Marche ha rigettato l’appello dell’Ufficio di Pesaro della Agenzia delle Entrate, ritenendo insufficienti le prove fomite a supporto della pretesa della Amministrazione finanziaria avente ad oggetto la liquidazione con metodo induttivo delle maggiori imposte dirette ed indirette dovute da I. s.r.l. per l’anno 1998, in relazione all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

I Giudici tributari rilevavano: che le dichiarazioni rese dai terzi in sede di verifica fiscale condotta nei confronti di altre società erano state riconosciute dal primo Giudice come indizi privi dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; che il controllo del magazzino della società contribuente aveva evidenziato come i rapporti tra questa e la fornitrice I. s.r.l., fossero reali, non potendosi escludere che la merce fosse stata effettivamente consegnata al magazzino della I., non essendo state evidenziate, peraltro, anomalie nei dati contabili relativi alla merce fatturata rispetto alle quantità di materiali plastici impiegati nella produzione ed alle quantità dei prodotti finiti; che in assenza di irregolarità nelle scritture contabili della società, le ingenti movimentazioni bancarie rinvenute sui conti degli amministratori della I. s.r.l. bene potevano riferirsi ad altre società da quelli stessi gestite ovvero anche a bisogni personali e familiari degli intestatari dei conti.

Avverso tale sentenza non notificata ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo sei motivi ai quali ha resistito con controricorso la società contribuente, depositando anche memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

1. Con la memoria illustrativa la società ha eccepito la estensione del giudicato tributario esterno, formatosi in ordine alle cause - tra le stesse parti - originate dal medesimo processo verbale di accertamento ed aventi ad oggetto, rispettivamente, la opposizione ad analoghe pretese fiscali concernenti IRPEG, IRAP ed IVA nonché la opposizione all’atto di irrogazione di sanzioni pecuniarie, con riferimento al diverso anno d’imposta 1999, entrambe definite con ordinanze di questa Corte in data 29.10.2013 ed in data 14.11.2013 con le quali sono stati rigettati i ricorsi per cassazione, proposti dalla Agenzia delle Entrate, avverso le sentenze della CTR delle Marche in data 23.10.2010 n. 47 e n. 48 che avevano respinto i ricorsi per revocazione dell'Ufficio finanziario proposti avverso le sentenze di appello della medesima Commissione tributaria in data 11.3.2008 n. 20 e n. 19, in conseguenza passate in giudicato, con le quali erano stati annullati l’avviso di accertamento e l’atto irrogativo della sanzione pecuniaria notificati alla società I. a r.l. (le sentenze e le ordinanze predette sono state ritualmente notificate alla controparte e depositate presso la Cancelleria di questa Corte ai sensi dell’art. 372 c.p.c. Occorre precisare che, le sentenze di merito divenute irrevocabili, riportano erroneamente nella intestazione l’atto impugnato, atteso che la sentenza n. 19/2008 ha per oggetto in realtà il rapporto d’imposta, mentre la sentenza n. 20/2008 ha per oggetto l’atto irrogativo dI sanzione pecuniaria).

1.2 La società resistente invoca al riguardo il precedente di questa Corte V sez. 22.4.2009 n. 9512 così massimato dal Servizio del CED della Corte "Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, non opera rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (quali le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. Inoltre, l'esistenza del giudicato esterno, al pari di quello interno, è rilevabile d'ufficio anche nel giudizio di cassazione, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata".

1.3 Osserva il Collegio che, per costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, il giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico, e la relativa preclusione opera anche nell'ipotesi in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono il "petitum" del primo (cfr. Corte cass. sez. lav. Sentenza n. 7140 del 16/05/2002).

Tale indirizzo giurisprudenziale richiede che entrambe la cause, tra le stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato: in tal caso, infatti, l'accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono l'esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il "petitum" del primo (cfr. Corte cass. III sez. 16.5.2006 n. 1365; id. III sez. 3.10.2005 n. 19317; vedi III sez. 24.3.2006 n. 6628).

1.4 Tanto premesso, rileva il Collegio che difetta, invece, nella fattispecie sottoposta all’esame della Corte, la identità del titolo o del rapporto dal quale derivano le pretese fatte valere, rispettivamente, nella causa passata in giudicato (relativa al rapporto d’imposta) e nella presente causa (anch’essa relativa al rapporto d’imposta), attesa la oggettiva autonomia dei rapporti giuridici intercorsi tra le stesse parti, che hanno costituito, rispettivamente, oggetto del giudizio definito con sentenza irrevocabile della Commissione tributaria della regione Marche n. 19/2008 (tale sentenza, accertando la esistenza materiale delle giacenze di magazzino, ha escluso la fondatezza della pretesa volta a riprendere a tassazione 1-la detrazione IVA e la deduzione di costi relativi ad operazioni inesistenti, nonché 2-la omessa contabilizzazione ed esposizione nella dichiarazione dei maggiori redditi d’impresa derivanti dalle movimentazioni dei conti intestati a soci ed amministratori, ed ancora 3-la omessa applicazione delle ritenute sui dividendi distribuiti ai soci relativamente al maggior reddito d’impresa non dichiarato), ed oggetto invece della presente controversia (nella quale, pur venendo all’esame del Giudice di merito le medesime questioni giuridiche e la valutazione di prove e circostanze indiziarie raccolte nel corso della medesima verifica fiscale concernente più anni, si controverte in ordine ad una "distinta pretesa tributaria", relativa alla maggiore IVA, IRPEG ed IRAP dovuta dalla contribuente per l’anno 1998).

I due giudizi attengono, infatti, ad obbligazioni tributarie che, ove anche riferibili al medesimo tipo di imposta (IVA, IRPEG, IRAP) ed al medesimo tipo di rilievo formulato all’Ufficio finanziario (illegittima detrazione IVA, illegittima deduzione di costi, occultamento di maggiori ricavi/redditi, omessa applicazione delle ritenute in qualità di sostituto d’imposta), sono originate da situazioni concrete non riconducibili ad un medesimo fatto generatore di imposta (oggettivamente diversi essendo i "rapporti di fornitura" - oggetto di contestazione - ed oggettivamente diverse essendo le "operazioni bancarie" compiute sui conti intestati da soci ed amministratori), rimanendo esclusa, pertanto, contrariamente a quanto ipotizzato dalla contribuente, la identità "oggettiva" del rapporto giuridico dedotto in entrambi i giudizi che consente - indipendentemente dal differente "petitum di ravvisare la unitarietà della "causa petendi (cui è ricollegata la esigenza di evitare contrasti in ordine a questioni giuridiche che costituiscono il necessario presupposto logico-giuridico comune ad entrambe le decisioni).

Le differenti situazioni giuridiche, dalle quali originano le diverse pretese tributarie, si qualificano, infatti, in relazione alla "concreta" modalità di realizzazione del presupposto impositivo considerato dalla norma tributaria, che si configura in modo diverso in ciascun esercizio economico/periodo di imposta, avuto riguardo alla specifica fenomenologia di ciascun fatto generatore d’imposta (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 26910 del 15/12/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 2438 del 05/02/2007; id. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 12870 del 23/07/2012), con la conseguenza che le statuizioni adottate in una causa, anche se concernenti identiche "questioni di diritto", non possono spiegare efficacia vincolante nell’altra causa (cfr. Corte cass. V sez. 20.6.2008 n. 16816 secondo cui "Ai fini dell'incidenza di un giudicato su di una controversia non inerente il medesimo rapporto fondamentale, non può riconoscersi alcun effetto preclusivo sia alle statuizioni incidentali relative a rapporti pregiudiziali sia alla soluzione di singole questioni di fatto o di diritto, contenuta nella motivazione ed effettuata dal giudice solo per pronunciare sulla specifica situazione dedotta in giudizio id. V sez. 30.12.2009 n. 28042).

1.5 Non può, altresì, essere condivisa la tesi difensiva sostenuta dalla società resistente che invoca la estensione del giudicato esterno formatosi nel precedente e diverso giudizio, relativamente all’ "accertamento....in ordine...alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune" ad entrambe le cause (memoria pag. 4), sostenendo che la efficacia vincolante del giudicato non potrebbe essere impedita dal fatto che le pretese tributarie, oggetto di ciascun giudizio, si riferiscano a differenti periodi di imposta, in conformità al principio di diritto, affermato da Corte cass. SU 16.6.2006 n. 13916, al quale si sono uniformate le successive sentenze delle sezioni semplici, secondo cui l’accertamento giudiziale del modo di essere di una obbligazione relativa ad un singolo periodo di imposta fa stato, con forza di giudicato, nel giudizio relativo alla obbligazione sorta in un periodo d’imposta successivo.

1.6 La sentenza delle SS.UU. è, infatti, richiamata a sproposito, avendo omesso di considerare la parte resistente che la invarianza dell'elemento "preliminare" nella costituzione della fattispecie tributaria (ovvero dell’elemento che costituisca referente per l’applicazione della specifica disciplina normativa), si caratterizza per il collegamento ad una situazione fattuale che (nella sua qualificazione giuridica) deve presentarsi "tendenzialmente permanente" e dunque durevole, costante nel tempo entrando "a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta", e deve quindi essere correlata ad un interesse protetto che abbia il carattere della durevolezza. Tali condizioni si realizzano nella ipotesi di "tributi periodici" o di fattispecie quali le "esenzioni od agevolazioni pluriennali" (ipotesi in concreto esaminata nella sentenza delle SS.UU.) in cui la specifica disciplina normativa assume la pluriennalità come elemento costitutivo della fattispecie, venendo ad essere sostanzialmente trattati i diversi periodi di imposta "come una sorta di maxiperiodo" (cfr. sent. SU n. 13916/2006, motivazione, paragr. 4.1).

Orbene nessuna di tali condizioni è riscontrabile nel caso di specie, atteso che, in relazione alla specifica fattispecie impositiva, oggetto di entrambi i giudizi, il tempo non è considerato dalla disciplina normativa come elemento caratteristico essenziale del rapporto tributario, né la pretesa tributaria, come formulata in entrambi i giudizi, risulta correlata alla qualificazione giuridica di una situazione fattuale connotata dal carattere della durevolezza (il diritto fatto valere dalla Amministrazione finanziaria, infatti, è correlato a fattispecie storicamente determinate - le singole operazioni commerciali, le fatture emesse per ciascuna operazione, il diverso ammontare della base imponibile e della imposta liquidata - che non assumono caratteristiche di identità permanenti, bene potendo subire variazioni nell’ "an" e nel "quantum" in relazione a ciascun periodo d’imposta oggetto di verifica), non potendo in conseguenza ravvisarsi, nei casi in esame, un unico rapporto tributario di "durata" da cui dipendono le singole obbligazioni frazionate nel tempo, ed in cui sia dato individuare elementi "preliminari" (giuridicamente rilevanti) identici a se stessi nella periodica attuazione del rapporto obbligatorio.

1.7 Deve pertanto escludersi una efficacia espansiva esterna, nel presente giudizio, dei giudicati invocati dalla parte resistente.

2. Con il primo motivo la Agenzia fiscale denuncia il vizio di omessa motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. sul punto decisivo e controverso della inesistenza "soggettiva" delle operazioni intrattenute dall’acquirente I. s.r.l. con la fornitrice I. s.r.l., società inattiva e che dalle indagini della Guardia di Finanza era emerso che svolgeva il compito di "cartiera" in una complessa frode fiscale: la CTR, infatti, avrebbe erroneamente escluso la frode, ritenendo esistenti e reali dette operazioni in base al mero riscontro materiale della merce giacente in magazzino, atteso che tale circostanza era di per sè ininfluente a fornire la prova che il rapporto commerciale fosse effettivamente intercorso tra dette società, anziché tra l’acquirente I. ed un soggetto terzo, venendo a rivestire la società apparentemente fornitrice la posizione di soggetto fittiziamente interposto.

3. Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21, 23 e 28 del Dpr n. 633/1972, in relazione all'art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., avendo la CTR pretermesso del tutto di considerare la interpretazione che di tali norme di diritto aveva fornito la Corte di legittimità, con riferimento alla fattispecie di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni "soggettivamente" inesistenti, per cui se il soggetto passivo (tale è colui che realizza effettivamente il presupposto impositivo ai fini IVA, con la cessione del bene o la prestazione del servizio) non coincide con il soggetto che ha emesso la fattura, il rapporto commerciale rappresentato nel documento fiscale è meramente apparente (la fattura presenta un contenuto ideologicamente falso) con la conseguenza che la fattura, per un verso, è inidonea a far sorgere l’obbligo di rivalsa e, per altro verso, è inidonea ad essere utilizzata in detrazione.

4. La società resistente ha eccepito nel controricorso la inammissibilità dei primi due motivi di ricorso.

Le eccezioni di inammissibilità debbono ritenersi entrambe palesemente infondate.

4.1 Pretestuosa è la interpretazione del primo motivo data dalla resistente - basata su una estrapolazione lessicale che assume ben diversa connotazione semantica se inserita nel contesto del motivo - in quanto asseritamente volto a denunciare il vizio processuale di "omessa pronuncia" (e dunque, secondo la resistente, inammissibile per errata indicazione del paramentro normativo del sindacato di legittimità), laddove, al contrario, sia la rubrica, che la esposizione degli argomenti, ed ancora la formulazione in calce della "sintesi del fatto controverso e decisivo", depongono univocamente per la censura di vizio logico della motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.

4.2 Nè assume rilievo l’altra eccezione di inammissibilità del primo motivo, fondata sul richiamo del precedente di questa Corte V sez. 29.2.2008 n. 5471, secondo cui non risponde alla esigenza dell’art. 366 bis c.p.c. la formulazione di un "quesito di diritto" (recte la formulazione della sintesi del fatto decisivo e controverso) "multiplo" in quanto riferito a tutte le diverse tipologie del vizio logico di motivazione (omessa, contradditoria, insufficiente).

Occorre infatti rilevare che il vizio di "contraddittorietà" della motivazione si profila in relazione ad una oggettiva antinomia tra distinti argomenti logici, tra loro inconciliabili e tali da elidersi a vicenda -interni alla stessa motivazione, addotti entrambi a supporto della medesima decisione, sicché non è dato in alcun modo ricavare dalla sentenza quale sia la qualificazione giuridica della fattispecie posta a base del "decisum" e la "regula juris" che disciplina il rapporto controverso (cfr. Corte cass. SU Sentenza n. 25984 del 22/12/2010), mentre, nel caso di specie, la Agenzia ricorrente -come emerge in modo inequivoco dalla esposizione del motivo ed anche dalla stessa formulazione del "momento di sintesi- non ha inteso contestare anche una tale antinomia logica (dovendo quindi rilevarsi un uso atecnico del lessema "contraddittorietà" da parte del difensore della ricorrente), ma ha voluto censurare la sentenza di appello esclusivamente per vizio di "insufficiente motivazione", evidenziando la carenza del supporto argomentativo della decisione rispetto alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, da ricondursi -secondo la tesi dell’Agenzia fiscale- al fenomeno illecito delle operazioni "soggettivamente" inesistenti.

4.3 Anche la eccezione di inammissibilità rivolta al secondo motivo del ricorso principale è infondata.

Correttamente è stato, infatti, censurata dalla Agenzia fiscale, in relazione al vizio ex art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., la errata individuazione da parte della CTR degli elementi costitutivi della fattispecie contemplata dalle norme indicate in rubrica, come interpretate dalla Corte di legittimità, come emerge inequivocamente dal quesito di diritto in cui si chiede alla Corte di affermare che la materiale esistenza e movimentazione delle merci (ovvero l’accertamento che la operazione economica è stata effettivamente realizzata: consegna della merce e pagamento del corrispettivo) non incide sugli elementi costitutivi -coesistendo, anzi, con essi - della fattispecie normativa della emissione di fatture per operazioni "soggettivamente" inesistenti.

Al riguardo occorre altresì premettere che la asserita "novità della questione" relativa alla qualificazione di I. s.r.l. come società "cartiera", eccepita dalla società resistente nel controricorso (ma la stessa società poi, nella memoria illustrativa, ha invocato la applicazione dell’art. 8 co 2 DL 2.3.2012 n. 16 conv. in legge 26.4.2012 n. 44 che consente, in materia di imposte dirette, la deducibilità dal reddito dei costi relativi ad operazioni "soggettivamente" inesistenti, e dunque ad operazioni concluse con società "cartiera", implicitamente riconoscendo che la questione della interposizione fittizia di I. s.r.l. era da ritenere acquisita al "thema decidendum"), appare del tutto infondata avuto riguardo alle contestazioni mosse alla contribuente con l’avviso di accertamento, in relazione alle emergenze del PVC redatto dalla Guardia di Finanza e notificato alla impresa in data 19.6.2000.

Dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, emerge che nel verbale redatto dai militari di Pesaro (in base alle informazioni ricevute dalla Guardia di Finanza di Tivoli in merito alla frode fiscale perpetrata da C. s.r.l.), I. s.r.l. non veniva indicata espressamente come "cartiera", ma ad essa veniva comunque contestato di avere intrattenuto con I. s.r.l. - in relazione alle ingenti forniture di materie prime effettuate , nell’anno 1998 - rapporti "solo cartolari, finalizzati alla utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti", e cioè di avere emesso fatture rappresentando un rapporto di fornitura non effettivamente intercorso tra i soggetti indicati in fattura, ipotesi per l’appunto riconducibile a quella della emissione di fatture per operazioni "soggettivamente" inesistenti. Tanto è che i Giudici di merito si sono premurati, nel prosieguo della motivazione, di rilevare la insussistenza di prove dotate dei requisiti ex art. 2729 c.c. volte a dimostrare che I. s.r.l. avesse agito come società "cartiera o fantasma" (e dunque, ancora, con riferimento alla ipotesi di emissione di fatture per operazioni "soggettivamente" inesistenti), statuendo che, nella specie, difettavano gli elementi "normalmente" sintomatici di tale condotta (i Giudici di merito hanno osservato, infatti, che secondo la "prassi ricorrente" il tipo di frode in questione si caratterizzava per il fatto di una durata limitata delle imprese "cartiere", mentre I. s.r.l. aveva agito nell’arco temporale dì un quadriennio e non era stato riscontrato che I. s.r.l. praticasse agli acquirenti prezzi di vendita notevolmente inferiori a quelli di mercato - come normalmente praticano le società "cartiere") ed hanno concluso osservando che una frode fiscale commessa mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti "avrebbe avuto dei riflessi difficilmente occultabili in contabilità sia nel volume di vendite realmente fatturate (nel caso di operazioni inesistenti, in senso assoluto)....sia nella determinazione del volume di affari e del reddito di impresa (nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti)...".

Tanto è sufficiente a ritenere, da un lato, che il Giudice di appello, venendo ad esaminare nel merito la posizione assunta da I. s.r.l. nella effettuazione delle operazioni commerciali, ha inteso implicitamente rigettare la eccezione di novità della questione relativa alla inesistenza "soggettiva" delle operazioni che era stata formulata dalla società con la memoria presentata in grado di appello (come si evince dalla lettura della sentenza della CTR, nello svolgimento del processo); dall’altro, a ritenere meramente nominalistica la analoga questione prospettata nel controricorso dalla società resistente, attesa la inequivoca contestazione, mossa dall’Ufficio finanziario con l’avviso di accertamento (che richiama il contenuto del PVC notificato alla contribuente), in ordine alla mancanza di "effettiva operatività" della I. s.r.l., e dunque in ordine alla mancanza di una adeguata organizzazione atta a giustificare le ingenti forniture ad I. s.r.l. tale da sospettare della formazione di documentazione fiscale e commerciale non riferibile a rapporti di fornitura effettivamente intrattenuti tra i soggetti indicati nelle fatture, essendo pertanto idonei, i riferimenti indicati, a consentire di ritenere ricompresa nel "thema controversum" anche la questione della inesistenza "soggettiva" delle operazioni condotte da I. s.r.l. cn I. s.r.l., indipendentemente dalla prova dell’inserimento di I. s.r.l. come "cartiera" nella organizzazione criminosa perpetrata da terzi e volta a commettere la frode fiscale, secondo il noto schema delle cd. "frodi carosello od a catena.

5. Con il terzo motivo la Agenzia fiscale denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 75 Dpr n. 917/1986 e degli artt. 19, 28 e 54 Dpr n. 633/1972 (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.), sostenendo di avere adempiuto correttamente al proprio onere probatorio fornendo quegli elementi indiziari che integravano la prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c. dei fatti produttivi dei maggiori redditi/ricavi non esposti dalla società contribuente (la ricorrente nella esposizione del motivo si diffonde ad indicare e sostenere la rilevanza probatoria decisiva delle risultanze del PVC, per confutare la diversa valutazione di merito compiuta dalla CTR secondo cui tali indizi non raggiungevano consistenza di prova presuntiva).

6. Con il quarto ed il quinto motivo la Agenzia ricorrente deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 39 co 1 lett.d) e 40 Dpr n. 600/1973, nonché dell’art. 54 Dpr n. 633/1973 (ndr art. 54 Dpr n. 633/1972), in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., impugnando la sentenza di appello sotto il profilo:

a) della non corretta applicazione dello schema normativo della prova presuntiva, non avendo la CTR operato una valutazione globale degli indizi;

b) della irrilevanza - ai fini della configurazione della prova presuntiva della emissione di fatture per operazioni inesistenti - di una contabilità regolarmente tenuta dal contribuente.

7. I motivi di ricorso, come sopra riportati, impongono una trattazione congiunta in quanto rivolti a censurare vizi di "error in judicando" e di "error facti" inerenti sia la individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie concernente la emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni "soggettivamente" inesistenti, sia la corretta valutazione -secondo lo schema normativo proprio della prova presuntiva- degli elementi indiziari forniti dalla P.A. a dimostrazione della inesistenza "soggettiva" delle operazioni effettuate tra l’acquirente I. s.r.l. e la fornitrice I. s.r.L.

7.1 I motivi sono fondati alla stregua delle seguenti considerazioni.

7.2 Occorre premettere che il diritto alla detrazione IVA ex art. 19 Dpr n. 633/1972, ed il diritto alla deducibilità dal reddito d’impresa, ai fini delle n.DD., dei costi inerenti ex art. 75 Dpr n. 917/1986 (vecchio) TUIR, non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in specie dalla fattura che, in tema di IVA, è documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa, come si evince chiaramente dall'art. 21 del dP.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che ne disciplina il contenuto, prescrivendo tra l'altro l'indicazione dell'oggetto e del corrispettivo di ogni operazione commerciale.

Pertanto, nella ipotesi di fatture che l'Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti (in tale nozione dovendo essere ricondotte non soltanto le ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, ma anche ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l'ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell'impresa utilizzatrice delle fatture che ha regolarmente versato il corrispettivo, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto documentato dalla fattura siano falsi: cfr. Corte cass. V sez. re. 6378 del 22/03/2006; id. V sez. n. 29467 del 17/12/2008; id. V sez. n. 7672 del 16/05/2012; id. V sez. n. 23074 del 14/12/2012), non spetta al contribuente provare che l'operazione è effettiva, ma spetta all’Amministrazione finanziaria, che adduce la falsità del documento, provare che l'operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere (cfr. Corte cass. V sez. 12.12.2005 n. 27341; id. V sez. n. 12802 del 10/06/2011; id. V sez. 11.9.2013 n. 20786).

Tale prova è raggiunta se l'Amministrazione fornisca validi elementi (alla stregua degli artt. 39 co 1 lett. d) e 40 Dpr n. 600/73 e dell'art. 54 comma 2 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice (art. 2727 c.c.), per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, ovvero che (ai sensi dell’art. 39 co 1 lett. c) e dell’art. 54 comma 3 dei decreti indicati) per dimostrare "in modo certo e diretto" la "inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati" ovvero la "inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione" (prova che può essere data anche attraverso "I verbali relativi ad ispezioni seguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti" in possesso dell’Ufficio). In tal caso passerà sul contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Corte cass. V sez. 19.10.2007 n. 21953; id. 11.6.2008 n. 15395; id. 7.2.2008 n. 2847). Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell'atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697 comma 2 c.c. (cfr. Corte cass. V sez. 23.4.2010 n. 9784; id. V sez. n. 4306 del 23/02/2010).

Risulta dunque evidente che la Amministrazione finanziaria, ove intenda contestare i dati indicati dal contribuente nella dichiarazione o nella fattura, può assolvere all’onere probatorio tanto con la prova logica - o indiretta - quanto con la prova storica -o diretta-, nel primo caso dovendo essere individuato il "minimum" della sufficienza probatoria del fatto indiziante allegato a supporto della contestazione della documentazione contabile (ed a fondamento della pretesa tributaria) nei caratteri richiesti dalla "praesumptio hominis" (artt. 2727 e 2729 co 1 c.c.).

La regolare tenuta delle scritture e dei documenti contabili i cui dati vengono utilizzati dal contribuente ed esposti nella dichiarazione fiscale, non onera, pertanto, "ex ante" il contribuente anche alla ulteriore indicazione degli elementi probatori attestanti la effettiva corrispondenza alla realtà dei dati indicati in fattura, trascritti nei registri obbligatori e riportati nella dichiarazione annuale, gravando invece sulla Amministrazione finanziaria -che pretenda una maggiore imposta o che ritenga indebita la eccedenza detraibile o rimborsabile - la relativa prova, come emerge in modo inequivoco dal testo delle disposizioni normative per cui "l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici..." (art. 39 co 1 lett. d) Dpr n. 600/73) e "le false ed inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte...anche sulla base di presunzioni semplici..." (art. 54 co 2 Dpr n. 633/72).

7.3 Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, riconducibile alla emissione di fatture per operazioni "soggettivamente" inesistenti (caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene in realtà da soggetto diverso da quello fittiziamente interposto che ha emesso la fattura, incassando l’IVA ed omettendo poi di versarla all’Erario), la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che, una volta fornita dalla Amministrazione finanziaria la prova della interposizione fittizia dell’apparente fornitore nella operazione commerciale effettivamente posta in essere dal cessionario/committente con un diverso soggetto - cedente/prestatore - che non figura nella fatturazione (l’Amministrazione finanziaria "è tenuta a dimostrare, in primo luogo, gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di "cartiera", la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell'IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e in secondo luogo, la connivenza nella frode da parte del cessionario, non necessariamente, però, con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull'avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull'inesistenza sostanziale del contraente cfr. Corte cass. V sez. n. 10414 del 12/05/2011; id. V sez. n. 23560 del 20/12/2012), spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione l’IVA fornire la prova contraria che l’apparente cedente/prestatore non è un mero soggetto (fittiziamente) interposto e che la operazione è stata "realmente" conclusa con esso, non essendo tuttavia sufficiente a tale scopo la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo, "trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode" (cfr. Corte cass. V sez. 24.7.2009 n. 17377; id. 20.1.2010 n. 867; id. 11.3.2010 n. 5912; id. V sez. n. 12802 del 10/06/2011. Giurisprudenza costante: Corte cass. V sez. 3.12.2001 n. 15228, id. 6.2.2003 n. 1779, id. 23.12.2005 n. 28695, id. 23.3.2007 n. 7146).

7.4 Tanto premesso in diritto, la CTR avrebbe dovuto esaminare se gli elementi indiziari emergenti dal PVC, singolarmente e globalmente considerati, convergevano alla dimostrazione della inconsistenza operativa di I. s.r.l. e dunque alla prova della interposizione fittizia attuata da detta società nelle operazioni relative a cessione di beni in cui era intervenuta come acquirente I. s.r.l..

7.5 Orbene tale valutazione andava compiuta, conformemente ai criteri legali dello schema della prova presuntiva, in base al principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui, in presenza di plurimi indizi, il Giudice di merito incorre nel vizio di legittimità denunciato qualora si limiti a contestarne la capacità dimostrativa alla stregua di un sintetico giudizio di irrilevanza, atteso che, in tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 6556 del 10/06/1995 Sez. 5, Sentenza n. 13819 del 18/09/2003; id. Sez. 1, Sentenza n. 19894 del 13/10/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012).

7.6 Nella specie già la premessa introduttiva della motivazione della sentenza, svolta dalla CTR in ordine alla rilevanza della prova presuntiva, incorre nel vizio di legittimità denunciato (violazione artt. 2727-2729 c.c.) laddove ipotizza, in materia tributaria, una inesistente subordinazione del procedimento di inferenza logica alla previa individuazione della "erroneità ed infedeltà delle registrazioni" o della "omissione di circostanze irregolari, rimanendo quindi esclusa secondo i Giudici di merito la configrabilità della prova logica in mancanza di "una vera e propria verifica contabile e documentale" della società contribuente. La confusione concettuale in cui incorrono i Giudici tributari è massima laddove aggiungono che solo attraverso la verifica delle registrazioni contabili "l’Ufficio rileva fatti certi, ed evita di formulare mere presunzioni.

Ed infatti se, la infedeltà dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali e nei documenti contabili, bene può desumersi anche dalle risultanze di indagini e dalla acquisizione di informazioni "esterne" alle scritture contabili, come chiaramente consentito dalle norme tributarie in materia di IVA e di imposte sui redditi richiamate al precedente punto 7.2 della presente motivazione, risulta del tutto evidente come alcun impedimento alla applicazione dello schema logico presuntivo possa essere ravvisato nella correttezza formale delle scritture contabili della impresa, e come, tanto più illogica, si palesa la ipotizzata contrapposizione tra fatti certi (evicibili soltanto dalle scritture contabili) e mere presunzioni, quasi che le "presunzioni semplici" ex art. 2727 c.c. possano prescindere dall’accertamento di fatti materiali costituenti la loro premesso logica, od ancora non possano trovare fondamento in fatti accertati sulla base di fonti di prova diverse (dichiarazioni rese da terzi; documenti acquisiti presso soggetti diversi dal contribuente; indagini penali) dalle scritture contabili della impresa.

7.7 A tale errore si aggiunge anche la inesatta individuazione da parte della CTR dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi della pretesa tributaria, avendo ritenuto i Giudici di appello destituita "ab origine" ogni efficacia probatoria degli indizi offerti dalla Amministrazione finanziaria, indifferentemente con riguardo tanto alla ipotesi di inesistenza assoluta (od oggettiva) quanto di inesistenza "soggettiva" delle operazioni commerciali, in base all’assunto per cui "l’esistenza di fatture di acquisto, regolarmente pagate " costituiva comunque prova "dell’avvenuta effettiva compravendita di materie prime (polietilene in granuli) necessarie alla società per la propria attività di produzione di profilati di materie plastiche", circostanza che - come è stato evidenziato al punto 7.3 della presente motivazione- risulta addirittura consustanziale alla fattispecie di operazione "soggettivamente" inesistente, in quanto operazione effettivamente realizzata sul piano economico-giuridico, ma inesistente sul piano tributario, essendo stata in realtà conclusa dall’acquirente con soggetto diverso da quello che si è interposto fittiziamente ed ha emesso la fattura, venendo perciò ad integrare la predetta circostanza della realtà dello scambio, uno dei fatti costitutivi e non -come erroneamente ritenuto dalla CTR- uno dei fatti estintivi della pretesa fiscale.

7.8 Anche la censura di vizio logico motivazione, formulata dalla Agenzia fiscale ricorrente, deve ritenersi fondata.

Osserva il Collegio che la valutazione probatoria - che è insindacabile dal Giudice di legittimità ove esente da vizi logici - deve trovare supporto in argomenti la cui esternazione, nell’apparato motivazionale che sorregge il "decisimi", deve rispondere ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall’art. 360 co 1 n. 5) c.p.c. con riferimento ai principi di completezza, di causalità logica (secondo lo schema induttivo - deduttivo) e di non contraddizione.

La motivazione della sentenza deve articolarsi a tal fine in una sequenza passaggi logici che possono schematicamente scomporsi: 1-nella ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il "thema probandum" della fattispecie concreta oggetto della controversia; 2-nella individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti e nella selezione di quelli ritenuti decisivi, all’esito di un giudizio di prevalenza, alla formazione del convincimento del Giudice; 3-nella indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici (ovvero le ragioni della applicazione della "regula iuris" al rapporto controverso). La carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici indicati configura un "vulnus" al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati (art. 111 co Cost.), che può spaziare, secondo la gravità, dal vizio di insufficienza logica (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.) fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale (art. 360 co 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 co 2 n. 4 c.p.c. ed all’art. 118 co 1 disp. att. c.p.c.).

Più in generale deve ravvisarsi il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (cfr. Corte cass. V sez. 16.7.2009 n. 16581; id. I sez. 4.8.2010 n. 18108) e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Corte cass. V sez. 10.11.2010 n. 2845) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice (cfr. Corte cass. III sez. 3.11.2008 n. 26426, con riferimento al ricorso ex art. 111 Cost; id. sez. lav. 8.1.2009 n. 161).

7.9 Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata non soddisfa ai requisiti di coerenza logica indicati.

La Amministrazione finanziaria aveva indicato quali elementi indiziari, significativi della apparenza "soggettiva" dei rapporti commerciali intrattenuti dalla società contribuente con la società I.:

- la inesistenza di una azienda "D. F", che era stata indicata da I. s.r.l.

come ditta incaricata di eseguire i trasporti della merce

- la indicazione di una targa relativa all’ automezzo utilizzato da I. s.r.l. per eseguire le forniture che è risultata appartenere ad un veicolo della ditta P. s.n.c. - che esercitava l’attività di vendita all’ingrosso di bevande - rimasto in avaria fino dall’anno 1995, mai riparato e mandato alla demolizione nell’anno 1999, secondo quanto dichiarato dai proprietari del veicolo e dal titolare della officina di riparazione - le dichiarazioni rese dai legali rappresentati "pro tempore" della I. s.r.l. (Vettori; Mecenero) i quali, rispettivamente, hanno riferito, il primo, che la I. s.r.l. era società del tutto ignota, ed il secondo, che la I. s.r.l. non aveva compiuto alcuna operazione commerciale durante il periodo in cui aveva assunto l’amministrazione della società nell’anno 1999

- sui conti bancari personali intestati ai soggetti che avevano rivestito la carica di amministratori di I. s.r.l. risultavano accreditamenti di somme, per importi - minori di quelli fatturati da I.- non giustificati da altre attività svolte dagli intestatari, ed effettuati in coincidenza con la emissione delle fatture da parte di I. s.r.l..

7.10 Rispetto a tale quadro indiziario la CTR, si è limitata, da un lato, a svolgere generiche considerazioni in ordine al fenomeno illecito della "frode carosello", rappresentando alcuni aspetti sintomatici tratti dalla statistica dei casi accertati (breve durata della società "cartiera applicazione da parte del fornitore di prezzi inferiori a quelli di mercato) ma che non esauriscono affatto le molteplici manifestazioni concrete attraverso cui può attuarsi la condotta criminosa, e che in quanto da ritenere meramente esemplificativi, astraggono del tutto dalla verifica processuale e dall’esame critico delle risultanze probatorie emergenti dalla istruttoria del giudizio; dall’altro ha poi esaminato i singoli elementi di prova dedotti dall'Ufficio, con argomenti che risultano inficiati dai vizi di legittimità denunciati:

- quanto alle dichiarazioni rese dai terzi e dagli amministratori della I. s.r.l., la CTR si è limitata a negarne la efficacia probatoria, richiamando - in modo incompleto - il principio di diritto secondo cui nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla polizia tributaria nel corso di un'ispezione e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore meramente indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, qualora confortate da altri elementi di prova. Le "dichiarazioni del terzo" possono, infatti, nel concorso dì particolari circostanze ed in specie quando abbiano valore confessorio, integrare non un mero indizio, ma una prova presuntiva, ai sensi dell'art. 2729 cod. civ., idonea da sola ad essere posta a fondamento della pretesa tributaria e delle motivazioni dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 9876 del 05/05/2011). Inoltre occorre considerare che il rapporto di immedesimazione organica - che lega il rappresentante legale alla società rappresentata - non consente di individuare il primo come mero soggetto "terzo" rispetto alla persona giuridica, venendo ad assumere, quindi, "contenuto confessorio" le dichiarazioni concernenti fatti sfavorevoli alla società, rese in sede stragiudiziale dal rappresentante legale della stessa (cfr. Corte cass. Sez- 5, Sentenza n. 28316 del 21/12/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 22122 del 29/10/2010). I Giudici territoriali non hanno, al riguardo, svolto alcun argomento inteso ad evidenziare le ragioni per cui dette dichiarazioni dei terzi e degli amministratori della società erano da ritenersi prive dei caratteri di "gravità, precisione e concordanza": la CTR si è limitata ad aderire alla valutazione probatoria compiuta dalla CTP, così motivando "per relationem", ma senza fornire alcun elemento indicativo di tale valutazione , idoneo a consentire di verificare la coerenza e logicità dell’esame critico svolto in relazione ai requisiti di concludenza richiesti dall’art. 2729 c.c.

- quanto ai "rapporti commerciali" tra I. s.r.l. ed I. s.r.l., la CTR ha ritenuto insussistente la prova della inoperatività della società fornitrice, in quanto le dichiarazioni rese dai terzi non avevano trovato riscontro nelle scritture contabili, risultando compatibili le giacenze fisiche di magazzino con le merci fatturate, sicché, affermano i Giudici di merito, "non si può escludere....che la merce sia realmente pervenuta nel magazzino di I.appare evidente in relazione ai principi di diritto - in precedenza richiamati - in tema di operazioni "soggettivamente" inesistenti, la irrilevanza tanto della osservazione concernente la regolarità delle scritture contabili, quanto della effettiva fornitura della merce: la questione controversa non concerne, infatti, la materiale esistenza dei prodotti acquistati, ma se tali prodotti siano stati realmente commercializzati da I. s.r.l. ovvero da altro fornitore che non compare, ovviamente, nella fattura emessa da I. s.r.l., circostanza sulla quale la motivazione della CTR risulta del tutto insufficiente, difettando, tra l’altro, una puntuale verifica della concludenza dell’indizio concernente la mancanza di mezzi di trasporto utilizzati da I. s.r.l. per le forniture, che, in osservanza ai principi di diritto enunciati al punto 7.5 della presente motivazione, dovrà essere apprezzato ai fini della efficacia probatoria, sia singolarmente che in relazione al complessivo quadro probatorio.

7.11 La sentenza impugnata, in quanto affetta dai riscontrati vizi di legittimità, deve, pertanto, essere cassata e la causa rimessa al Giudice del rinvio affinchè, attenendosi ai principi di diritto enunciati ai punti 7.2, 7.3, 7.5 e 7.8 della presente motivazione, provveda a nuovo esame delle risultanze istruttorie emendando i vizi riscontrati, tenendo distinta la pretesa tributaria avente ad oggetto la maggiore IVA dovuta dalla società dalla pretesa tributaria concernente invece le imposte sui redditi (IRPEG ed IRAP) in relazione alle quali la inesistenza "soggettiva" delle operazioni non impedisce la deducibilità dei costi indicati in fattura dal reddito imponibile, trovando applicazione quale "jus superveniens" le disposizioni dell’art. 14, comma 4 bis, della legge 24.12.1993 n. 537, nel testo sostituito dall’art. 8, comma 1, DL 2.3.2012 n. 16 conv. in legge 26.4.2012 n. 44, e dei commi 2 e 3 dell’art. 8 del medesimo decreto legge.

La nuova disciplina normativa che consente la deducibilità dal reddito d’impresa dei costi relativi a beni o servizi inerenti, anche se risultanti da fatture emesse per operazioni "soggettivamente" inesistenti, fa perno sul principio (pecunia non olet) secondo cui la qualificazione di illecito da riconoscere al fatto produttivo di ricchezza o comunque al fatto incidente sulla determinazione dell’imponibile, è in forza della citata disposizione irrilevante ai fini dell’assoggettamento al tributo, rimanendo circoscritta la indeducibilità dal reddito d’impresa esclusivamente ai costi ed alle spese "dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo" (rispetto alla originaria previsione normativa che estendeva la indeducibilità indifferenziatamente ai costi ed alle spese comunque "riconducibili a fatti, atti ed attività qualificabili come reato"). La disposizione, immediatamente applicabile anche ai rapporti tributari pregressi non ancora esauriti, atteso l’espresso riconoscimento della efficacia retroattiva della stessa, operato dal comma 3 del medesimo art. 8 del DL n. 16/2012, richiede, ai fini della deducibilità dei costi, la sussistenza di due condizioni: a) la prima, in diritto, riguarda la sussumibilità del reddito in una delle categorie indicate nell'art. 6 T.U.I.R.; b) la seconda, in fatto, è che il reddito non sia stato già sottoposto a sequestro o confisca penale, o - deve aggiungersi - nel caso in cui il provento sia costituito da un bene appartenente a terzi, non sia stato già integralmente restituito (atteso che tali eventi impediscono il conseguimento del "possesso del reddito" - art. 1 TUIR - e, quindi, il verificarsi del presupposto d'imposta: Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 7511 del 05/06/2000 che non ritiene quindi sufficiente ad escludere la imponibilità del provento illecito una mera pronuncia di condanna alla restituzione od al risarcimento non seguita dal materiale spossessamento).

Pertanto il Giudice del rinvio, limitatamente alla pretesa relativa ad imposte dirette, ove accerti la esistenza delle condizioni indicate dovrà annullare l’avviso opposto con riferimento alla ripresa ad imponibile dei costi inerenti relativi ad operazioni "soggettivamente" inesistenti, rideterminando la eventuale maggiore imposta dovuta dalla società a titolo IRPEG ed IRAP.

8. Con il sesto motivo la Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 39 e 40 del Dpr n. 600/1973, in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., in relazione alla statuizione con la quale la CTR ha disconosciuto la riferibilità alla società I. a r.l. delle movimentazioni dei conti bancari intestati alle persone che avevano ricoperto la carica di amministratori.

8.1 II motivo è fondato.

8.2 La CTR ha disconosciuto la efficacia probatoria delle movimentazioni rilevate dai conti intestati ai soci ed amministratori ai fini della dimostrazione dei ricavi occulti della società I., affermando che l’Ufficio non era stato in grado di fornire prova che le somme provenissero da clienti o fossero versate a fornitori della I. s.r.l. e che, comunque, tali movimentazioni potevano in ipotesi riferirsi "alle più svariare esigenze di ordine privato".

8.3 Premesso che, come è dato evincere dalla lettura della sentenza e degli atti difensivi delle parti: 1-i conti bancari in questione erano intestati agli amministratori B. A., B. E., D. D. e D. M., legati da evidenti rapporti di parentela, ed evidenziavano movimenti, sia per prelievi che per versamenti, di importo superiore al miliardo di lire; 2-gli intestatari dei conti non avevano saputo fornire indicazioni sulla natura e l’origine di tali movimenti, ed era emerso che nessuno degli intestatari svolgeva attività economica idonea a giustificare importi reddituali simili; 3-era stata rilevata la coincidenza cronologica tra le date delle fatture emesse da I. s.r.l. ed gli importi versati sui predetti conti, orbene tanto premesso ritiene il Collegio che le affermazioni della CTR si pongano in contrasto con le indicazioni fomite da questa Corte, in relazione alla applicazione dello schema della prova presuntiva agli accertamenti bancari in materia di imposte sui redditi (art. 32 co 1 n.7 Dpr n. 600/1973) ed in materia IVA (art. 51 co 2 n. 7 Dpr n. 633/1972). Per costante orientamento giurisprudenziale della Corte, infatti, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, fatta salva la prova contraria, la riferibilità alla attività economica della società contribuente, assoggettata a verifica, delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari di tali soggetti (cfr. Corte cass. V sez. n. 1728/1999, id. 17.6.2002 n. 8683, id. 12.9.2003 n. 13391 - con riferimento a società di capitali, id. n. 6743/2007, id. 7.9.2007 n. 18868, id. 21.12.2007 n. 27032, id. 12.1.2009 n. 374, id. 30.12.2009 n. 27947, id. 4.8.2010 n. 18083 - con riferimento a società di persone; id. 24.9.2010 n. 20199 - con riferimento a società di capitali).

Occorre considerare in proposito che, il precedente giurisprudenziale, risalente all’anno 2003, richiamato dalla parte resistente, nel quale viene enunciata la massima secondo cui l'art. 51, comma 2, n. 2), e n. 7), del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (cha accorda all'ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione) non trova applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l'ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque, in relazione alle circostanze del caso concreto, dimostri la sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti (cfr. Corte cass. V sez. 28.6.2001 n. 8826; id. 18.4.2003 n. 6232; id. 18.9.2003 n. 13819 - con riferimento a società di persone ed ai conti intestati ai singoli soci; id. 14.11.2003 n. 17243 - con riferimento a conto intestato al socio di società di capitali), non si pone in contrasto con la più recente giurisprudenza di questa Corte, che non esonera affatto la Amministrazione finanziaria dalla necessità della prova presuntiva in ordine alla riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati ai terzi, ma afferma, piuttosto, che tale prova va rinvenuta nel requisito di "serietà e gravità" dell’elemento indiziario costituito dallo stretto legame parentale, che, valutato unitamente ad altri elementi significativi desunti dalle circostanze del caso concreto, converge alla formazione della prova concludente della condotta evasiva (cfr. in termini, Corte cass. V sez. n. 18083/2010 cit.).

Orbene in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti idonee a giustificare versamenti e prelievi dell’importo rilevato, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione che lega l’intestatario del conto ad un soggetto (la società) che svolge invece una attività economica produttiva di ricavi, deve ritenersi sussistente la inferenza tra il fatto certo (ingente movimentazione di denaro) ed il fatto ignorato (riferibilità delle movimentazioni all’attività commerciale della società), e dunque soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con conseguente spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente.

8.4 Quanto alla affermazione dei Giudici territoriali della possibile riferibilità di tali movimenti bancari anche ad altre società amministrate dai medesimi intestatari dei conti, ed alla mancata prova da parte dei verbalizzanti della individuazione dei clienti o fornitori di I. s.r.l. cui riferire le somme versate e prelevate, la stessa appare censurabile, in quanto fondata su di una mera ipotesi (non risultando accertata la esistenza di altre società amministrate dalle persone titolari dei conti bancari), e dunque inidonea a contrastare la presunzione legale disciplinata in materia di accertamento delle imposte sui redditi e di IVA, e stabilita dagli artt. 32 co 1, n. 2), 39 co 1, lett. d) e 40 del Dpr 29 settembre 1973 n. 600, nonché dall'art. 51 co 2, n. 2), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per cui i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, con la conseguenza che è consentito qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti: presunzione legale "juris tantum", che può essere vinta dal contribuente qualora offra la prova liberatoria che di tali movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 26692 del 06/12/2005).

Nel caso di svolgimento di plurime attività o di utilizzo del conto da parte dell’intestatario nell'interesse di più soggetti diversi, grava infatti sul contribuente verificato l'onere di provare che quei movimenti si riferiscono ad operazioni rientranti in attività diverse od estranee da quella esercitata che escludono di qualificare per la loro interezza gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi di acquisti, invece che nell’altra attività che tale qualificazione giustifica (cfr. Corte cass.; id. Sez, 5, Sentenza n. 3929 del 18/03/2002; id. Sez. 5, Sentenza n. 3952 del 19/03/2002).

9. In conclusione il ricorso deve essere accolto in relazione a tutti i motivi dedotti, la sentenza impugnata va in conseguenza cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Marche che, attenendosi ai principi di diritto indicati in motivazione ed applicando il "jus superveniens" (art. 14, comma 4 bis, della legge 24.12.1993 n. 537, nel testo sostituito dall’art. 8, comma 1, DL 2.3.2012 n. 16 conv. in legge 26.4.2012 n. 44), provvederà a nuovo esame, emendando i vizi di legittimità riscontrati e liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Marche che, attenendosi ai principi di diritto richiamati in motivazione ai punti 7.2, 7.3, 7.5 e 7.8, ed applicando il "jus superveniens" (art. 14, comma 4 bis, della legge 24.12.1993 n. 537, nel testo sostituito dall’art. 8, comma 1, DL 2.3.2012 n. 16 conv. in legge 26.4.2012 n. 44), provvederà a nuovo esame, emendando i vizi di legittimità riscontrati e liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.